Sentenza n. 231 del 1994

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SENTENZA N. 231

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), promosso con ordinanza emessa il 9 luglio 1993 dal Pretore dell'Aquila nel procedimento di esecuzione promosso dal Banco di Napoli, filiale dell'Aquila, nei confronti di Cesaro Ivana ed altra, iscritta al n. 773 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1994 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 

Ritenuto in fatto

 

1. Il Pretore dell'Aquila, in un procedimento di esecuzione promosso dal Banco di Napoli, filiale dell'Aquila, nei confronti di Cesaro Ivana ed altra, ha sollevato, per violazione degli artt. 3, primo comma, 24, secondo comma, 25, primo comma, e 97, primo comma, della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 3 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180.

 

In base a tale disposizione, i sequestri e i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato si eseguono presso l'Ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello Stato del Ministero del tesoro: in tal modo, si accentra in capo al Pretore di Roma la competenza giurisdizionale per qualsiasi causa sorta nel territorio nazionale, con aggravio dei costi per l'Amministrazione, terzo pignorato, costretta a continui contatti con le amministrazioni periferiche, e con lesione del principio di buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, che vale anche per l'amministrazione della giustizia.

 

A seguito di tale accentramento, sarebbe vulnerato il diritto di difesa di cui all'art.24, secondo comma, della Costituzione, poichè risulta obiettivamente limitata la possibilità di resistere da parte di chi debba recarsi dal luogo di residenza alla capitale per comparire all'udienza per la dichiarazione del terzo, affrontando maggiori spese nell'eventuale giudizio di opposizione.

 

Sarebbe leso, inoltre, il principio di uguaglianza, essendovi ingiustificata disparità di trattamento tra i dipendenti dello Stato e gli altri, nei confronti dei quali l'esecuzione viene promossa nel luogo ove è prestata l'attività lavorativa, ovvero nel luogo di "residenza del terzo", ex art. 26 del codice di procedura civile. Vi sarebbe, infine, lesione del principio del giudice naturale precostituito per legge (art. 25, primo comma, della Costituzione).

 

2. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

 

La disposizione denunziata non avrebbe a oggetto la competenza per territorio del pretore, in quanto la localizzazione a Roma dell'esecuzione presso il terzo di sequestri e pignoramenti a carico dei dipendenti statali deriva dalla circostanza che ha sede a Roma l'organo dello Stato legittimato. Si tratta, dunque, di norma di organizzazione che è espressione di scelte discrezionali del legislatore, coerenti con il principio dell'unitaria personalità dello Stato e con il disposto dell'art. 543, cpv., n. 4, del codice di procedura civile, che attribuisce la competenza al pretore del luogo di residenza del terzo (in questo caso, un organo del Ministero del tesoro).

 

La giurisprudenza costituzionale - ricorda l'Avvocatura - ha considerato legittime le norme che derogano all'ordinaria competenza per territorio quando vi sia un apprezzabile interesse, e infatti la concentrazione in esame risponde non solo ad esigenze amministrative di gestione unitaria, ma anche agli interessi dei creditori esecutanti, i quali hanno un sicuro centro di riferimento per l'instaurazione delle procedure e sono altresì posti al riparo da disguidi in caso di trasferimento degli impiegati.

 

Considerato in diritto

 

1. Il Pretore dell'Aquila dubita, in riferimento agli artt. 3, 24, 25 e 97 della Costituzione, della legittimità dell'art. 3 del d.P.R.5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni) laddove, dichiarando che i sequestri e i pignoramenti a carico dei dipendenti statali si eseguono presso l'Ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello Stato del Ministero del tesoro, radica la competenza giurisdizionale in capo al Pretore di Roma.

 

Secondo l'Avvocatura dello Stato, la disposizione denunziata non ha a oggetto la competenza territoriale del pretore: la localizzazione a Roma dell'esecuzione di sequestri e pignoramenti a carico dei dipendenti statali deriva dalla circostanza che ha sede a Roma l'organo legittimato; si tratterebbe, quindi, di norma organizzativa coerente con il principio dell'unitaria personalità dello Stato.

 

Ma è proprio dall'art. 3 in esame (parzialmente modificato prima dal d.P.R. 5 luglio 1960, n. 891, e poi dall'art. 27 della legge 12 agosto 1962, n. 1289, che ha devoluto le attribuzioni del citato Ispettorato ad altro ufficio del ministero, e precisamente alla direzione generale degli affari generali e del personale) che deriva l'accentramento, in capo al Pretore di Roma, della competenza per qualsiasi causa sorta nel territorio nazionale; e ciò non come conseguenza accidentale, ma come effetto immediato della norma denunziata, che va perciò sottoposta allo scrutinio di costituzionalità alla luce dei parametri invocati.

 

2. Va esaminata per prima la censura che muove dall'art. 24 della Costituzione.

 

Questa Corte ha già affermato che eventuali discipline differenziate sulla competenza giudiziaria territoriale devono essere sorrette da un apprezzabile interesse pubblico. In ogni caso, non dovrà compromettersi il diritto di difesa, che è principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale (su quest'ultimo punto, v. la sent. n. 18 del 1982; e poi, sull'ammissibilità di deroghe ai criteri generali in tema di competenza, le sentt. nn. 369 del 1993, 189 del 1992, 477 del 1991, 117 del 1990, 4 del 1969).

 

Non appare risolutiva l'evocazione dell'unitaria personalità dello Stato: il carattere pluralistico assunto dall'amministrazione pubblica ha infatti portato da tempo alla revisione della concezione tradizionale. La pubblica amministrazione non è più da considerare un blocco unitario, nè sotto il profilo strutturale, nè sotto quello funzionale, giacchè si articola in un complesso di centri operativi (come sottolineato anche dalla giurisprudenza di questa Corte: fra le varie, in tema, v. la sent. n. 878 del 1988). E un segno di siffatto mutamento si rinviene già nell'art. 69, primo comma, del regio decreto 18 novembre 1923, n. 2440, in base al quale le cessioni, le delegazioni, i pignoramenti e i sequestri relativi a somme dovute dallo Stato debbono essere notificate all'Amministrazione centrale ovvero all'ente, ufficio o funzionario cui spetta ordinare il pagamento.

 

Sì che senza voler ripercorrere, qui, l'evoluzione delle norme di organizzazione in tale settore, vanno ricordati i compiti devoluti, in particolare, alle direzioni provinciali del tesoro a seguito della meccanizzazione del pagamento degli stipendi e degli altri assegni fissi spettanti agli impiegati delle amministrazioni periferiche dello Stato (v. specialmente il d.P.R. 26 maggio 1956, n. 653).

 

3. Non vi è dunque un interesse costituzionalmente rilevante che giustifichi la norma denunziata, nella parte in cui prevede l'esecuzione dei sequestri e dei pignoramenti in esame presso un organo dell'amministrazione centrale del Ministero del tesoro, anzichè presso l'organo dell'amministrazione che, in concreto, è titolare del potere di disporre la spesa: soluzione, questa, coerente con i precetti costituzionali e rispettosa delle esigenze che attengono all'esecuzione e delle ragioni dei creditori.

 

Sono assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale dedotti nell'ordinanza di rimessione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 3 del d.P.R. 5 gennaio 1950, n. 180 (Approvazione del testo unico delle leggi concernenti il sequestro, il pignoramento e la cessione degli stipendi, salari e pensioni dei dipendenti dalle Pubbliche Amministrazioni), nella parte in cui prevede che i sequestri e i pignoramenti a carico dei dipendenti dello Stato si eseguono presso l'Ispettorato generale per il credito ai dipendenti dello Stato del Ministero del tesoro, anzichè presso l'organo dell'amministrazione che è titolare del potere di disporre la spesa.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 6 giugno 1994 .

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GUIZZI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 10/06/1994.