Sentenza n. 170 del 1994

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SENTENZA N. 170

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO, Giudici

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 613 (Estensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori e coordinamento degli ordinamenti pensionistici per i lavoratori autonomi), promosso con ordinanza emessa il 4 giugno 1993 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Manco Lucia Laura e l'I.N.P.S. ed altra, iscritta al n. 555 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di costituzione dell'I.N.P.S.;

 

udito nell'udienza pubblica del 22 marzo 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un procedimento civile vertente tra Manco Lucia Laura e l'I.N.P.S. relativo al riconoscimento alla prima del diritto alla pensione di vecchiaia, il Pretore di Lecce, con ordinanza emessa il 4 giugno 1993, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art.2, primo comma, della legge 22 luglio 1966, n.613 (Estensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori e coordinamento degli ordinamenti pensionistici per i lavoratori autonomi), nella parte in cui non considera familiari agli effetti della stessa legge agli affini entro il secondo grado.

 

Nell'ordinanza si fa presente che la ricorrente ha lavorato per sette anni, con la qualifica di coadiutrice familiare, nella società commerciale di fatto costituita dal coniuge e dal cognato, e che successivamente la stessa è stata autorizzata dall'I.N.P.S. al versamento volontario dei contributi previdenziali. Raggiunto il sessantesimo anno di età, la ricorrente ha presentato domanda di pensione di vecchiaia: domanda che non è stata accolta dall'Istituto per effetto della cancellazione dei contributi versati in una parte del periodo in cui la stessa era dipendente, in quanto per quel periodo si era verificata la cancellazione del coniuge dall'Albo degli esercenti imprese commerciali.

 

A seguito di tale cancellazione, la ricorrente non avrebbe più avuto titolo ad essere iscritta quale coadiutrice familiare, potendo vantare soltanto un rapporto di affinità (in qualità di cognata) con il gestore dell'esercizio commerciale in oggetto, rapporto non compreso tra quelli previsti dall'art. 2, primo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 613.

 

La questione di costituzionalità appare rilevante, atteso che la ricorrente è affine di secondo grado rispetto all'esercente l'impresa familiare e che, senza l'accreditamento dei contributi previdenziali per il periodo relativo, alla ricorrente non è possibile riconoscere il diritto alla pensione di vecchiaia.

 

Sul punto della non manifesta infondatezza, rileva il giudice rimettente che l'individuazione dei familiari coadiutori, di cui all'art. 2 della legge n. 613 del 1966, sarebbe stata disposta per il solo fatto che, prima della riforma del diritto della famiglia, il loro lavoro sarebbe stato diversamente inteso come prestazione benevolentiae vel affectionis causa con conseguente esclusione di quel titolo (esistenza di un rapporto di lavoro subordinato o autonomo) che è condizione essenziale per la tutela assicurativa obbligatoria ma che, a seguito della novella del 1975, con la relativa introduzione dell'istituto dell'impresa familiare, è stata ammessa la possibilità di inquadrare l'attività di lavoro della famiglia tra i rapporti di lavoro subordinato o autonomo.

 

In seguito a tale evoluzione, sarebbe pertanto venuta meno la ragione giustificativa dell'art.2, primo comma, della legge n. 613 del 1966, tenendo conto che il terzo comma dell'art. 230 bis del codice civile intende come familiare il coniuge, i parenti entro il terzo grado e gli affini entro il secondo.

 

Pertanto, sarebbe non manifestamente infondata, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, la questione di legittimità costituzionale della disposizione sopra indicata, in quanto i familiari ricompresi nella definizione dell'art. 230 bis, terzo comma, del codice civile, devono tutti partecipare all'impresa familiare con gli stessi diritti, ivi compresi quelli previdenziali, come già affermato da questa Corte con la sentenza n. 485 del 1992 relativamente all'impresa artigiana.

 

2. - Si è costituito l'I.N.P.S., dichiarando di rimettersi alla decisione della Corte, e contestualmente richiamando la ratio decidendi posta a fondamento della sentenza n. 485 del 1992 di questa Corte.

 

Considerato in diritto

 

1. - Il Pretore di Lecce ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 2, primo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 613 (Estensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori e coordinamento degli ordinamenti pensionistici per i lavoratori autonomi), nella parte in cui considera familiari agli effetti della stessa legge gli affini entro il secondo grado.

 

2. - La questione è fondata.

 

La disposizione denunziata limita la nozione di "familiari coadiutori", agli effetti di cui alla legge che la contiene, alle categorie dalla stessa specificamente indicate, vale a dire al coniuge, ai figli legittimi o legittimati, ai nipoti in linea diretta, agli ascendenti, ai fratelli e alle sorelle.

 

Tale previsione, anteriore alla riforma del codice civile del 1975 ed alla conseguente introduzione dell'istituto di cui all'art. 230 bis, trovava giustificazione, come già ritenuto da questa Corte in relazione ad una disposizione analoga alla presente, nel fatto che il lavoro dei familiari si presumeva prestato benevolentiae vel affectionis causa, a meno che fosse provata l'esistenza di un rapporto contrattuale di lavoro o associativo.

 

A seguito tuttavia dell'istituto dell'impresa familiare, quella ratio è venuta meno, e si palesa di conseguenza l'illegittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 3 e 38, secondo comma, della Costituzione - di una disciplina che esclude alcuni dei partecipanti all'impresa familiare dai diritti previdenziali, atteso che il lavoro tutelato dall'art. 36 della Costituzione, implicitamente richiamato dall'art.230 bis, primo comma, del codice civile, rientra in ogni caso nell'ambito normativo dell'art. 38, secondo comma, della Costituzione (sentenza n.485 del 1992).

 

La pronuncia richiamata si inserisce peraltro coerentemente in una linea di intervento già segnata dalla precedente sentenza n. 476 del 1987, con cui questa Corte aveva dichiarato l'illegittimità costituzionale di una disposizione (art. 4, primo comma, n. 6 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124) che non ricomprendeva i partecipanti all'impresa familiare (prestanti opera manuale) di cui all'art. 230 bis tra le persone assicurate contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

 

Detti principi non possono che essere riaffermati nel caso di specie, relativo alla disciplina da applicare ai familiari degli esercenti piccole imprese commerciali, sottolineandosi che anche relativamente a tale settore il riconosci mento della tutela previdenziale del lavoro familiare contribuisce a garantire, unitamente ad altri fattori, in modo paritario - quanto a dignità e valore complessivo - la scelta di prestare la propria attività lavorativa a favore di una impresa familiare, in attuazione quindi del valore di cui all'art. 31, primo comma, della Costituzione.

 

Va pertanto dichiarata l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 613, nella parte in cui non considera familiare agli effetti della stessa legge gli affini entro il secondo grado.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, primo comma, della legge 22 luglio 1966, n. 613 (Estensione dell'assicurazione obbligatoria per l'invalidità, la vecchiaia ed i superstiti agli esercenti attività commerciali ed ai loro familiari coadiutori e coordinamento degli ordinamenti pensionistici per i lavoratori autonomi), nella parte in cui non considera familiari egli effetti della stessa legge gli affini entro il secondo grado.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 27/04/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 05/05/94.