Sentenza n. 181 del 1994

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SENTENZA N. 181

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 403 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 28 giugno 1993 dal Tribunale di Lecco nel procedimento penale a carico di Valsecchi Enrico ed altri, iscritta al n. 715 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

Ritenuto in fatto

 

Udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Ugo Spagnoli

 

1.- Con ordinanza in data 28 giugno 1993, il Tribunale di Lecco ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dell'art. 403 del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede la utilizzabilità, nei confronti di imputati i cui difensori non hanno partecipato all'assunzione dell'incidente probatorio, della perizia disposta ai sensi dell'art. 392, primo comma, lettera f) del medesimo codice, nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato la richiesta di estensione dell'incidente per sopravvenuta modificazione dello stato dei luoghi.

 

Premesso che l'incidente probatorio richiesto dal pubblico ministero per assumere perizia diretta ad individuare le cause di un'alluvione che aveva interessato i centri di Valmadrera e Civate si era svolto nel contraddittorio dei soli soggetti allora raggiunti da indizi di responsabilità penale (dapprima, le persone poste al vertice dell'amministrazione comunale di Valmadrera, e, successivamente, a seguito di estensione dell'incidente probatorio disposto ex art. 402 del codice di procedura penale, il sindaco e gli assessori di Civate nonchè il progettista incaricato della sistemazione della Valle Toscio), e che, dopo il deposito della perizia, da cui erano emersi estremi di responsabilità penale a carico dei responsabili del Genio Civile, il giudice per le indagini preliminari aveva respinto la richiesta del pubblico ministero di estensione dell'incidente a tali ultimi soggetti essendo lo stato dei luoghi nel frattempo completamente mutato, il Tribunale, investito del giudizio dibattimentale riguardante i fatti sopra indicati, osserva che, stante il divieto posto dall'art. 403 del codice di procedura penale, la perizia svoltasi nell'incidente non può essere utilizzata nei con fronti degli imputati i cui difensori non erano stati posti in grado di partecipare alla sua assunzione.

 

Secondo il Tribunale, tale disciplina, determinando una sorta di impunità per coloro la cui responsabilità penale è emersa solo dopo l'espletamento della perizia e il mutamento dello stato dei luoghi (tale da rendere la prova non più ripetibile), è innanzi tutto irragionevole, in quanto preclude l'accertamento della verità senza che ciò sia imposto dal rispetto del diritto di difesa. Questo può essere infatti esercitato da tutti gli imputati attraverso la citazione e l'esame del perito in dibattimento, eventualmente con l'ausilio di un consulente tecnico, così da rendere possibile la confutazione o il chiarimento delle conclusioni cui è pervenuto il perito.

 

Inoltre, a parere del giudice a quo, è profilabile una chiara disparità di trattamento tra imputati, a seconda che sia stato o non sia stato oggettivamente possibile procedere in corso di incidente probatorio alla sua estensione.

 

Infine, si deduce nell'ordinanza, la disposizione impugnata determina un ostacolo all'esercizio dell'azione penale da parte del pubblico ministero; ostacolo che non deriva da inerzia dell'organo inquirente ma da oggettiva impossibilità.

 

Quanto alla rilevanza della questione, il Tribunale osserva che nella specie l'unica prova raccolta a carico degli imputati nei cui confronti non è stato possibile estendere l'incidente è rappresentata, per l'appunto, dalla perizia assunta in tale sede; talchè, stante il divieto di utilizzazione contenuto nella norma impugnata, sarebbe inevitabile nei loro confronti la immediata declaratoria di assoluzione "per mancanza di prove che gli imputati hanno commesso il fatto".

 

2.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura dello Stato, che ha chiesto che la questione sia dichiarata infondata, in quanto basata su un erroneo presupposto interpretativo.

 

Secondo l'Avvocatura, allorchè, come nella fattispecie, gli elementi di colpevolezza in ordine a uno stesso fatto si concretino in momenti diversi per i vari imputati (con le conseguenti nuove iscrizioni nel registro delle notizie di reato), si è in presenza non di un unico, ma di distinti pro cedimenti penali, i quali mantengono la loro natura anche dopo un eventuale provvedimento di riunione.

 

Ne deriva, secondo la difesa del Governo, che nei confronti di coloro che hanno assunto la qualità di indagati successivamente all'assunzione della prova in incidente probatorio non opera la preclusione dettata dall'art. 403 e si applichi invece la disciplina degli artt. 238 (acquisibilità di verbali di prove di altro procedimento) e 511-bis del codice (lettura di verbali di prove di altri procedimenti).

 

Diversamente, si osserva ancora nell'atto di intervento, si dovrebbe assurdamente concludere che il regime di utilizzazione delle prove assunte in incidente probatorio dipende da evenienze accidentali quali la riunione o separazione dei procedimenti.

 

Considerato in diritto

 

1.- Il Tribunale di Lecco ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 403 cod. proc. pen. nella parte in cui non prevede l'utilizzabilità, nei confronti di imputati i cui difensori non hanno partecipato all'assunzione dell'incidente probatorio, della perizia disposta a norma dell'art. 392, primo comma, lettera f) del medesimo codice, nel caso in cui il giudice per le indagini preliminari abbia rigettato, per sopravvenuta modifica dello stato dei luoghi, la richiesta di estensione dell'incidente probatorio a tali soggetti.

 

Secondo il giudice rimettente, la norma impugnata contrasterebbe, innanzi tutto, con il principio di ragionevolezza, in quanto determinerebbe una sorta di impunità per coloro la cui responsabilità penale è emersa solo dopo l'espletamento della perizia e il mutamento dello stato dei luoghi, tale da rendere la prova non più ripetibile. Sarebbe inoltre violato l'art. 3 Cost. sotto il profilo della disparità di trattamento tra imputati, dipendendo l'utilizzabilità soggettiva della prova assunta in incidente probatorio dalla circostanza che sia stato o meno oggettivamente possibile procedere all'estensione dell'incidente. Infine, risulterebbe leso anche l'art. 112 Cost., per l'ostacolo che tale disposizione determina all'esercizio dell'azione penale nei confronti di alcuni imputati.

 

2.- La questione è infondata, nei termini che verranno di seguito precisati.

 

Sebbene il quesito formulato dal giudice a quo sia circoscritto al caso della non estensibilità dell'incidente probatorio ad altri indagati in relazione alla non reiterabilità della prova (nella specie, perizia) per sopravvenuta modificazione dello stato dei luoghi, la soluzione del problema di costituzionalità dipende, più in generale, dalla definizione della sfera di applicabilità soggettiva dell'art. 403 cod. proc.pen., che limita l'utilizzabilità delle prove assunte con l'incidente probatorio "nei confronti degli imputati i cui difensori hanno partecipato alla loro assunzione".

 

In altri termini, occorre preliminarmente stabilire se tale dettato normativo si estenda anche all'ipotesi in cui la mancata partecipazione dei difensori di alcuni soggetti, poi imputati, derivi dalla circostanza che, come è avvenuto nel procedimento a quo, al momento dell'assunzione della prova non erano ancora emersi elementi indizianti nei loro confronti.

 

3.- La disposizione sottoposta a scrutinio di costituzionalità costituisce sviluppo attuativo della direttiva n. 40 dell'art. 2 della legge-delega 16 febbraio 1987, n. 81, che, in tema di incidente probatorio, prevede l'obbligo "di garantire la partecipazione in contraddittorio del pubblico ministero e dei difensori delle parti direttamente interessate" (seconda subdirettiva); nonchè, il divieto di "... utilizzare le dichiarazioni concernenti persone diverse da quelle chiamate a partecipare" (terza subdirettiva). Interpretando la ratio di tali previsioni, il legislatore delegato ha, nell'art. 403 cod. proc.pen., esteso opportunamente il divieto di utilizzabilità soggettiva a tutte le prove assunte senza la partecipazione dei difensori dei soggetti ad esse interessati, e, quindi, al di là di quelle consistenti in dichiarazioni, le sole formalmente considerate dalla subdirettiva da ultimo citata.

 

Che la norma impugnata sia stata concepita in funzione della salvaguardia del contraddittorio, espressione del più generale diritto di difesa, si ricava, oltre che dallo stretto collegamento tra le predette direttive della legge- delega, dall'esame sistematico di altre disposizioni collocate nel titolo VII del libro V del codice: in particolare, dall'art. 393, primo comma, lettera b), per il quale nella richiesta di incidente devono essere indicate "le persone nei confronti delle quali si procede per i fatti oggetto della prova"; dall'art. 395, che prevede la notificazione della richiesta, a cura di chi l'ha proposta, alle persone come sopra indicate (nonchè, come affermato da questa Corte con la sentenza n. 436 del 1990, ai relativi difensori);dall'art. 396, che regola il contraddittorio preventivo circa l'ammissibilità e la fondatezza della richiesta di incidente, stabilendo un termine per la presentazione di deduzioni scritte; dall'art. 398, secondo comma, lettera b), a tenore del quale, nell'ordinanza che accoglie la richiesta, il giudice indica "le persone interessate all'assunzione della prova individuate sulla base della richiesta e delle deduzioni"; dall'art.401, primo comma, che prevede la partecipazione necessaria all'udienza "del difensore della persona sottoposta alle indagini"; e dal sesto comma del medesimo articolo, che pone il divieto di "estendere l'assunzione della prova a fatti riguardanti persone diverse da quelle i cui difensori partecipano all'incidente probatorio", salvo, peraltro, quanto previsto dall'art. 402, che prevede la necessaria integrazione del contraddittorio in caso di formale richiesta di estensione dell'incidente ad altri soggetti interessati.

 

Dal complesso di tali previsioni può dunque desumersi che la regola di inutilizzabilità soggettiva implicata dall'art.403 costituisce una sanzione processuale per la violazione del principio del contraddittorio, in funzione del quale, come si esprime la Relazione al progetto preliminare del codice (p. 99), l'istituto dell'incidente probatorio è stato "costruito".

 

4.- Poichè l'art. 403 in tanto può trovare applicazione in quanto non sia stato, nel concreto, assicurato il contraddittorio, che si traduce nella regola della partecipazione del difensore della persona sottoposta alle indagini all'assunzione della prova della cui utilizzazione si discute, da tale disposizione non può derivare l'inutilizzabilità della prova formatasi in sede di incidente probatorio nei confronti di soggetti che solo successivamente all'assunzione della prova (ed eventualmente, come nel caso in esame, proprio sulla base di essa) sono stati raggiunti da indizi di colpevolezza, atteso che, per definizione, nessun contraddittorio poteva essere nei loro confronti assicurato.

 

Ed infatti, come questa Corte ha costantemente rilevato, nel processo penale, prima che esista una notizia di reato e che essa si soggettivizzi nei confronti di una determinata persona, non può esistere un problema di tutela del diritto di difesa (sentenze nn. 236 del 1988; 29 e 104 del 1977; 300 del 1974; 179 del 1971; 2 del 1970; 149 del 1969; ordinanza n.655 del 1988), posto che all'indagato o al coindagato "ignoto" non è assicurato alcun tipo di difesa tecnica. Un tale principio, affermato alla luce dell'art. 24 Cost. con riferimento al previgente ordinamento processuale, non può che essere ribadito nel nuovo, non ponendo il codice del 1988, sotto questo riguardo, diverse problematiche.

 

D'altra parte, la disposizione dell'art. 403 si limita a trascrivere, in chiave di utilizzabilità degli atti, la regola di invalidità della prova istruttoria, assunta in violazione delle norme sulla assistenza difensiva, già contenuta nel codice del 1930.

 

Una diversa lettura della disposizione impugnata, che non ne individuasse la ratio di sanzione collegata alla violazione delle regole sul contraddittorio previste per l'incidente probatorio, e le attribuisse quindi un valore "assoluto", condurrebbe a ritenere fondati i dubbi di costituzionalità evidenziati dal giudice a quo. In particolare risulterebbe violato l'art. 112 Cost., perchè, nei confronti di coindagati "ignoti", non sarebbe consentito compiere atti di assicurazione della prova non rinviabile al dibattimento, tali da rendere possibile l'esercizio dell'azione penale, e l'affermazione delle eventuali responsabilità, una volta raggiunta la loro individuazione. Verrebbe anche in causa il principio di ragionevolezza, non essendo comprensibile come altri atti compiuti nella fase delle indagini, suscettibili di varia utilizzazione dibattimentale - e in primis gli accertamenti tecnici non ripetibili ex art. 360 cod. proc.pen. -, per i quali la legge preveda garanzie difensive, sia pure diverse dalla partecipazione necessaria ad un'attività di udienza, possano essere sottratti ad un simile regime di radicale inutilizzabilità soggettiva. Tale considerazione porta dunque a privilegiare, anche a prescindere da quanto sopra osservato, l'interpretazione conforme a Costituzione.

 

5.- É il caso di sottolineare che è rimessa all'apprezzamento dell'autorità giudiziaria la individuazione di quali persone, in relazione all'atto da assumere, debbano essere considerate "indagati", in quanto raggiunte da elementi indizianti. E tale apprezzamento ben può essere vagliato dal giudice del dibattimento, ai fini dell'eventuale applicazione del divieto di utilizzazione probatoria sancito dall'art. 403.

 

Resta fermo, per altro verso, che l'utilizzabilità nel dibattimento della prova assunta in incidente probatorio nei confronti di soggetti solo successivamente sottoposti a indagini non incide in alcun modo sul loro diritto alla prova, tutelato dall'art. 190 cod. proc. pen.. Ne consegue che, se vi è richiesta di parte, il mezzo di prova, ove non sia manifestamente superfluo o irrilevante, deve essere rinnovato in sede dibattimentale; non escluso - trattandosi, come nel caso in esame, di peri zia su luoghi che abbiano subìto modificazione - quello che si basi sull'obbiettività della documentazione acquisita agli atti del procedimento.

 

6.- Una volta interpretata la disposizione impugnata nei termini sopra esposti, la questione, in relazione ai profili invocati, va dichiarata non fondata nei sensi di cui in motivazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 403 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 112 della Costituzione, dal Tribunale di Lecco con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 9 maggio 1994.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPOAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 16/05/1994.