SENTENZA N. 223
ANNO 1994
REPUBBLICA ITALIANA
In
nome del Popolo Italiano
composta dai signori:
Presidente
Prof. Francesco Paolo CASAVOLA
Giudici
Avv. Ugo SPAGNOLI
Prof. Vincenzo CAIANIELLO
Avv. Mauro FERRI
Prof. Luigi MENGONI
Prof. Enzo CHELI
Dott. Renato GRANATA
Prof. Giuliano VASSALLI
Prof. Francesco GUIZZI
Prof. Cesare MIRABELLI
Prof. Fernando SANTOSUOSSO
Avv. Massimo VARI
Dott. Cesare RUPERTO
ha pronunciato la seguente
SENTENZA
nel giudizio di legittimità
costituzionale dell'art. 689 del codice di procedura penale, promosso con
ordinanza emessa il 22 luglio 1993 dal Tribunale di Varese sull'istanza
proposta da Ermolli Mauro, iscritta al n. 695 del registro ordinanze 1993 e
pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 48, prima serie
speciale, dell'anno 1993.
Visto l'atto di intervento del
Presidente del Consiglio dei ministri;
udito nella camera di consiglio del 23
marzo 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.
Ritenuto in fatto
1.- Nell'ambito di un procedimento
instaurato, ai sensi dell' art.690 del codice di procedura penale, per la
cancellazione dal casellario giudiziale di una iscrizione di condanna a pena
pecuniaria (ammenda, comprensiva di pena sostitutiva dell'arresto) irrogata con
decreto penale, nonchè per la non menzione di detta condanna nel certificato
correlativo, il Tribunale di Varese ha sollevato, con ordinanza del 22 luglio
1993, questione di legittimità costituzionale dell'art. 689 del medesimo
codice, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui
include nell'elenco delle pronunce che non sono menzionate nel certificato del
casellario giudiziale rilasciato a richiesta dell'interessato la sentenza di
"patteggiamento" di cui all'art. 445 del codice di procedura penale e
non anche il decreto penale di condanna.
2. - Nel sollevare la questione, il
rimettente si sofferma preliminarmente sull'istanza, proposta dalla difesa
dell'interessato, diretta a ottenere la cancellazione dell'iscrizione
attraverso l'applicazione analogica della disciplina dettata con riguardo alle
sentenze di "patteggiamento" ex artt. 77 e seguenti della legge n.
689 del 1981 (normativa abrogata a regime col nuovo codice, e vigente solo in
via transitoria: artt. 196, 234, 248, comma 4, disp. att., trans. e coord.
c.p.p.); la conclusione è, sul punto, negativa, avuto in particolare riguardo
alla differenza tra l'applicazione della sanzione sostitutiva a norma degli
artt.53 e seguenti della legge n. 689 del 1981 - normativa tuttora in vigore,
ed anzi presupposta dal codice, della quale del resto è stata fatta
applicazione in concreto con il decreto penale iscritto - e il previgente
"patteggiamento" ex artt. 77 e seguenti della legge citata, istituto
eccezionale e con connotati peculiari, ostativi, sia per la lettera che per la
ratio delle norme, all'accoglimento di questa istanza.
3.- Diffusamente analizzata, poi, la
normativa in tema di casellario giudiziale nonchè, parallelamente, quella
dettata per il "nuovo" patteggiamento disciplinato dal codice di
procedura penale agli artt. 444 e seguenti, il Tribunale rileva che:
a) il decreto penale di condanna è, nel
caso di specie, assoggettato ad iscrizione nel certificato del casellario
giudiziale, e non rientra in alcuna delle ipotesi di esclusione
dell'iscrizione, in particolare per quanto riguarda i certificati rilasciati su
richiesta dell'interessato (art.689 c.p.p.);
b) la sentenza di applicazione della
pena su richiesta (o "patteggiamento") è anch'essa assoggettata ad
iscrizione nel certificato del casellario giudiziale, giacchè è
"equiparata" ad una sentenza di condanna (art.445, comma 1); essa,
tuttavia, è espressamente esclusa dall'ambito delle iscrizioni che risultano
nel certificato del casellario rilasciato a richiesta dell'interessato (art.
689, comma 2, lett. a), punto 5, del codice di procedura penale, dove questo
tipo di sentenza è accomunato alla sentenza di patteggiamento ex art.77 della
legge n. 689 del 1981).
4.- La diversa disciplina sopra
accennata, e più esattamente la mancata inclusione anche del decreto penale di
condanna nel novero - tassativo - delle iscrizioni che non debbono risultare
nel certificato rilasciato su richiesta dell'interessato ex art. 689 del codice
di procedura penale, integra, ad avviso del Tribunale, un vizio di
irragionevolezza della citata norma impugnata, nel raffronto con quanto
all'opposto stabilito per la sentenza di applicazione della pena su richiesta,
in riferimento all'art. 3 della Costituzione.
5.- Le coordinate argomentative della
lamentata incostituzionalità concernono da un lato la finalità della norma
impugnata, dall'altro la comparazione tra gli istituti processuali (decreto
penale e patteggiamento) i cui epiloghi soggiacciono alla detta differenziata
disciplina.
6.- Sotto il primo profilo, il Tribunale
reputa che la ratio della norma sull'esclusione di talune iscrizioni dal
certificato del casellario giudiziale (sia generale, che penale) sia quella di
incentivare il recupero del condannato attraverso l'eliminazione di una delle
conseguenze negative del reato, quella attinente alla pubblicità del suo
autore; con detta norma, il legislatore agevola il reinserimento sociale
eliminando l'annotazione di pronunce relative a fatti di modesta dimensione o
comunque indicativi di una ridotta antisocialità (contravvenzioni punite con la
sola ammenda; "patteggiamenti";condanne con il beneficio della non
menzione) ovvero rispetto ai quali siano intervenute vicende di carattere
estintivo (riabilitazione; abolitio criminis; amnistia;cause estintive
speciali); particolare risalto è dato, nell'ordinanza di rimessione, al rilievo
per cui la sentenza di patteggiamento è esclusa dall'iscrizione nel certificato
ex art. 689 del codice, così anticipandosi per questa parte l'effetto
favorevole scaturente dalla estinzione del reato che consegue alla citata
pronuncia, decorso un certo termine (art. 445, comma 2).
7.- Sotto il secondo profilo, il
Tribunale individua una identica finalità negli istituti posti a raffronto:
tanto il decreto penale di condanna quanto la sentenza di patteggiamento (ex
artt.444 e segg.c.p.p.) costituiscono riti differenziati che realizzano una
anticipata definizione del procedimento.
Attesa la comune finalità, è ravvisabile
una irragionevole disparità di trattamento nella già riferita disciplina;
disparità accentuata dal rilievo per cui la pronunzia di cui all'art. 444 del
codice di procedura penale ha un ambito di operatività assai ampio e può
concernere condanne a pene detentive sino a due anni, mentre il decreto penale
ha riguardo a reati puniti con pene pecuniarie ovvero con pene detentive
sostituite dalle prime, nel limite di un mese.
In conclusione, la scelta legislativa,
che "premia" con la non menzione nel certificato a richiesta
dell'interessato il ricorso al patteggiamento, è reputata arbitraria, in quanto
è il procedimento per decreto quello che più degli altri soddisfa le esigenze,
di economia processuale e di deflazione, che hanno ispirato il legislatore per
questa parte della disciplina del codice; ed è infine da rilevare - conclude il
rimettente - che attraverso l'opposizione al decreto penale è possibile
accedere al patteggiamento, e dunque fruire della non menzione nel certificato
in discorso, ciò che è precluso invece prestando acquiescenza al decreto
penale.
8.- É intervenuto in giudizio il
Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura
Generale dello Stato. In una memoria prodotta a sostegno dell'atto di
intervento, l'Avvocatura nega la validità dell'asserzione circa la identità di
ratio e struttura che starebbe al fondo dei due procedimenti, quello per
decreto e quello del patteggiamento, i quali non presentano in effetti altra
consonanza se non nel fatto di essere entrambi diversi ("speciali")
dal processo ordinario. Esclusa la assimilazione dei riti, ne segue - conclude
l'interveniente - la razionalità della diversificazione, e dunque la non
fondatezza della questione sollevata.
Considerato in diritto
1.- Il Tribunale di Varese dubita,
in riferimento all'art. 3 della Costituzione, della legittimità costituzionale
dell'art.689 del codice di procedura penale nella parte in cui non include il
decreto penale di condanna nell'elenco delle pronunce non menzionabili ex lege
nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a richiesta
dall'interessato, in ciò ravvisando un contrasto con l'art. 3 della
Costituzione per irragionevolezza, una volta che lo stesso articolo esclude da
detta menzione la sentenza di applicazione della pena su richiesta (c.d.
"patteggiamento": comma 2, lett.a), n. 5 della norma impugnata).
2.- La questione non è fondata.
Quanto al profilo, prospettato
nell'ordinanza di rinvio, circa la funzione di incentivazione al recupero
sociale del condannato che sarebbe alla base delle ipotesi di esclusione della
menzione nel certificato del casellario di pronunce relative a fatti di modesta
dimensione o di ridotta antisocialità, osserva
3.- Ma il giudice rimettente reputa
appunto irragionevole aver previsto il beneficio per le sentenze di
applicazione della pena su richiesta (c.d."patteggiamento") ai sensi
dell'art.445 del codice di procedura penale, che possono comportare la condanna
a pene detentive fino a due anni di reclusione, e non per il decreto penale che
ha riguardo a condanne solo a pene pecuniarie ovvero a pene detentive
sostituite dalle prime nel limite di "un mese" (oggi, tre mesi, dopo la
modifica dell'art. 53 della legge n. 689 del 1981 ad opera dell'art. 5 del
decreto-legge 14 giugno 1993, n. 187, convertito in legge 12 agosto 1993, n.
296).
Osserva
Se è vero , come ricorda il giudice a
quo, che in entrambe dette ipotesi - del "patteggiamento" e del
decreto penale - si è in presenza di riti alternativi rispetto al giudizio
ordinario, riti diretti cioè a realizzare una anticipata definizione del
procedimento, diversi sono tuttavia nei due casi i presupposti e le modalità
attraverso i quali vi si perviene.
Mentre con il decreto penale, omesso il
contraddittorio, si perviene alla condanna mediante l'attività esclusiva del
pubblico ministero e del giudice, senza nessun apporto dell'imputato - alla cui
iniziativa, come è noto, è rimessa solo successivamente la possibilità di
ripercorrere le fasi processuali omesse per poter esercitare il diritto di
difesa - con il c.d. "patteggiamento" la definizione anticipata del
processo, in funzione deflattiva del dibattimento, consegue alla iniziativa - o
al consenso - dell'imputato, il quale viene a ciò incentivato anche dalla
previsione del beneficio ex lege della non menzione.
Non senza ancora considerare, alla luce
di quanto appena precisato, e tralasciando il connotato estintivo sostanziale
che accede all'istituto del "patteggiamento", che, anche a volersi
ammettere una certa assimilazione, quoad effectum e nel rispettivo contenuto,
della sentenza pronunciata a seguito di "patteggiamento" al decreto
penale di condanna, il secondo si differenzia dalla prima sotto i profili
ontologico e strutturale, perchè costituisce (alla pari della sentenza di
condanna in senso proprio) pur sempre un atto riconducibile soltanto alla
volontà del giudice. E ciò è sufficiente ad escludere l'irragionevolezza della
mancata estensione al decreto penale della deroga alla disciplina generale
della non menzione, pur prevista ex lege per le sentenze di applicazione della
pena su richiesta, perchè questa deroga appare dettata da una esigenza
specifica - e cioè quella di ulteriormente incentivare l'imputato a pervenire
sollecitamente alla definizione del processo - che non rileva nel decreto
penale, il quale ultimo, coerentemente, può contenere o meno, in base ai comuni
criteri prognostici, la statuizione relativa alla concessione del beneficio
(art. 460, comma 2, c.p.p.), al pari della sentenza di condanna in senso
proprio.
4.- Per quel che riguarda poi il
rilievo, formulato nell'ordinanza di rinvio, secondo cui la mancata estensione
del beneficio di cui trattasi al decreto penale sarebbe arbitraria, potendosi -
mediante l'opposizione al decreto penale - accedere al
"patteggiamento" e fruire così ex lege del beneficio in questione per
altra via, in contrasto con gli scopi propri dei riti alternativi che sono
quelli di pervenire sollecitamente alla definizione dei processi, osserva
Un inconveniente che spetterebbe in ogni
caso solo al legislatore di correggere, valutata l'opportunità di farlo,
dovendo pur sempre farsi carico contemporaneamente di altri effetti, operanti
su piani diversi, che l'estensione del beneficio potrebbe comportare. Non senza
considerare che l'inconveniente è solo eventuale, sia perchè rilevabile solo
nell'ipotesi in cui il decreto penale opposto non contenga la concessione del
beneficio in argomento; sia perchè l'incentivo a proporre opposizione al
decreto per fruire della non menzione è compensato dal rischio di una decisione
complessivamente meno vantaggiosa per l'imputato.
Nè rispetto alla scelta attualmente
operata dal legislatore
PER QUESTI MOTIVI
dichiara non fondata la questione
di legittimità costituzionale dell'art. 689 codice di procedura penale - nella
parte in cui non include il decreto penale di condanna fra le pronunce non
menzionabili ex lege nel certificato del casellario giudiziale rilasciato a
richiesta dell'interessato - sollevata, in riferimento all'art. 3 della
Costituzione, dal Tribunale di Varese con l'ordinanza indicata in epigrafe.
Così deciso in Roma, nella sede della
Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il
Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente
Vincenzo CAIANIELLO, Redattore
Depositata in cancelleria il 08/06/1994.