Ordinanza n. 214 del 1994

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ORDINANZA N. 214

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

ORDINANZA

 

 

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), promossi con ordinanze emesse il 31 maggio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio (n. 3 ordinanze), il 19 luglio 1993 dal Pretore di Palermo ed il 22 ottobre 1993 dal Tribunale amministrativo regionale della Calabria, rispettivamente iscritte ai nn. 625, 626, 627, 647 e 776 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn.43 e 44, prima serie speciale, dell'anno 1993 e n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1994.

 

Visti gli atti di costituzione di Tarragoni Massimo, Biasini Gianna, Valeri Romeo, Lanzara Pietro e Pellegrini Luigi, nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 13 aprile 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri.

 

Ritenuto che, con tre ordinanze di identico contenuto emesse il 31 maggio 1993 (r.o. nn. 625, 626 e 627/93), il TAR del Lazio ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412, in riferimento agli artt. 3, 4, 35 e 97 della Costituzione;

 

che il giudice a quo, premesso che la norma impugnata, dopo aver stabilito che "con il Servizio sanitario nazionale può intercorrere un unico rapporto di lavoro", impone ai medici che abbiano più di un rapporto, anche di natura convenzionale, con il Servizio sanitario di far cessare tale situazione di incompatibilità entro il 31 dicembre 1992, censura la norma medesima sotto i seguenti profili:

 

a) violazione del principio di eguaglianza, "perchè - non prevedendo garanzia di sorta per il rapporto convenzionato - riserva trattamenti irragionevolmente differenziati ad esercenti la professione sanitaria che, essendo nella pari condizione di titolari degli stessi due rapporti di collaborazione con il Servizio sanitario nazionale, optino in forza della medesima legge gli uni per il rapporto dipendente e gli altri per il rapporto convenzionato";

 

b) violazione degli artt. 4 e 35 della Costituzione, "perchè, generando di fatto una grave e repentina disarmonia di trattamento normativo e retributivo tra le due categorie di medici di cui al precedente punto, toglie in concreto - pur formalmente attribuendola - ogni possibilità di scelta ai medici che, in forza della legge n. 833 del 1978, sono titolari dei citati due rapporti di collaborazione lavorativa con il Servizio sanitario nazionale";

 

c) violazione degli artt. 3 e 97 della Costituzione per difetto di ragionevolezza, in quanto: 1) il d.l. n. 384 del 1992 (convertito in legge n. 438 del 1992) ha sospeso fino al 31 dicembre 1993 la possibilità per i pubblici dipendenti di chiedere il collocamento in quiescenza, con la conseguenza che il medico in condizioni di incompatibilità avrebbe dovuto operare la sua scelta senza avere in concreto la possibilità di accedere alla pensione; 2) l'art. 4, punto 10, del decreto legislativo n.502 del 30 dicembre 1992 ha sancito l'obbligo per i presidi ospedalieri di reperire spazi adeguati per l'esercizio della libera professione intramuraria entro 120 giorni dal 1° gennaio 1993 (con eventuale intervento sostitutivo delle regioni), con la conseguenza che i medici si sono visti imporre l'opzione entro il termine del 31 dicembre 1992, laddove il legislatore ha introdotto solo successivamente norme che erano imprescindibili per il corretto orientamento della opzione medesima;

 

che si sono costituite le parti private Tarragoni, Biasini e Valeri, ricorrenti nei giudizi a quibus, concludendo per l'accoglimento della questione;

 

che è intervenuto in tutti i giudizi il Presidente del Consiglio dei ministri, il quale ha eccepito l'inammissibilità della questione relativamente alle ordinanze nn. 626 e 627/93 (in quanto il TAR avrebbe "travisato i fatti di causa", la cui esatta ricostruzione condurrebbe alla irrilevanza della questione ai fini della decisione), e, nel merito, ha concluso per l'infondatezza della questione medesima sotto tutti i profili;

 

che, con ordinanza del 19 luglio 1993 (r.o. n. 647/93), il Pretore di Palermo ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.4, settimo comma, della legge n. 412 del 1991, "in relazione all'art. 3 della Costituzione nella parte in cui non appresta al personale medico dipendente del Servizio sanitario nazionale la garanzia del passaggio al rapporto di lavoro a tempo pieno qualora intenda far cessare in questo modo la situazione di incompatibilità del doppio rapporto di lavoro, ed all'art. 32 della Costituzione in quanto la sua applicazione costituisce un ostacolo al sistema della tutela della salute come diritto fondamentale dell'individuo";

 

che si è costituita la parte privata Pietro Lanzara, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della questione;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'inammissibilità (per assoluta carenza di motivazione sulla rilevanza) o, in subordine, per l'infondatezza della questione;

 

che, infine, con ordinanza del 22 ottobre 1993 (r.o. n.776/93), il TAR della Calabria ha sollevato anch'esso questione di legittimità costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge n. 412 del 1991, in riferimento agli artt.3, 4, 32 e 35 della Costituzione, "nella parte in cui stabilisce l'incompatibilità, per il personale addetto al Servizio sanitario nazionale, allo svolgimento di attività lavorativa presso strutture private convenzionate con lo stesso Servizio sanitario nazionale";

 

che si è costituita la parte privata Luigi Pellegrini, ricorrente nel giudizio a quo, concludendo per l'accoglimento della questione;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, concludendo per l'infondatezza della questione;

 

che in prossimità della camera di consiglio hanno depositato memoria aggiuntiva i dottori Tarragoni, Biasini, Valeri e Pellegrini (r.o. nn. 625, 626, 627 e 776/93), insistendo, previa istanza di rimessione delle cause in pubblica udienza, per l'accoglimento della questione.

 

Considerato che i giudizi, concernendo questioni identiche o strettamente connesse, vanno riuniti per essere decisi congiuntamente;

 

che, in ordine alle questioni sollevate dal TAR del Lazio (r.o. nn. 625, 626 e 627/93), deve innanzitutto respingersi l'eccezione di inammissibilità sollevata dall'Avvocatura dello Stato, poichè la ricostruzione dei fatti di causa operata dal giudice a quo non può essere oggetto di sindacato da parte di questa Corte;

 

che, nel merito, questa Corte, con sentenza n. 457 del 1993, ha già avuto modo di affermare che il legislatore, nel dettare l'art. 4, settimo comma, della legge n. 412 del 1991, ha inteso sancire con rigore il principio di unicità del rapporto di lavoro con il Servizio sanitario nazionale, avendolo ritenuto particolarmente valido al fine di soddisfare l'esigenza, costituzionalmente protetta, di restituire massima efficienza ed operatività alla rete sanitaria pubblica, e che appare altresì conforme a detta finalità l'aver voluto incentivare la scelta per il rapporto di lavoro dipendente;

 

che, ciò premesso, si è in sintesi ritenuto che il fatto che la norma impugnata non preveda, per il medico che opti per la conservazione del rapporto di natura convenzionale, specifiche garanzie (in ordine, particolarmente, al trattamento retributivo) non viola gli artt. 3, 4 e 35 della Costituzione, anche perchè la situazione in cui il medico si verrà a trovare è comunque frutto di una sua libera scelta, che tale resta pur in presenza di elementi di diversità tra le due alternative, naturalmente collegati alle differenti caratteristiche sostanziali dei due tipi di rapporto di lavoro;

 

che, pertanto, delle questioni sollevate dal TAR del Lazio vanno innanzitutto dichiarate manifestamente infondate quelle sopra indicate sub a) e b), non presentando profili nuovi rispetto a quelli esaminati con la citata pronuncia n. 457 del 1993;

 

che, per quanto riguarda la questione di cui al punto c), deve osservarsi, da un lato, che la sospensione del diritto di accedere alla pensione fino al 31 dicembre 1993 (disposta - in via generale - con il decreto-legge n. 384 del 19 settembre 1992), anche se può aver in concreto costituito un fattore di influenza sull'esercizio dell'opzione, certamente non determina di per sè alcuna irragionevolezza della norma impugnata; dall'altro, che la circostanza che l'obbligo per i presidi ospedalieri di reperire spazi adeguati per l'esercizio della libera professione intramuraria dovesse essere adempiuto - ai sensi dell'art. 4, punto 10, del decreto legislativo n.502 del 1992 - entro 120 giorni dal 1° gennaio 1993 (mentre il termine per effettuare l'opzione era fissato al 31 dicembre 1992) ugualmente non integra alcuna irrazionalità della norma censurata, sia perchè non può comunque aver determinato una coartazione della scelta, sia tenuto conto del rilievo che il menzionato obbligo di garantire gli spazi idonei allo svolgimento della libera attività professionale all'interno delle strutture delle u.s.l. (o, in subordine, all'esterno, mediante convenzioni) non è stato certo introdotto per la prima volta nel 1992 (cfr., ad es., l'art. 35 del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761);

 

che, pertanto, anche la questione sub c) va dichiarata manifestamente infondata;

 

che, passando alla questione sollevata dal Pretore di Palermo (r.o. n.647/93), anch'essa - respinta l'eccezione di inammissibilità dell'Avvocatura dello Stato, in quanto la rilevanza della questione emerge sufficientemente dal tenore dell'ordinanza - va dichiarata manifestamente infondata, poichè non presenta profili nuovi rispetto a quelli esaminati (anche in riferimento all'art. 32 della Costituzione) dalla citata sentenza n. 457 del 1993;

 

che, infine, deve parimenti dichiararsi manifestamente infondata la questione sollevata dal TAR della Calabria (r.o. n. 776/93), in quanto la stessa, già sollevata dal TAR medesimo in termini identici, è stata dichiarata non fondata con la più volte menzionata sentenza n. 457 del 1993, essendo si ritenuto, in sintesi, che, data la peculiarità della natura e delle funzioni delle istituzioni sanitarie private convenzionate, la norma impugnata costituisce frutto di una non irragionevole valutazione discrezionale di politica sanitaria, ispirata dall'intento di assicurare la massima efficienza e funzionalità all'organizzazione sanitaria pubblica, con conseguente esclusione della violazione di tutti i parametri invocati.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

riuniti i giudizi, dichiara la manifesta infondatezza delle questioni di legittimità costituzionale dell'art. 4, settimo comma, della legge 30 dicembre 1991, n. 412 (Disposizioni in materia di finanza pubblica), sollevate, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, 35 e 97 della Costituzione, dal TAR del Lazio, dal Pretore di Palermo e dal TAR della Calabria con le ordinanze in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Mauro FERRI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 02/06/1994.