Sentenza n.190 del 1994

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SENTENZA N. 190

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2 ter, quinto comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia) , integrata dall'art. 14 della legge 13 settembre 1982, n. 646, dell'art.2 ter, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 e dell'art. 4, primo comma, del decreto legge 14 giugno 1989, n. 230, convertito in legge 4 agosto 1989, n. 282 (Disposizioni urgenti per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai sensi della l. 1965 n. 575), promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1993 dalla Corte di appello di Palermo nel procedi mento civile vertente tra il fallimento della s.r.l. "Salone Mobile del 2000" e l'Amministrazione finanziaria dello Stato, iscritta al n. 683 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 47, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 marzo 1994 il Giudice relatore Renato Granata;

 

Ritenuto in fatto

 

1. In un giudizio di opposizione a provvedimento del giudice delegato al fallimento della Società "Salone del Mobile 2000", promosso dall'Amministrazione finanziaria dello Stato per far valere il proprio diritto alla separazione e restituzione di beni della predetta società in virtù di prece dente loro confisca disposta ex art. 2 ter l. 1965 n.575 (come integrato dall'art. 14 l. 1982 n. 646), la corte di appello di Palermo - adita su gravame della curatela avverso la sentenza del Tribunale fallimentare che aveva accolto la domanda restitutoria della Finanza (dopo che, con ordinanza 455/88 di questa Corte, era stata dichiarata manifestamente inammissibile la questione di legittimità di quella normativa, sollevata dallo stesso tribunale) - ha riproposto a sua volta, con ordinanza del 4 giugno 1993, questione di costituzionalità del medesimo art. 2 ter l. 575/65 per contrasto con l'art. 24 Cost; nonchè del combinato contesto di detta norma e del successivo art. 4 l. 1989 n. 282, in riferimento agli artt. 27 co. 1, 25 co. 3 e 24 co. 1 Cost.ne.

 

2. Sottolineato, in premessa, che l'inammissibilità della precedente ordinanza del Tribunale era stata (tra l'altro) motivata da questa Corte in ragione della genericità del suo oggetto, per l'approssimativa indicazione dei "terzi incolpevoli" di cui si lamentava l'omessa tutela, la Corte di Palermo ha precisato che la denuncia, in particolare, coinvolge l'art. 2 ter, comma quinto, l. 575/65 < < nella parte in cui non prevede che i terzi credi tori chirografari o privilegiati del prevenuto (o i soggetti di diritti di natura obbligatoria sulle cose del prevenuto) per titoli anteriori al procedimento di prevenzione, abbiano, sia all'interno del processo di prevenzione sia all'esterno del medesimo, in sede di giudizio civile di cognizione o di esecuzione (individuale o concorsuale), possibilità di ottenere tutela giuridica satisfattoria delle loro pretese sui beni del prevenuto assoggettati al procedimento di confisca o comunque definitivamente confiscati, attraverso tecniche di tutela che, spossessando il prevenuto, facciano salve le pretese creditorie dei terzi medesimi, purchè non soddisfatte sui beni non sequestrati>>; nonchè lo stesso art. 2 ter, comma terzo, l. 575/65 cit. e l'art. 4, comma 1 della successiva l.282/1989 < < nella parte in cui non prevedono che gli effetti della confisca e della devoluzione allo Stato, non eccedano l'ambito personale e patrimoniale dell'indiziato mafioso, ma coinvolgono i terzi di cui sopra, sottraendo loro la possibilità di soddisfare i propri crediti (e le proprie pretese) sulle cose del prevenuto confiscate alle condizioni chiarite>>.

 

3. Ed infatti - ha poi considerato la Corte rimettente in punto di non manifesta infondatezza della impugnativa così riproposta - se la confisca deve essere ablativa di qualsiasi concorrente pretesa di terzi creditori sui beni del prevenuto, viene, per l'effetto, ad attuarsi una espansione dell'intervento sanzionatorio nei confronti di soggetti che non hanno meritato di subirlo.

 

Ciò in quanto se è pur vero che i diritti di credito restano integri, così come il debitore prevenuto resta gravato dei suoi debiti, vero è altresì che< < da un lato il prevenuto sconta la sanzione con beni che sostanzialmente avrebbero dovuto essere liquidati per il soddisfacimento dei terzi creditori e che egli avrebbe comunque perduto, mentre, dall'altro, quelli, pur mantenendo integri i propri diritti, vedono sfumare, di fatto spesso definitivamente, la possibilità di soddisfarli>>.

 

Di modo che, nel caso (come quello di specie) di incapienza del patrimonio del debitore, < < a fronte della totale inefficienza della sanzione nei confronti del prevenuto (tranne la mancata liberazione dai debiti), destinatari indiretti o di riflesso di questa restano i terzi creditori, che (in conseguenza dell'accoglimento dell'opposizione, imposto dalla disciplina positiva della confisca), vengono privati della possibilità attuale di soddisfacimento>>.

 

Per cui appunto emergerebbero - sempre secondo la Corte di appello - i profili di incostituzionalità (già rilevati dal Tribunale) di siffatto meccanismo normativo, sia in relazione all'art. 27 co. 1 della Costituzione sia in relazione all'art.25 co. 3 della stessa ("perchè è certo che i terzi creditori non hanno meritato di subire alcuna sanzione o alcun sacrificio, spesso notevole ed irreversibile"), sia ancora in relazione all'art. 24 co. 1 della Costituzione ("poichè al terzo creditore non titolare di diritti reali di garanzia, non è consentito, nè all'interno del processo di prevenzione nè all'interno del processo esecutivo concorsuale o individuale, l'esercizio del diritto di soddisfare i propri crediti sulle cose oggetto della procedura di prevenzione").

 

4. É intervenuto, nel giudizio innanzi a questa Corte, il Presidente del Consiglio dei ministri per eccepire: in linea preliminare, l'inammissibilità delle questioni per la natura additiva dell'intervento richiesto e per l'inapplicabilità della normativa denunciata al giudizio a quo; e, in subordine, l'infondatezza del merito di ogni censura di legittimità. A suo avviso, infatti, si dovrebbe escludere sia la prospettata violazione dell'art. 24 Cost., perchè "rientra nel potere discrezionale del legislatore (che nella specie risulta ragionevolmente esercitato) accordare la prevalenza alle esigenze di tutela della collettività dall'aggressione della criminalità organizzata, rispetto alle esigenze di tutela dei creditori privati della persona sottoposta a misura di prevenzione patrimoniale"; sia il preteso contrasto con gli artt. 25 e 27 Cost., per la duplice ragione che detti precetti si riferiscono, rispettivamente, al le misure di sicurezza ed alla pena quali misure conseguenti alla consumazione di reati e non già alle misure di prevenzione; sia perchè non sarebbe giuridicamente esatto che le norme sul sequestro vengano applicate nei confronti di terzi estranei (creditori) all'attività illecita del prevenuto, "giacchè tali terzi, semplicemente, sopportano gli effetti indiretti di misure di prevenzione applicate direttamente in danno del soggetto responsabile delle attività illecite".

 

Considerato in diritto

 

1. Con l'ordinanza in epigrafe, la Corte di appello di Palermo denuncia testualmente < < l'art. 2 ter, comma 5, l.1965 n. 375, integrato dall'art. 14 l. 1982 n. 646, in relazione all'art. 24, comma 1, della Costituzione, nella parte in cui non prevede che i terzi creditori chirografari o privilegiati del prevenuto (o i soggetti di diritti di natura obbligatoria sulle cose del prevenuto) per titoli anteriori al procedimento di prevenzione, abbiano sia all'interno del processo di prevenzione sia all'esterno del medesimo, in sede di giudizio civile di cognizione o di esecuzione (individuale o concorsuale), possibilità di ottenere tutela giuridica satisfattoria delle loro pretese sui beni del prevenuto assoggettati al procedimento di confisca o comunque definitivamente confiscati, attraverso tecniche di tutela che, spossessando il prevenuto, facciano salve le pretese creditorie dei terzi medesimi, purchè non soddisfatte sui beni non sequestrati; e comunque lo stesso art. 2 ter citato comma 3 e l'art. 4, comma 1, D.L. n. 230 del 1989 conv. in L.282/1989 in relazione agli artt. 27, comma, 1 e/o 25, comma 3, e 24, comma 1, della Costituzione, laddove non prevedono che gli effetti della confisca e della devoluzione dello Stato, non eccedano l'ambito personale e patrimoniale dell'indiziato mafioso, ma coinvolgono i terzi di cui sopra, sottraendo loro la possibilità di soddisfare i propri crediti (e le proprie pretese) sulle cose del prevenuto confiscate, alle condizioni anzi chiarite>>.

 

2. L'impugnativa sembra articolata su due capi distinti, aventi per oggetto, il primo, il comma 5 dell'art. 2 ter, come attualmente vigente, della legge 646/1982 e, il secondo, il comma 3 dello stesso art. 2 ter e l'art. 4 del d.l. n.230/1989, convertito con legge 282/1989.

 

Ma al di là della testuale formulazione, apparentemente duplice, la questione sollevata è in realtà unica, prospettata sotto due profili concorrenti e reciprocamente integrantisi.

 

Sotto il primo profilo, infatti, è posto l'accento sul momento processuale, pur sempre, però, al fine di pervenire al risultato di diritto sostanziale di consentire ai terzi creditori di poter soddisfare le loro pretese sui beni del debitore anche se < < definitivamente confiscati>>, cioé anche nel caso che il procedimento di prevenzione pervenga alla definitiva confisca. Sotto il secondo profilo, invece, l'accento è posto direttamente sul predetto risultato di diritto sostanziale, peraltro necessariamente presupponendo il momento processuale attraverso il quale farlo valere.

 

In sostanza, il giudice a quo denunzia il "combinato disposto" normativo complessivamente individuato nelle disposizioni da lui indicate in dispositivo, cioé proprio quello che - se applicato - lo condurrebbe a dichiarare la procedura fallimentare tenuta a restituire allo Stato i beni confiscati, che verrebbero così sottratti alla esecuzione concorsuale senza possibilità per i creditori (per titoli anteriori al procedimento di prevenzione e per la parte di crediti che non trovino capienza sugli altri beni del fallito) di esperire alcuna tutela giurisdizionale che consenta di conservare su tali beni la garanzia patrimoniale dei loro crediti.

 

E conseguentemente chiede alla Corte un intervento additivo che introduca nell'ordinamento strumenti di tutela che lascino i terzi creditori - alle condizioni e nei limiti precisati - indenni dagli effetti della confisca in favore dello Stato dei beni del loro debitore.

 

3. La questione così sollevata sfugge pertanto sia ai rilievi di indeterminatezza dell'oggetto e di genericità nella indicazione delle situazioni pregiudicate e dei rimedi auspicati - che avevano condotto, per tali profili, alla declaratoria di inammissibilità, con ordinanza 455/1988, della analoga questione in precedenza sollevata dal tribunale di Palermo nel medesimo giudizio a quo - sia all'eccezione di irrilevanza in questa sede adombrata dall'Avvocatura dello Stato in ragione dell'asserita inapplicabilità alla specie dell'art. 2 ter cit., per essere invece tale norma componente essenziale - per quanto detto - del combinato disposto di cui il giudice a quo deve fare applicazione.

 

4. Ciò non toglie, peraltro, che la questione stessa, alla stregua della sua prospettazione, sia comunque inammissibile, sotto il diverso profilo dei limiti del potere decisorio di questa Corte, rispetto alla discrezionalità del legislatore, in relazione al tipo di intervento additivo richiesto.

 

In principio, il risultato cui il giudice a quo tende sarebbe infatti astrattamente realizzabile attraverso una pluralità di interventi normativi variamente articolati.

 

Sul piano più strettamente processuale, potrebbe ai creditori concedersi azione all'interno dello stesso procedimento di prevenzione per impedirne il prodursi degli effetti nei loro confronti, o invece all'interno della procedura fallimentare per rimuoverli da sè; ovvero indifferentemente nell'una o nell'altra procedura fino a che la prima non si sia conclusa con provvedimento definitivo; o ancora all'interno della prima fino a che sia non definita e, successivamente, all'interno dell'altra.

 

Sul piano sostanziale poi, a parte la pluralità delle possibili variabili del tipo di inopponibilità - inefficacia della confisca (ex lege, con pronunzia dichiarativa; su domanda, con pronunzia costitutiva) nei confronti dei terzi creditori, potrebbe inoltre essere diversamente individuato - ad esempio: o nella formazione del titolo costitutivo del credito, o nel vincolo di indisponibilità scaturente dalla apertura della procedura concorsuale - il fatto giuridico da contrapporre alla misura di prevenzione, ed in relazione all'uno o all'altro potrebbe essere diversamente ordinata la rilevanza della sequenza temporale di essi rispetto allo svolgimento del procedimento di prevenzione: ad esempio anteriorità del titolo o del vincolo rispetto al sequestro, rispetto alla confisca, rispetto alla acquisizione dell'attributo di definitività da parte della confisca.

 

Mentre, anche con riguardo alla provenienza dei beni, è stata adombrata in dottrina l'ipotesi di una possibile sua rilevanza al fine di escludere l'operatività della confisca, limitatamente a quei beni che risultino acquisiti o realizzati dal debitore con il concorso di attribuzioni o prestazioni di terzi in buona fede eseguite con certezza prima della comminatoria della misura patrimoniale.

 

Mai, dunque, potrebbe configurarsi una soluzione obbligata, ma sarebbe per contro ipotizzabile una pluralità di interventi, variamente articolati, sicchè destinatario della richiesta avanzata dal giudice a quo non potrebbe essere altri che il legislatore, non certo questa Corte.

 

Del resto lo stesso giudice a quo, che pur mostra di essere consapevole della molteplicità delle variabili processuali e sostanziali come sopra enunciate, si limita poi ad indicare come oggetto dell'auspicato intervento additivo l'introduzione di "tecniche di tutela" non altrimenti identificate che per il fine cui dovrebbero tendere di "far salve le pretese creditorie dei terzi".

 

E ciò appunto comporta l'inammissibilità della questione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità dell'art.2 ter, quinto comma, della L. 31 maggio 1965 n. 575 (Disposizioni contro la mafia) come modificato ed integrato dell'art. 14 della L. 13 settembre 1982 n. 646, nonchè dello stesso art. 2 ter, comma terzo, L. 1965 n. 575 e dell'art. 4 del d.l. 1989 n. 230 convertito in l. 4 agosto 1989 n. 282 (Disposizioni urgenti per l'amministrazione e la destinazione dei beni confiscati ai sensi della l. 1965 n. 575), sollevata, in riferimento agli artt. 27, comma 1, 25, comma 3, e 24, comma 1, della Costituzione, dalla Corte di Appello di Palermo, con l'ordinanza in epigrafe indicata.

 

Così deciso in Roma nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, l'11 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Renato GRANATA, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 19/05/1994.