Ordinanza n. 274 del 1994

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ORDINANZA N. 274

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 101, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), in relazione all'art. 98, terzo comma, dello stesso r.d. promosso con ordinanza emessa il 26 ottobre 1992 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra De Blasi Maurizio ed il fallimento della S.G.I. SO.GE.NE. lavori s.p.a., iscritta al n. 731 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio dell'11 maggio 1994 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Ritenuto che, nel corso di un procedimento instaurato da Maurizio De Blasi con una domanda di insinuazione tardiva di crediti nei confronti del fallimento della S.G.I. SO.GE.NE. Lavori S.p.a., il Tribunale di Roma, con ordinanza del 26 ottobre 1992, pervenuta alla Corte costituzionale il 22 novembre 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 101, secondo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n. 267 (legge fallimentare), in relazione all'art. 98, terzo comma, del medesimo decreto, "nella parte in cui vieta la riproponibilità del ricorso per dichiarazione tardiva di crediti al ricorrente che si sia costituito in un precedente giudizio";

 

che la disposizione denunciata, là dove statuisce che "le parti si costituiscono a norma dell'art. 98, secondo comma", è costantemente interpretata dalla Corte di cassazione nel senso di piena equiparazione della disciplina del ricorso per dichiarazione tardiva di crediti alla disciplina dell'opposizione allo stato passivo, con la conseguenza che la mancata costituzione in giudizio del creditore istante almeno cinque giorni prima dell'udienza comporta la non riproponibilità del ricorso entro il termine indicato dall'art.101, primo comma, l. fall.;

 

che la norma, così interpretata, è ritenuta contrastante col principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.) per il duplice motivo della indebita equiparazione della domanda di insinuazione tardiva all'opposizione allo stato passivo e, all'interno di quest'ultimo istituto, della discriminazione tra creditori colpiti e creditori non colpiti dalla sanzione della perdita del diritto di azione prima dell'esaurimento della ripartizione dell'attivo fallimentare;

 

che, ad avviso del giudice rimettente, tale preclusione dell'esercizio del diritto di azione, non essendo giustificata da apprezzabili motivi, si traduce in una violazione del diritto di difesa garantito dall'art. 24 Cost.;

 

che nel giudizio davanti alla Corte costituzionale è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

Considerato che la medesima questione è già stata proposta dal medesimo tribunale a questa Corte, che l'ha dichiarata non fondata con sentenza n. 1045 del 1988, seguita da un'ordinanza di manifesta infondatezza n. 1124 del 1988;

 

che l'obiezione formulata dal giudice rimettente contro l'argomento dell'analogia funzionale tra l'opposizione allo stato passivo e la domanda di insinuazione tardiva di crediti, trattarsi, cioè, di una analogia di ordine pratico, priva di valore costruttivo delle due azioni come specie di una categoria omogenea, può togliere forza all'argomento sul piano dell'interpretazione dell'art. 101 l. fall., non sul piano del giudizio di costituzionalità della norma, come interpretata dal "diritto vivente", alla stregua dell'art. 3 Cost., posto che la valutazione di ragionevolezza procede secondo i canoni del discorso pratico, non dell'argomentazione dogmatica;

 

che a giustificare la norma impugnata, anche in riferimento all'art. 24 Cost., concorre l'incidentalità della domanda di insinuazione tardiva nel processo fallimentare, caratterizzato da una esigenza di speditezza che giustifica la previsione di una serie progressiva di preclusioni comportanti, ove non siano osservati certi oneri processuali, la perdita del diritto di far valere il credito nel procedimento speciale, fermo restando il diritto di azione in via ordinaria;

 

che la disparità di trattamento, denunciata dal giudice a quo all'interno della categoria dei creditori che non hanno fatto valere le loro ragioni nella formazione dello stato passivo, è irrilevante ai fini dell'art. 3 Cost., trattandosi di una mera differenziazione di fatto, conseguente all'avere gli uni già presentato domanda di insinuazione tardiva senza poi osservare l'onere di costituirsi in giudizio entro il termine prescritto, mentre gli altri non hanno ancora proposto tale domanda e quindi possono sempre proporla fino a quando non sia esaurita la ripartizione dell'attivo.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 101, secondo comma, in relazione all'art. 98, terzo comma, del r.d. 16 marzo 1942, n.267 (Disciplina del fallimento, del concordato preventivo, dell'amministrazione controllata e della liquidazione coatta amministrativa), sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 Cost., dal Tribunale di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/06/94.

 

Gabriele PESCATORE, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/06/94.