Sentenza n. 152 del 1994

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SENTENZA N. 152

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 231 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada) promosso con ordinanza emessa il 5 maggio 1993 dal Pretore di Vicenza - sez.distaccata di Arzignano nel pro cedimento penale a carico di Bruno Biolo iscritta al n. 376 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 29, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Antonio Baldassarre.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un procedimento penale a carico di Bruno Biolo, imputato dei reati previsti dagli artt. 13 e 14 della legge 13 luglio 1966, n. 615 (Provvedimenti contro l'inquinamento atmosferico), in relazione a fatti commessi prima dell'entrata in vigore del nuovo codice della strada, il pretore di Vicenza - sezione distaccata di Arzignano ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 70 della Costituzione - nei confronti dell'art. 231 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n.285 (Nuovo codice della strada), nel testo risultante a seguito dell'avviso di rettifica, pubblicato nella Gazzetta Ufficiale del 9 febbraio 1993, n. 32, in base al quale la disposizione abrogativa della intera legge 13 luglio 1966, n. 615, è stata corretta con l'aggiunta "limitatamente ai veicoli" (recte: "limitatamente al Capo VI").

Il giudice a quo, nel ricordare che a seguito del citato avviso di rettifica la legge n. 615 del 1966 risulta abrogata, non più in toto, ma, più correttamente, nel solo capo VI (considerato che il nuovo codice della strada disciplina soltanto l'inquinamento prodotto dalla circolazione dei veicoli), rileva, tuttavia, che l'inconveniente causato dall'errata formulazione dell'art. 231 avrebbe dovuto essere eliminato attraverso l'adozione di un altro atto dotato di forza di legge, e non già attraverso un avviso di rettifica privo di forza di legge, di data, di paternità e di sottoscrizione. Quest'ultimo atto, sottolinea il giudice a quo, deve essere impiegato solo per correggere veri e propri errori materiali occorsi nella redazione del testo di una legge, e non già, come sembra sia avvenuto nel caso, quando il testo di legge riveli incongruenze di contenuto. E, poichè l'avviso di rettifica, cancellando l'abrogazione di norme incriminatrici, reintroduce in pratica disposizioni che prevedono ipotesi di reato, il testo così risultante dell'art. 231 del decreto legislativo n. 285 del 1992 appare in contrasto tanto con l'art. 25, secondo comma, della Costituzione (poichè ne potrebbe derivare l'incriminazione di un cittadino sulla base di un atto privo di forza di legge), quanto con l'art. 70 della Costituzione (poichè sarebbe stata introdotta un'innovazione legislativa di grado primario, non già ad opera delle Camere, come richiede l'articolo invocato, ma ad opera di "privati").

Riguardo alla rilevanza, il giudice a quo osserva che i reati previsti e puniti dagli artt. 13 e 14 della legge n. 615 del 1966, già abrogati dall'art. 231, sono tornati in vita solo in virtù dell'avviso di rettifica.

2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri per chiedere che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata.

Dopo aver ricordato che il giudice a quo ha erroneamente individuato la rettifica nell'inciso "limitatamente ai veicoli" (in realtà riferito all'art. 32 della legge 24 dicembre 1969, n. 990) anzichè in quello "limitatamente al capo VI" e che ciò potrebbe essere un valido motivo d'inammissibilità per irrilevanza della questione, l'Avvocatura dello Stato osserva che con l'avviso di rettifica censurato non si è apportata alcuna innovazione nell'ordinamento, nè si è inteso correggere un'incongruenza legislativa, ma si è semplicemente voluto rettificare un mero errore materiale connesso all'omissione di determinate parole. A riprova di ciò, precisa l'Avvocatura dello Stato, vale il rilievo che quel che si è introdotto con tale rettifica era già implicito nella norma corretta ed era desumibile dalla stessa attraverso un'interpretazione sistematica. Infatti, considerato che l'art. 231 è contenuto nel codice della strada, l'abrogazione della legge n. 615 del 1966 non avrebbe potuto riguardare altro che l'inquinamento connesso alla circolazione dei veicoli a motore.

Tanto più ciò vale, conclude la stessa parte, se si considera che lo stesso art. 231, disponendo che "sono inoltre abrogate tutte le disposizioni comunque contrarie o incompatibili con le norme del presente codice", segna in modo univoco i limiti dell'abrogazione, nel senso che ne circoscrive l'operatività all'ambito della materia disciplinata dal nuovo codice della strada, cioé la circolazione dei veicoli a motore.

Considerato in diritto

1.- Nell'ambito di un processo penale promosso per l'accertamento di reati collegati all'inquinamento atmosferico, il pretore di Vicenza - sezione distaccata di Arzignano ha sollevato questione di legittimità costituzionale - in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 70 della Costituzione - nei confronti dell'art. 231 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo risultante a seguito dell'avviso di rettifica, pubblicato nella Gazzetta ufficiale del 9 febbraio 1993, n. 32, in base al quale la disposizione abrogativa dell'intera legge 13 luglio 1966, n. 615, è stata corretta con l'integrazione "limitatamente ai veicoli" (recte: "limitatamente al capo VI").

2.- La questione è inammissibile.

Anche se non può accogliersi l'eccezione d'irrilevanza formulata dall'Avvocatura dello Stato, poichè l'indicazione della correzione nell'espressione "limitatamente ai veicoli" in luogo di quella "limitatamente al capo VI" è evidentemente un errore materiale in cui è caduto il giudice a quo, che, comunque, non è in grado di offuscare il senso complessivo dell'ordinanza di rimessione e l'esatta percezione dei termini della questione, quest'ultima è, tuttavia, parimenti inammissibile in base a un motivo del tutto pregiudiziale.

Sebbene il giudice a quo abbia formalmente definito l'oggetto sottoposto al giudizio di costituzionalità identificandolo nell'art.231 del decreto legislativo n. 285 del 1992 nel testo risultante a seguito dell'avviso di rettifica precedentemente indicato, è in realtà quest'ultimo avviso l'effettivo oggetto del giudizio promosso dal medesimo giudice rimettente. Questi, infatti, dubita che la rettifica apportata sia stata introdotta attraverso una via idonea, sul presupposto che, trattandosi di una modifica sostanziale del testo legislativo pubblicato, avrebbe dovuto essere deliberata con un nuovo atto avente forza di legge, e non già con una nota di rettifica. In altri termini, come riconosce lo stesso giudice a quo, l'oggetto specifico dell'impugnazione è dato, non già dal decreto legislativo, ma dal comunicato pubblicato sulla Gazzetta Ufficiale, il quale è frutto di un'operazione rientrante fra le attività imputate alla responsabilità del Presidente del Consiglio dei ministri, attività che in nessun caso si conclude con atti qualificabili come aventi valore di legge, anche ai soli fini del radicamento presso questa Corte del giudizio di legittimità costituzionale.

In particolare, oggetto di impugnazione è una rettifica di un atto legislativo già pubblicato, compiuta ai sensi dell'art. 15 del decreto del Presidente della Repubblica 14 marzo 1986, n. 217 (Approvazione del regolamento di esecuzione del testo unico sulla promulgazione delle leggi, sulla emanazione dei decreti del Presidente della Repubblica e sulle pubblicazioni ufficiali della Repubblica italiana). Più precisamente, la correzione apportata concerne un errore occorso nella emanazione del decreto legislativo n. 285 del 1992, a causa del quale l'art. 231 presentava una difformità rispetto al testo effettivamente deliberato dal Consiglio dei ministri, tale da incidere sul contenuto normativo dello stesso, determinando l'entrata in vigore di una non prevista disposizione totalmente abrogativa della legge n. 615 del 1966. E che l'errore oggetto di rettifica avesse dato luogo a un'abrogazione "apparente", non voluta dal legislatore, lo si poteva già dedurre in via intepretativa in base al fatto che la legge 13 giugno 1991, n. 190 (Delega al Governo per la revisione delle norme concernenti la disciplina della circolazione stradale), prevede tra i criteri e i principi direttivi cui il Governo doveva ispirarsi "la previsione di una normativa diretta alla salvaguardia dell'ambiente dagli effetti nocivi dell'inquinamento (...)dell'aria (...), conseguenti alla circolazione dei veicoli" (art. 2, primo comma, lettera cc). In sostanza, poichè non si può in alcun modo dubitare che l'errore si è verificato, non nel momento della formazione dell'atto legislativo, ma in quello successivo della sua comunicazione e poichè l'avviso di rettifica è lo strumento previsto dall'ordinamento per porre rimedio ad errori occorsi nella comunicazione o nella pubblicazione degli atti normativi, si deve concludere che l'oggetto della contestazione mossa dal giudice a quo è inidoneo a radicare la competenza di questa Corte come giudice della legittimità costituzionale delle leggi e degli atti aventi valore di legge.

Resta da osservare che, di fronte a un uso dell'avviso di rettifica divenuto assai frequente negli ultimi tempi, la preoccupazione, manifestata dal giudice a quo, di salvaguardare il bene giuridico della certezza del diritto da presunte irregolarità o illegittimità può avere soddisfazione soltanto davanti ai giudici comuni di volta in volta competenti secondo le norme generali. In relazione a un comunicato, come quello inammissibilmente impugnato in questa sede, il sindacato della Corte costituzionale può essere attivato dai titolari del potere legislativo soltanto nelle evenienze suscettive di configurare ipotesi di conflitto di attribuzione.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 231 del decreto legislativo 30 aprile 1992, n. 285 (Nuovo codice della strada), nel testo risultante a seguito della pubblicazione dell'avviso di rettifica sulla Gazzetta Ufficiale del 9 febbraio 1993, n.32, sollevata, in riferimento agli artt. 25, secondo comma, e 70 della Costituzione, dal pretore di Vicenza - sezione distaccata di Arzignano con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Antonio BALDASSARRE, Redattore

Depositata in cancelleria il 21/04/94.