Sentenza n. 220 del 1994

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SENTENZA N. 220

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentige della Magistratura), promosso con ordinanza emessa il 24 settembre 1993 dal Consiglio Superiore della Magistratura - Sezione disciplinare nel procedimento disciplinare relativo a CONIGLIARO Giovanni, iscritta al n. 781 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 4, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 27 aprile 1994 il Giudice relatore Cesare Ruperto;

 

Ritenuto in fatto

 

 1. - Nel corso di un procedimento in cui l'incolpato, affermando di non aver reperito un magistrato disposto ad assisterlo, aveva chiesto alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura di sollevare questione di legittimità costituzionale dell'art.34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentigie della Magistratura), nella parte in cui non consente la nomina di un avvocato quale difensore, la Sezione medesima, con ordinanza emessa il 24 settembre 1993, dopo aver respinto tale prospettazione, ha viceversa sollevato questione di legittimità costituzionale della norma citata, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, sotto due diversi e distinti profili.

 

Premette la Sezione disciplinare che il diritto di difesa può essere articolato in forme e modalità diverse e non implica necessariamente l'apporto tecnico di un avvocato. Tuttavia la norma non si sottrarrebbe al dubbio di legittimità nella parte in cui rimette alla scelta discrezionale dell'incolpato se avvalersi o meno di un difensore. La stessa facoltatività della difesa in sostanza, soprattutto quando sia lecito dubitare della piena consapevolezza dell'incolpato, comporterebbe il denunciato vulnus.

 

Alla luce poi dell'interpretazione della norma impugnata che la stessa Sezione remittente afferma di seguire costantemente, escludendo che essa consenta di procedere alla nomina di un difensore d'ufficio - ancorchè magistrato - nei casi in cui l'incolpato "non intenda o non possa" nominare un collega, si profilerebbe un ulteriore aspetto d'illegittimità, concretantesi in tale preclusione alla nomina d'ufficio.

 

2. - É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha rilevato come la difesa tecnica da parte di un collega - anche alla stregua delle affermazioni della Suprema Corte - non violi il diritto di difesa nel procedimento disciplinare nei confronti del magistrato. Altrettanto potrebbe sostenersi per l'autodifesa allorchè non intervenga la nomina di un altro magistrato: tale possibilità risulterebbe coerente "con il principio di autogoverno e di autodichia della magistratura e con le peculiarità del procedimento disciplinare", anche per la particolare qualificazione dell'incolpato.

 

Comunque la presenza di un difensore non sarebbe sempre ed in assoluto costituzionalmente richiesta, dovendosi avere riguardo alla funzione oggettiva cui la difesa è preordinata e non alla scelta soggettiva dell'interessato.

 

L'Avvocatura ha altresì proposto un'interpretazione adeguatrice della norma, nel senso che essa, per non restare "priva di contenuto o quanto meno claudicante", dovrebbe comportare il potere, da parte della Sezione, di nominare un difensore d'ufficio.

 

Considerato in diritto

 

 1. - L'art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511, è sospettato d'illegittimità costituzionale dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura sotto due profili: là dove prevede la possibilità per l'incolpato, di farsi assistere da altro magistrato come una facoltà e non già come un obbligo ed in secondo luogo nella parte in cui non consente la nomina di un magistrato- difensore di ufficio nei casi in cui l'incolpato "non intenda o non possa nominare un difensore".

 

Specifica il giudice a quo che nella specie "l'incolpato si è presentato al dibattimento privo di difensore, nonostante la sua volontà di avvalersi della difesa di un altro magistrato, non avendo, a suo dire, potuto reperire un collega disposto ad assisterlo". "Per costante interpretazione", conclude la remittente, si esclude che l'impugnato art. 34 consenta la nomina di ufficio di un magistrato difensore.

 

2. - Tale premessa di fatto palesa l'irrilevanza del primo dei dedotti profili d'illegittimità costituzionale, non venendo qui in evidenza l'aspetto dell'obbligatorietà della difesa, posto che l'incolpato ha già espresso la propria intenzione di valersi di un difensore, sì che il momento della discrezionalità della scelta tra assistenza ed autodifesa risulta ormai superato nella dinamica del procedimento.

 

La relativa questione deve quindi essere di chiarata inammissibile.

 

3.1. - Il secondo profilo va altresì scrutinato con riguardo alla sola ipotesi rilevante, quella dell'incolpato che non possa nominare un magistrato difensore e non già che non intenda farlo. Tale seconda eventualità riconduce infatti alla prospettazione sub 2, cioé ad un problema di alternativa tra l'assistenza obbligatoria e l'assistenza facoltativa, che esula dal procedimento a quo.

 

Così circoscritta nella sua rilevanza e precisata nei suoi termini, la questione è fondata.

 

3.2. - Questa Corte ha costantemente ritenuto che il procedimento disciplinare nei confronti dei magistrati è strutturalmente e funzionalmente diverso da quello previsto per gli impiegati dello Stato.

 

Nel suo carattere giurisdizionale ed in una serie di peculiarità, l'intera vicenda disciplinare riflette il proprium dell'Ordine giudiziario e le implicazioni che essa comporta nell'esercizio delle funzioni giurisdizionali (Sent. 289 del 1992).

 

A tale specificità si ricollega la particolare previsione dettata dalla norma impugnata, che limita all'àmbito dei magistrati i soggetti legittimati a difendere l'incolpato e rimette a quest'ultimo l'opzione tra autodifesa ed assistenza del collega.

 

Più in generale, questa Corte ha chiarito, quanto a modalità di esercizio del diritto di difesa, che esso può essere dal legislatore "diversamente regolato e adattato alle speciali esigenze dei singoli procedimenti, purchè non ne siano pregiudicati lo scopo e le funzioni" (Sentenze nn. 159/72, 119/74, 62/75). Scopo e funzioni che si concretizzano, in primo luogo, nella garanzia di un effettivo contraddittorio e di un'assistenza di tipo tecnico-professionale.

 

Al riguardo la Corte ha sottolineato che il diritto di difesa può dirsi assicurato, come regola, nella misura in cui si dia all'interessato la possibilità di partecipare ad un'effettiva dialettica processuale, non realizzabile senza l'intervento del difensore (Sentenza n. 190/70).

 

Ora, nel caso in esame, è vero che il legislatore ha ritenuto l'assistenza in parola surrogabile con il bagaglio culturale e l'esperienza professionale di cui il magistrato è normalmente portatore, così giustificando la previsione dell'autodifesa e la limitazione dell'assistenza ai soli colleghi. Ma è altresì chiaro che, nel momento in cui la scelta dell'incolpato si sia compiuta nel senso di valersi dell'opera di un collega, la garanzia di effettività del diritto di quella difesa che l'interessato non ritiene di potersi assicurare da solo, postula la necessità che tale assistenza venga comunque resa possibile.

 

Gli stessi argomenti che sono alla base della possibilità di difendersi solo personalmente, accreditando all'incolpato preparazione tecnica e discernimento sufficienti a decidere se farsi assistere o meno da un collega, militano a favore della necessità di una nomina d'ufficio ove tale opera difensiva non si concretizzi.

 

In altri e conclusivi termini, il precetto di cui all'art. 24 della Costituzione non consente che ragioni di carattere oggettivo - ostative all'individuazione e nomina di un collega difensore - vengano a comprimere in danno dell'incolpato quella possibilità di consapevole ed attiva partecipazione al procedimento, in cui si sostanzia l'effettività della difesa.

 

Il dato testuale dell'art. 34 non permette l'interpretazione adeguatrice suggerita dall'Autorità intervenuta, sì che la norma va dichiarata illegittima nella parte in cui non prevede esplicitamente la possibilità, per la Sezione disciplinare, di nominare un magistrato difensore d'ufficio all'incolpato che abbia scelto di farsi assistere da un collega: analogamente, del resto, a quanto è legislativamente previsto per altre ipotesi di procedimenti disciplinari (cfr. ad es. gli artt. 17, comma 4, delle disposizioni d'attuazione C.P.P. e 15, secondo comma, della legge 11 luglio 1978, n. 382 "Norme di principio sulla disciplina militare").

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 34, secondo comma, del regio decreto legislativo 31 maggio 1946, n. 511 (Guarentige della Magistratura), nella parte in cui non consente alla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura di disporre d'ufficio la nomina di un magistrato difensore;

 

dichiara inammissibile la ulteriore questione di legittimità costituzionale della medesima disposizione, sollevata in riferimento all'art. 24 della Costituzione dalla Sezione disciplinare del Consiglio Superiore della Magistratura con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare RUPERTO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 08/06/1994.