Sentenza n. 163 del 1994

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SENTENZA N. 163

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385 (Norme provvisorie sulla indennità di espropriazione di aree edificabili nonchè modificazioni di termini previsti dalle leggi 28 gennaio 1977, n. 10, 5 agosto 1978, n. 457 e 15 febbraio 1980, n. 25); 1, comma quinto-bis, del decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901 (Proroga della vigenza di alcuni termini in materia di lavori pubblici), convertito nella legge 1° marzo 1985, n. 42; 14, secondo comma, del decreto- legge 29 dicembre 1987, n. 534 (Proroga dei termini previsti da disposizioni legislative ed interventi di carattere assistenziale ed economico), convertito nella legge 28 febbraio 1988, n.47; e 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158 (Differimento dei termini previsti da disposizioni legislative), promosso con ordinanza emessa il 22 aprile 1993 dal Tribunale di Agrigento nel procedimento civile vertente tra Sgarito Giuseppe ed altri, iscritta al n. 556 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.40, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 1994 il Giudice relatore Massimo Vari.

Ritenuto in fatto

 1.- Nel corso di un procedimento civile -promosso nei confronti del Comune di Favara dai proprietari di alcuni terreni occupati d'urgenza, avente ad oggetto il risarcimento dei danni per la sopravvenuta illegittimità dell'occupazione stessa, a causa del decorso dei termini entro i quali la procedura espropriativa avrebbe dovuto essere completata, e per l'ormai irreversibile destinazione dei terreni occupati alla realizzazione dell'opera pubblica- il Tribunale di Agrigento ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, secondo e terzo comma, e 97 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli artt. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385; 5-bis, del decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901, convertito nella legge 1° marzo 1985, n. 42;14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n.534, convertito nella legge 28 febbraio 1988, n. 47; e 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158.

2.- Premette il Tribunale che il periodo massimo di durata dell'occupazione d'urgenza, originariamente previsto in due anni, è stato portato a ben cinque anni dall'art. 20 della legge n. 865 del 1971.

Tale termine massimo è stato prorogato dalle leggi speciali della cui legittimità costituzionale si dubita, per le occupazioni in corso alla data della loro rispettiva entrata in vigore, sicchè, nel caso oggetto del giudizio a quo, l'occupazione stessa, originariamente fissata in cinque anni, a decorrere dal 15 dicembre 1983, per effetto delle suddette proroghe, tutte applicabili alla fattispecie salvo la prima, ed operanti automaticamente per legge, sarebbe venuta a scadere in data 15 dicembre 1993, con una durata pari ad un decennio.

3.- Secondo il giudice remittente, le disposizioni di proroga si pongono, innanzitutto, in contrasto con l'art.24 della Costituzione, in relazione all'art. 42, terzo comma, lasciando il proprietario del bene occupato privo, per un lungo e non definito tempo, del giusto ristoro e paralizzato nella difesa, senza poter ottenere nè la determinazione dell'indennizzo, attesa la mancanza del provvedimento ablatorio, nè il risarcimento del danno, in quanto l'occupazione, benchè ormai irreversibile, è da ritenere ancora legittima.

Le disposizioni impugnate contrasterebbero, inoltre, con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione, per la operata compressione della posizione del proprietario, che non presenta i caratteri della straordinarietà e della temporaneità, nonchè con il successivo terzo comma del medesimo articolo, non essendo prevista la corresponsione di un indennizzo per il periodo successivo agli originari termini di durata dell'occupazione.

Si deduce, poi, violazione del principio del buon andamento di cui all'art. 97 della Costituzione, in quanto il processo di graduale deformazione legislativa dell'istituto dell'occupazione d'urgenza finirebbe col favorire il rallentamento del procedimento ablativo, togliendo ogni incentivo a concluderlo e innescando forti diseconomie e maggiori oneri a carico dell'ente pubblico espropriante. Anche sotto un altro aspetto la normativa di proroga, nella sua irrazionalità ed arbitrarietà, si porrebbe in contrasto con l'art. 97 della Costituzione, visto in relazione all'art. 3 della Costituzione, essendo coinvolti solo i procedimenti di occupazione per i quali, al momento dell'entrata in vigore delle proroghe, non sono ancora scaduti i termini di durata, con violazione dei principi di uguaglianza e di imparzialità della pubblica amministrazione.

4.- Nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente infondata.

Rammentato il contenuto della sentenza di questa Corte n. 244 del 1993, a confutazione, tra l'altro, dei dedotti profili di illegittimità concernenti l'art. 42, secondo e terzo comma, della Costituzione, l'Avvocatura nega che il sistema non assicuri la pienezza del ristoro per tutto l'arco della perdita della disponibilità del bene fino all'indennizzo (o al risarcimento) definitivo.

Quanto alla lamentata violazione del principio del buon andamento, si osserva che il meccanismo legislativo denunciato è giustificato da riconosciute esigenze obiettive, preordinate alla introduzione della nuova disciplina dell'indennità di espropriazione.

In ordine alla disparità di trattamento tra i proprietari dei fondi, si richiamano la complessità della materia e le particolarità delle singole fattispecie che rendevano inevitabili percorsi differenziati, ma non per questo arbitrari.

Rilevato, poi, che la legittimità delle proroghe esclude che siano ingiustamente impedite forme di tutela altrimenti azionabili, si osserva che comunque l'art. 24 della Costituzione esige non l'immediatezza bensì l'effettività della tutela.

Considerato in diritto

 1.- La Corte è chiamata a decidere sulla legittimità costituzionale degli artt. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385; 5-bis (rectius: 1, comma 5-bis) del decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901, convertito nella legge 1° marzo 1985, n. 42; 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 28 febbraio 1988, n. 47; 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158; i quali hanno prorogato i termini di scadenza delle occupazioni d'urgenza autorizzate ai sensi dell'art. 20 della legge 22 ottobre 1971, n. 865.

2.- Per un più chiaro inquadramento delle questioni portate all'esame della Corte, va rammentato che l'art.20, secondo comma, della legge 22 ottobre 1971, n. 865, dispone che l'occupazione d'urgenza "può essere protratta fino a cinque anni dalla data di immissione nel possesso".

I termini di cui sopra sono stati prorogati dalle norme denunciate, per le occupazioni in corso alla data della loro rispettiva entrata in vigore. Più precisamente:

l'art. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385, ha prorogato di un anno il detto termine di cinque anni;

l'art. 1, comma 5-bis, aggiunto dalla legge di conversione 1° marzo 1985, n. 42, al decreto-legge 22 dicembre 1984, n. 901, lo ha prorogato di un altro anno;

l'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito nella legge 28 febbraio 1988, n. 47, ha disposto una ulteriore proroga di due anni;

quindi l'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, ha prorogato il termine stesso di altri due anni.

3.- Secondo il giudice a quo, le proroghe in questione contrasterebbero:

a) con l'art. 24, in relazione all'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto, per effetto di esse, il proprietario del bene occupato ed irreversibilmente trasformato per l'esecuzione dell'opera pubblica, resta per un lungo e non definito tempo privo del giusto ristoro, non potendo agire per ottenere la determinazione dell'indennizzo, in quanto, in mancanza del provvedimento ablatorio, è ancora formalmente titolare del bene, e nemmeno può chiedere il risarcimento del danno, nonostante la perdita del bene stesso, poichè l'occupazione deve considerarsi ancora legittima;

b) con l'art. 42, secondo comma, della Costituzione, a causa della compressione della posizione giuridica del proprietario, priva di quei caratteri di straordinarietà e temporaneità, che i limiti legali al diritto di proprietà devono presentare, per non violare la posizione soggettiva del titolare del bene, costituzionalmente garantita;

c) con l'art. 42, terzo comma, della Costituzione, in quanto alla compressione delle facoltà dominicali, posta in essere dal provvedimento di occupazione in modo pressochè totale, e con durata assolutamente incerta ed indeterminata, non corrisponde la previsione, nelle medesime leggi di proroga, della corresponsione di un indennizzo per il periodo di occupazione prorogato, successivo alla scadenza degli originari termini di occupazione, nè la previsione che l'indennità spettante al privato sia liquidata in relazione alla maggior durata dell'occupazione;

d) con il principio del buon andamento della pubblica amministrazione di cui all'art. 97 della Costituzione, in quanto la costante tendenza legislativa alla deformazione dell'istituto dell'occupazione d'urgenza finisce col favorire il rallentamento del procedimento ablatorio e toglie ogni incentivo a concluderlo, con l'emanazione del decreto definitivo di espropriazione; donde diseconomie e più gravi oneri a carico dell'ente pubblico, che sarà tenuto a corrispondere, invece dell'indennità di espropriazione, una maggior somma a titolo di risarcimento del danno;

e) con l'art. 97, in collegamento con l'art. 3, della Costituzione, sotto il profilo della irrazionalità ed arbitrarietà della normativa di proroga, essendo violati i principi costituzionali di uguaglianza dei cittadini e di imparzialità della pubblica amministrazione, in quanto non vengono coinvolti tutti i procedimenti di occupazione in corso, ma solo quelli per i quali, al momento dell'entrata in vigore delle proroghe, non sono ancora scaduti i termini di durata dell'occupazione stessa.

4.- La questione, in quanto riferita all'art. 5 della legge 29 luglio 1980, n. 385, va dichiarata inammissibile per irrilevanza, giacchè l'occupazione d'urgenza di cui si discute nel giudizio a quo si è realizzata in epoca successiva all'emanazione della legge in parola, sicchè non ha formato oggetto della proroga da quest'ultima disposta, così come del resto riconosce lo stesso remittente.

5.- Quanto alle altre disposizioni impugnate, la questione è da reputare non fondata, per le stesse ragioni che la Corte ha posto a base della precedente sentenza n. 244 del 1993, con la quale ha già ritenuto di non accogliere la questione di legittimità costituzionale dell'art. 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, e dell'art. 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, in relazione agli artt. 24 e 42 della Costituzione.

Tale giudizio va riconfermato anche in questa sede, estendendolo alle ulteriori disposizioni oggetto di impugnativa, giacchè le prospettazioni addotte dal giudice remittente, benchè fondate in parte su nuovi parametri, non sono tali da indurre la Corte a rivedere il proprio precedente avviso.

6.- Come già rilevato nella predetta sentenza n. 244 del 1993, le norme impugnate sono state emanate (secondo quanto si evince anche dai lavori parlamentari) al fine di protrarre la validità delle occupazioni dei suoli connesse ai procedimenti espropriativi, in attesa che il Parlamento procedesse all'approvazione della nuova disciplina delle indennità di esproprio, dopo la declaratoria di illegittimità costituzionale -da parte della sentenza n. 5 del 1980- dei criteri di determinazione delle stesse.

La nuova normativa in materia, nonostante la sua urgenza, ha avuto, però, una elaborazione particolarmente faticosa e complessa, anche perchè la prima disciplina dettata dalla legge n. 385 del 1980, dopo la declaratoria di incostituzionalità di cui alla menzionata sentenza n.5 del 1980, fu, a sua volta, dichiarata incostituzionale con sentenza n. 223 del 1983, per violazione degli artt. 42 e 136 della Costituzione. Il lungo e laborioso iter si è finalmente concluso con la legge 8 agosto 1992, n. 359 (art. 5-bis aggiunto, in sede di conversione, al decreto-legge 11 luglio 1992, n. 333).

Dai riferimenti di cui sopra si deduce, conclusivamente, che, come già la Corte ha avuto occasione di osservare nella più volte richiamata sentenza n. 244 del 1993, le leggi di proroga hanno investito un periodo di tempo sicuramente lungo, che non ha consentito la tempestiva liquidazione ed il pagamento delle indennità di espropriazione, nonchè l'esperibilità delle azioni per il risarcimento dei danni da occupazione illegittima.

Ma tali ritardi, determinati da riconosciute esigenze obiettive, sorrette da motivi di pubblico interesse, non possono essere considerati tali da compromettere i diritti del proprietario garantiti dall'art. 42, secondo comma, della Costituzione.

D'altro canto, le norme impugnate, pur protraendo la legittimità delle occupazioni e determinando alcune remore temporali nell'ambito del procedimento espropriativo, non producono, per la giustificazione che esse trovano nella peculiarità della situazione alla quale hanno inteso provvedere, nemmeno lesione dell'art.42, terzo comma, in relazione all'art. 24 della Costituzione, sotto il profilo della compressione della tutela spettante al proprietario del bene. Infatti, una volta verificata la legittimità delle proroghe, in ragione delle esigenze che le giustificano, è fuor di luogo dolersi per le remore che esse possono determinare per le azioni volte a conseguire, a seconda dei casi, l'indennità di espropriazione ovvero il risarcimento del danno.

Sempre con riguardo all'art. 42, terzo comma, è da osservare, poi, che le norme sospettate di in costituzionalità si limitano a prorogare i termini dell'occupazione, ma non escludono, solo per questo, che il periodo di proroga dia titolo ad indennizzo. Vanno, in proposito, ancora richiamate le considerazioni della sentenza n. 365 del 1992, secondo la quale il predetto articolo della Costituzione, nello statuire che la proprietà privata può essere, nei casi previsti dalla legge, espropriata per motivi d'interesse generale, "dà fondamento e disciplina, con le relative implicazioni costituzionali, non soltanto agli atti espropriativi in senso proprio, ma pure a quelli inerenti all'occupazione del bene, imponendo un giusto indennizzo anche per la durata di tale occupazione, che impedisce al proprietario la disponibilità e il godimento del bene".

Restano da esaminare i prospettati profili di ipotizzato contrasto delle norme impugnate con l'art. 97, insè considerato, e con l'art. 97, in relazione all'art.3, della Costituzione.

Quanto al primo profilo, occorre osservare che l'art.97 della Costituzione va interpretato come criterio di congruenza e di non arbitrarietà della disciplina posta in essere in relazione al fine che si vuole perseguire, secondo quanto è dato, invero, riscontrare, nella specie, ove si consideri che le leggi denunciate trovano la loro giustificazione in situazioni del tutto peculiari.

Quanto, poi, alla dedotta violazione dell'art. 97, in relazione all'art. 3, della Costituzione, è sufficiente rilevare come la lamentata differenza di regime giuridico, alla quale può dar luogo la denunciata normativa -a seconda che si tratti o meno di occupazioni in corso al momento della legge di proroga- si traduce in disparità di fatto che, potendo insorgere in sede applicativa di norme di per sè non discriminatorie nè irragionevoli, non rilevano ai fini del giudizio di costituzionalità.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 5 della legge 29 luglio 1980, n.385, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, 42, secondo e terzo comma, e 97 della Costituzione, dal Tribunale di Agrigento, con l'ordinanza di cui in epigrafe;

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli articoli 1, comma 5-bis, del decreto- legge 22 dicembre 1984, n. 901, convertito nella legge 1° marzo 1985, n. 42; 14, secondo comma, del decreto-legge 29 dicembre 1987, n. 534, convertito in legge 28 febbraio 1988, n. 47 e 22 della legge 20 maggio 1991, n. 158, sollevata dallo stesso Tribunale, in riferimento ai medesimi articoli della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Massimo VARI, Redattore

Depositata in cancelleria il 28/04/94.