Sentenza n. 151 del 1994

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SENTENZA N. 151

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Gabriele PESCATORE

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art.1, secondo comma, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione dell'elenco dei protesti cambiari), promosso con ordinanza emessa il 22 marzo 1993 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra De Tomassi Cinzia e C.C.I.A.A. di Roma, iscritta al n. 645 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 44, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di costituzione di De Tomassi Cinzia nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica dell'8 febbraio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

udito l'Avvocato dello Stato Giuseppe O. Russo per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1. In una fattispecie nella quale era stato elevato protesto di un assegno bancario di Lire 3.750.000 per mancato pagamento dovuto ad un asserito incolpevole smarrimento o sottrazione del titolo, il Pretore di Roma, con ordinanza emessa il 22 marzo 1993, dopo aver provveduto in via d'urgenza ex art. 700 c.p.c. alla sospensione della pubblicazione del protesto sul bollettino ufficiale, sollevava d'ufficio, nel successivo giudizio di merito per definitiva cancellazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, secondo comma, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione dell'elenco dei protesti cambiari), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, nella parte in cui si prevede l'obbligo per la Camera di Commercio, Industria, Artigianato e Agricoltura di provvedere alla pubblicazione nel bollettino ufficiale dell'elenco di tutti i protesti elevati nella circoscrizione, senza distinguere quelli dovuti a colpa del debitore da quelli dovuti a fatti non imputabili al debitore stesso.

Il Pretore sottolinea gli effetti in ordine alla credibilità personale e commerciale derivanti dalla pubblicazione del protesto sul bollettino ufficiale e il conseguente ingiustificato nocumento nella ipotesi di incolpevole smarrimento o sottrazione del titolo, ipotesi che aveva dalla legge lo stesso trattamento della difforme situazione del mancato pagamento per fatto imputabile al debitore.

2. Nel giudizio davanti a questa Corte si è costituita Cinzia De Tomassi, ricorrente nel giudizio a quo, rilevando la particolarità della ratio della norma, la quale avrebbe come scopo, attraverso la pubblicazione nel bollettino ufficiale, di rendere edotti i terzi della inaffidabilità dei debitori.

Tale ratio non verrebbe integrata in tutti i casi in cui i debitori siano in realtà vittime di illeciti, o abbiano smarrito senza colpa il titolo che è poi circolato all'insaputa o contro la loro volontà.

3. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per la infondatezza della questione.

La difesa erariale motiva tale richiesta segnalando che il giudice rimettente da un lato non avrebbe considerato il disposto dell'art. 13 della legge fallimentare (r.d. 16 marzo 1942, n.267), come modificato ed integrato dagli artt. 2 e 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, i quali stabiliscono che l'elenco dei protesti che i pubblici ufficiali abilitati ad elevarli devono trasmettere al Presidente del Tribunale debbono contenere anche l'indicazione dei motivi del rifiuto del pagamento.

Considerato in diritto

1. Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art.1, secondo comma, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione dell'elenco dei protesti cambiari) nella parte in cui, regolando la pubblicazione di tutti i protesti, senza prevedere l'esclusione delle ipotesi in cui il mancato pagamento sia dovuto a causa non imputabile al debitore, lede l'esigenza di tutelare il buon nome commerciale e la onorabilità della persona in genere contro fatti indipendenti o comunque contrari alla sua volontà. Da ciò conseguirebbe la disparità di trattamento censurabile, secondo il giudice a quo, in relazione all'art.3 della Costituzione. La disposizione, infatti, parificherebbe ingiustificatamente soggetti che si trovano in una situazione giuridica profondamente diversa: gli uni, soggetti ai quali è imputabile il mancato pagamento della prestazione portata dal titolo; gli altri, vittime di un illecito civile o penale.

2. Questa Corte è già più volte intervenuta nella materia dei protesti cambiari, orientando costantemente la propria giurisprudenza alla ricerca di un equilibrato rapporto tra la tutela del debitore incolpevole protestato con la (talvolta) contrapposta esigenza della tempestiva ed esauriente conoscenza del mancato pagamento dei titoli di credito.

In particolare, con ordinanza n. 183 del 1983, ha dichiarato manifestamente inammissibile (per difetto di legittimazione del giudice rimettente) la questione di legittimità costituzionale della medesima legge 12 febbraio 1955, n. 77, come emendata dalla legge 12 giugno 1973, n.349, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione. Con sentenza n.208 del 1988 è stata invece dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale relativa alla sussistenza di un termine perentorio per la presentazione dell'istanza di cancellazione dall'elenco dei protesti cambiari, affermandosi che il termine non poteva essere ritenuto irragionevole, stante il contrapposto interesse dell'ordinamento alla legalità ed alla certezza dell'atto di protesto.

Con sentenza n. 317 del 1990 la Corte dichiarava l'infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 febbraio 1955, n. 77, nella parte in cui non consentiva al traente di un assegno protestato di ottenere la cancellazione del proprio nome dal bollettino dei protesti, da parte del presidente del tribunale, con la medesima procedura prevista per le cambiali e i vaglia bancari. La lesione del principio di eguaglianza è stata esclusa dalla Corte per la non comparabilità della posizione del debitore cambiario con quella del traente di un assegno.

Successivamente, con ordinanza n. 14 del 1993, questa Corte ha ribadito le precedenti argomentazioni, considerando ancora persistenti le ragioni poste alla base della sentenza n. 317 del 1990, anche successivamente alla entrata in vigore della nuova disciplina sanzionatoria dell'emissione di assegni privi di copertura di cui alla legge 15 dicembre 1990, n. 386, che avrebbe invece avuto l'effetto di attenuare la differenza tra il regime giuridico del protesto dell'assegno e quello del protesto della cambiale e dei vaglia cambiari.

3. Ora il Pretore di Roma, pur avendo di mira la difesa dello stesso valore giuridico, e cioé la tutela dal pubblico discredito del debitore erroneamente o incolpevolmente protestato, ravvisa la violazione dell'art. 3 della Costituzione per la mancanza, all'interno della norma generale contenuta nella legge 12 febbraio 1955, n. 77 - che prevede la pubblicazione di "tutti" i protesti nel bollettino ufficiale - di una qualche distinzione che impedisca la pubblicazione dei protesti elevati per fatti non imputabili al debitore.

4. La questione di legittimità così prospettata non è fondata.

Ed invero va rilevato anzitutto che il censurato secondo comma dell'art.1 della legge 12 febbraio 1955, n. 77 comporta, di per sè, una differenziazione rilevante ai fini della salvaguardia del buon nome commerciale del debitore e della onorabilità della sua persona. Tale norma, infatti, mentre assoggetta le Camere di commercio alla pubblicazione di tutti i protesti levati per mancato pagamento di cambiali, di vaglia cambiari e di assegni bancari, obbliga altresì alla contestuale pubblicazione delle relative "dichiarazioni di rifiuto di pagamento", le quali - avendo già il protesto la funzione di documentare il mancato pagamento - sono appunto preordinate a rendere pubblici gli eventuali motivi di non colpevolezza del rifiuto, attenuando così, se non elidendo, il discredito del debitore.

Ritiene la Corte che la circostanza per la quale tutti i protesti siano accompagnati nel loro iter da idonee motivazioni, costituisca un elemento notevole per preservare il buon nome commerciale del debitore colpevole, e, comunque, tale da distinguere sufficientemente le diverse situazioni (del debitore colpevole o di quello incolpevole). E ciò tenendo anche conto del necessario contemperamento di queste esigenze di tutela col rispetto di un procedimento che, oltre ad essere d'ordine rigorosamente formale, ha anche in sè la ratio di proteggere e favorire l'utilizzazione dei titoli di credito, agevolando peraltro la speditezza e l'efficienza dei traffici commerciali e delle transazioni economiche.

Alla pubblicazione, contestualmente al protesto, dei motivi del mancato pagamento, si aggiunge poi la possibilità per il debitore di far pubblicare successivamente sul bollettino le rettifiche che ritiene necessarie.

5. Ma l'ordinamento giuridico appresta ulteriori e più efficaci mezzi per la tutela del debitore incolpevole.

In realtà l'art. 3 della stessa legge n. 77 del 1955 prevede la procedura per evitare la pubblicazione sia dei protesti relativi a titoli pagati nel successivo termine di cinque giorni, sia di quelli la cui levata viene ritenuta dal presidente del tribunale illegittima ed erronea.

Inoltre, dopo un dibattito in dottrina e giurisprudenza risalente a data remota, la legge 12 febbraio 1955, n. 77 è stata interpretata dalla giurisprudenza di legittimità nel senso di riconoscere il potere del giudice ordinario di provvedere non solo alla previa sospensione cautelare ex art. 700 c.p.c. della pubblicazione del protesto di assegni del debitore incolpevole, ma anche di ordinare nel conseguente giudizio di merito la definitiva cancellazione dall'elenco dei protesti cambiari, col risultato di inibire la pubblicazione del protesto stesso.

Tale orientamento consolidato configura i comportamenti posti in essere dalle Camere di commercio alla stregua di atti materiali adottati all'infuori di una potestà amministrativa, con la conseguenza che l'autorità giudiziaria ordinaria, oltre a ordinare la sospensione della pubblicazione di un protesto già elevato (o altri provvedimenti cautelari ex. art. 700 c.p.c.), ben può esercitare successivamente poteri definitivi di cognizione e di condanna al risarcimento.

Da quanto sopra esposto può conclusivamente affermarsi che il sistema dei protesti cambiari, come risulta dalle diverse norme citate e dall'evoluzione giurisprudenziale, prevede una serie di ipotesi di non pubblicazione di protesti cambiari (in quanto superati, illegittimi od erronei) e consente, anche per quelli pubblicati, la contestuale comunicazione dei motivi del rifiuto di pagamento o le successive rettifiche, realizzando un trattamento differenziato fra debitori colpevoli o incolpevoli, nonchè un razionale equilibrio fra le misure di tutela del buon nome commerciale e le esigenze della tempestiva conoscenza del mancato pagamento dei titoli di credito, ai fini della speditezza ed efficienza del traffico economico e commerciale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, secondo comma, della legge 12 febbraio 1955, n. 77 (Pubblicazione dell'elenco dei protesti cambiari), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Roma con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/04/94.

Gabriele PESCATORE, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 21/04/94.