Sentenza n. 171 del 1994

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SENTENZA N. 171

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), promosso con ordinanza emessa il 29 gennaio 1993 dal Tribunale per i minorenni di Trento, nel procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di minore in stato di abbandono, scritta al n. 247 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1993;

 

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Con ordinanza emessa il 29 gennaio 1993 nel corso di un procedimento per la dichiarazione dello stato di adottabilità di minore in stato di abbandono, il Tribunale per i minorenni di Trento ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in riferimento agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione.

 

Nell'ordinanza di rimessione, il giudice a quo premette una sintetica descrizione della fattispecie da cui ha origine la questione sottoposta all'esame di questa Corte, dalla quale si deduce che il Tribunale è stato informato della nascita di un bambino non riconosciuto da nessuno dei genitori, ed indicato nell'atto di nascita come figlio di donna che non intende essere nominata. Successivamente, avendo il Presidente del Tribunale delegato i Servizi sociali a comunicare alla madre le facoltà ad essa spettanti ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184, questa aveva confermato di non intendere nè riconoscere il figlio, nè chiedere la sospensione del procedimento.

 

Il Tribunale, dopo aver dichiarato lo stato di adottabilità e dopo l'inutile decorso dei termini per eventuali opposizioni, ha omesso di deliberare in ordine all'affidamento preadottivo, in quanto una tale pronuncia avrebbe reso definitivamente inefficace un eventuale tardivo riconoscimento.

 

Passando ad esporre i motivi della questione sottoposta all'esame di questa Corte, il Tribunale evidenzia un contrasto tra la condizione giuridica e la realtà storica del minore: sulla base della prima, il bambino va considerato come figlio naturale non riconosciuto; per la seconda, esso - in base a notizie raccolte dall'assistente sociale- sarebbe figlio legittimo (benchè di genitori sconosciuti). Tale contrasto, rileva il giudice a quo, si riflette sull'attività che esso tribunale è chiamato a svolgere al fine di dichiarare lo stato di adottabilità del minore. In particolare, si sottolinea, l'art. 10 prescrive approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive, al fine di verificare se sussiste lo stato di abbandono.

 

Ai sensi di tale norma -motiva il giudice a quo- il tribunale è tenuto ad accertare lo stato di figlio legittimo allo scopo di contestare al padre legittimo lo stato di abbandono, effettuando altresì la scelta dei parenti entro il quarto grado che possano assistere il minore (ai fini della procedura ex art. 12 della legge 4 maggio 1983, n. 184).

 

Dopo aver ricordato come la giurisprudenza della Corte di cassazione riconosca all'atto di nascita natura di elemento costitutivo della legittimità del figlio, il Tribunale ritiene che ciò non valga ad escludere che in presenza di un atto di nascita che indichi il figlio come nato da donna che non vuole essere nominata, venga preclusa ogni ulteriore indagine al tribunale investito della procedura per l'adozione: da qui l'emergere -ad avviso del Tribunale- di una situazione di disparità tra la donna che abbia concepito fuori del matrimonio e la donna coniugata che abbia concepito all'interno del rapporto matrimoniale. Mentre alla prima, infatti, è consentito tacere il nome del padre del bambino ed un'eventuale ricerca di quest'ultimo incontra il limite della volontà della donna (stante l'art. 11, sesto comma, della legge 4 maggio 1983, n.184), alla seconda, viceversa, non sarebbe possibile opporsi agli "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore" relativi anche, secondo il Tribunale, all'individuazione del padre.

 

Tale sistema sembra al giudice rimettente illegittimo, in primo luogo, per la contraddizione che si realizza tra la disposizione dell'art. 10 e la facoltà riconosciuta alla madre di non voler essere nominata nell'atto di nascita; in secondo luogo, per il contrasto con la disciplina stabilita dall'art. 12 della legge 22 maggio 1978, n. 194, che nel riconoscere il diritto della donna ad interrompere la gravidanza esclude l'obbligo di richiedere l'assenso od il consenso del padre. Dal raffronto con quest'ultima disposizione nascerebbe, a giudizio del Tribunale rimettente, un paradosso: la donna potrebbe abortire senza dover neppure informare il padre; nel caso di filiazione naturale potrebbe dichiarare di non voler essere nominata senza dover chiedere l'assenso al padre naturale; ma nel caso in cui il tribunale conosca per vie informali lo stato di filiazione del minore, è costretto a superare la volontà della madre e risalire al padre.

 

Da qui la contraddizione del sistema in quanto, mentre di fronte ad un bene di importanza suprema, quale la vita, la donna ha un potere non comprimibile nè sindacabile, di fronte invece al diritto alla famiglia legittima, che è interesse pur di rango costituzionale ma sottordinato rispetto al bene dell'esistenza, non vi sarebbe alcun potere per la donna di valutare l'interesse del figlio attraverso il diniego ad essere nominata nell'atto di nascita.

 

Tale contraddizione, ad avviso del Tribunale, potrebbe essere rimossa attraverso la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, nella parte in cui ai fini della dichiarazione dello stato di abbandono impone al tribunale, con qualsiasi mezzo, l'individuazione della donna, che non intende essere nominata nell'atto di nascita, e conseguentemente l'individuazione del marito di lei.

 

Tale disposizione risulterebbe in contrasto, ad avviso del giudice a quo, con i seguenti parametri: art. 3 della Costituzione, per l'irrazionale disparità di trattamento che viene a realizzare tra i figli naturali ed i figli legittimi;artt. 31, secondo comma, e 2 della Costituzione, in quanto la tutela della vita e della maternità impongono al legislatore ordinario la tutela della riservatezza della donna, mentre l'intervento dei pubblici poteri si risolverebbe, nel caso concreto, in un pregiudizio per il minore ed in una lesione del diritto alla riservatezza; circostanze nelle quali, secondo l'ordinanza n. 388 del 1988 di questa Corte, detto intervento deve evitarsi.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Tribunale per i minorenni di Trento dubita della legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), in riferimento agli artt. 2, 3 e 31 della Costituzione, per i motivi ampiamente sopraenunciati, i quali si risolverebbero in un pregiudizio per il minore adottando ed in una lesione del diritto alla riservatezza della madre.

 

2. - La questione è inammissibile.

 

Va premesso che, nel sistema della vigente legge n. 184 del 1983, lo stato di abbandono del minore, quale presupposto dei provvedimenti diretti all'adozione speciale, viene accertato in maniera diversa a seconda che risulti o meno l'esistenza dei genitori del minore stesso.

 

Nella prima ipotesi, l'art. 10 della legge prevede che il presidente del tribunale per i minorenni, o un giudice da lui delegato, faccia "approfonditi accertamenti sulle condizioni giuridiche e di fatto del minore, sull'ambiente in cui ha vissuto e vive ai fini di verificare se sussiste lo stato di abbandono", disponendo, eventualmente, gli opportuni provvedimenti temporanei nell'interesse del minore: compresa, se del caso, la sospensione della potestà dei genitori. Tali accertamenti, relativi alle condizioni giuridiche del minore, sono intesi tuttavia a conoscere la situazione risultante dagli atti, non già a modificarla.

 

Nell'altra ipotesi, invece, in cui i genitori non esistono (o perchè deceduti e manchino parenti entro il quarto grado, o perchè la paternità o maternità non risulti da riconoscimento o da dichiarazione giudiziale), la legge stabilisce (art. 11) che il tribunale provveda immediatamente, senza eseguire ulteriori accertamenti, alla dichiarazione dello stato di adottabilità, risultando la condizione di abbandono del minore dal fatto stesso della mancanza dei genitori. In detta ipotesi, le uniche cautele previste sono quelle di tentare di informare i presunti genitori, se possibile, o comunque quello reperibile, della facoltà di chiedere la sospensione della procedura entro il termine stabilito per provvedere al riconoscimento.

 

3. - Deve altresì rilevarsi che qualunque donna partoriente, ancorchè da elementi informali risulti trattarsi di coniugata, può dichiarare di non volere essere nominata nell'atto di nascita. Ove l'ufficiale di stato civile abbia regolarmente redatto l'atto di nascita nei modi dalla legge prescritti per i casi di bambini denunciati come nati da genitori ignoti (artt.71, 72 e 75 del regio decreto 9 luglio 1939, n. 1238), e in difetto del possesso di stato, manca il titolo essenziale perchè si possa considerare legittima la maternità. Non risultando il nome della partoriente - anche se si assuma ex aliunde essere coniugata - non è possibile individuare il marito della stessa, nè rendere operativa la presunzione di paternità di cui all'art.231 del codice civile.

 

4. - In ordine ai problemi posti, ci si limita a ribadire in generale quanto affermato in precedenza da questa Corte, e cioé che il sistema scelto dal legislatore è ispirato all'essenziale principio che secondo cui "l'adozione deve trovare nella tutela dei fondamentali interessi del minore il proprio centro di gravità; il che significa, tra l'altro, che a questi interessi vanno subordinati tanto quelli degli adottanti (o aspiranti tali) quanto quelli della famiglia d'origine" (sentenza n. 388 del 1988).

 

5. - Ora, nell'ordinanza di rimessione da cui ha origine la presente questione, il Tribunale riferisce che "nell'atto di nascita, formato dall'ufficiale di stato civile su denuncia dell'ostetrica che ha assistito al parto, il bambino è stato indicato come figlio di donna che non intende essere nominata"; che "il Presidente ha delegato i servizi sociali a comunicare alla madre le facoltà spettanti ai sensi dell'art. 11 della legge 4 maggio 1983, n. 184", ma che "la madre non intendeva nè riconoscere il figlio, nè chiedere la sospensione del procedimento"; per cui il Tribunale "ha dichiarato lo stato di adottabilità", e, decorsi i termini per eventuali opposizioni, ha affermato che "può farsi luogo ad affidamento preadottivo non essendo intervenuto alcun riconoscimento nel frattempo".

 

6. - A questo punto appare evidente che - a prescindere dal problema se il giudice a quo fosse ancora legittimato a sollevare questione di legittimità costituzionale di norme incidenti sulla declaratoria dello stato di adottabilità, una volta che questo fosse divenuto definitivo - il Tribunale si trovava di fronte ad una fattispecie la cui disciplina è dettata dal richiamato art. 11 (trattandosi di un'ipotesi di inesistenza giuridica dei genitori), e non invece ad una fattispecie regolata dall'art. 10: pertanto il giudice a quo non era tenuto a svolgere gli "approfonditi accertamenti" previsti da detto art. 10 per verificare la sussistenza dello stato di abbandono (dal momento che questo discendeva in re ipsa dall'inesistenza di genitori), dovendosi viceversa limitare a dichiarare lo stato di adottabilità senza svolgere ulteriori indagini.

 

In conseguenza di questo, non solo cade il presupposto interpretativo da cui prende le mosse l'ordinanza di rimessione (che fonda la presunta violazione del diritto alla riservatezza della madre, di cui agli artt. 2 e 31 della Costituzione, nonchè l'invocata disparità di trattamento ex art. 3 della Costituzione, sulla ritenuta necessità di svolgere approfonditi accertamenti) ma si erra altresì nell'individuare la disposizione da applicare al giudizio a quo, che non è l'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184, bensì -a quanto risulta dalla descrizione della fattispecie prospettata nell'ordinanza di rimessione- l'art. 11 della stessa legge.

 

La questione, così come formulata dal giudice a quo, va pertanto dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 10 della legge 4 maggio 1983, n. 184 (Disciplina dell'adozione e dell'affidamento dei minori), sollevata, in riferimento agli articoli 2, 3 e 31 della Costituzione, dal Tribunale per i minorenni di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27/04/94.

 

Gabriele PECSATORE, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 05/05/94.