Ordinanza n. 138 del 1994

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ORDINANZA N. 138

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 161, quarto comma, e 485, primo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 24 febbraio 1993 dal Pretore di Napoli - sezione distaccata di Capri nel procedimento penale a carico di Cortazzo Maria Enrica ed altra, iscritta al n. 461 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un giudizio penale il Pretore di Napoli - sezione distaccata di Capri ha sollevato, con l'ordinanza in epigrafe, nella fase degli atti introduttivi al dibattimento, questione di legittimità costituzionale degli artt. 161, quarto comma, e 485, primo comma, del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 3 della Costituzione;

che il giudice a quo riferisce, in punto di fatto: che le persone sottoposte alle indagini hanno effettuato elezione di domicilio presso un determinato difensore, a norma dell'art.161, primo comma, del codice di procedura penale; che il decreto di citazione a giudizio è stato spedito per la notifica a detto difensore, sia in tale sua qualità sia quale domiciliatario delle persone imputate; che, infine, il legale ha preso in consegna la copia del decreto a lui spedita in veste di difensore, mentre ha rifiutato di ricevere le copie a lui dirette quale domiciliatario, affermando di non essere a ciò impegnato in difetto di rapporto fiduciario con le persone imputate (e tuttavia nulla rilevando, ex art. 107 del codice di rito, sul piano della rinuncia all'incarico);

che si è pertanto verificata, prosegue il rimettente, l'omessa notifica riguardo agli imputati, che pure avevano effettuato in precedenza idonea elezione di domicilio, ed andrebbe di conseguenza dichiarata la nullità della citazione poichè non [sarebbe] "... valida una (eventuale) notifica per consegna al difensore ... nei termini dell'attuale disposizione dell'art. 161 del codice di procedura penale";

che, sempre in questa prospettazione, il Pretore individua talune ipotesi, diverse da quella verificatasi nel giudizio a quo (come: il "venir meno del rapporto fiduciario"; il mutamento non comunicato del domicilio eletto; l'impossibilità della notifica presso il domicilio eletto),nelle quali, anche se vi sia invalidità od omissione della notificazione presso il domiciliatario originario, risulta esperibile, e sufficiente, ai fini della costituzione del rapporto processuale, la consegna al difensore delle copie destinate al domiciliatario (art. 161, quarto comma, del codice di procedura penale);

che, quindi, il rimettente individua una ingiustificata disparità di trattamento, lesiva del principio di eguaglianza, nella ritenuta inapplicabilità della disposizione da ultimo richiamata alla vicenda in concreto realizzatasi, riconducibile alla figura del rifiuto di ricezione dell'atto, suscettibile viceversa di equiparazione alle altre prese a termine di raffronto;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'inammissibilità della questione - in quanto irrilevante in rapporto alla fase di controllo della regolare costituzione delle parti in cui essa è sollevata, non potendosi più eseguire la notificazione nel senso voluto dal giudice a quo - e comunque per l'infondatezza della medesima.

Considerato che l'eccezione di inammissibilità formulata dall'Avvocatura dello Stato non può trovare accoglimento, giacchè l'invalidità o l'omissione della notificazione nei riguardi degli imputati nel giudizio principale implica necessariamente l'esperimento di una nuova - e valida - attività di notificazione idonea a consentire la regolare costituzione del rapporto processuale, alla cui verifica è deputata proprio la fase nella quale è stata pronunciata l'ordinanza di rinvio, ond'è che il requisito della rilevanza è soddisfatto;

che, nel merito, la questione muove dal presupposto interpretativo secondo il quale alla fattispecie di rifiuto di ricezione dell'atto da parte del domiciliatario non sarebbe riferibile la disciplina dell'impugnato art. 161, quarto comma, del codice di procedura penale; un presupposto, questo, dal rimettente altresì ricollegato - a contrario - alla ritenuta "sufficienza" della consegna della copia dell'atto al difensore nelle ipotesi addotte quali termini di raffronto;

che l'accennato presupposto interpretativo risulta, all'evidenza, contraddetto dal tenore dell'art. 161, quarto comma, del codice di procedura penale, giacchè nell'ambito della inidoneità (nella specie, sopravvenuta) dell'elezione di domicilio non può non farsi rientrare il caso di rifiuto di ricevere l'atto da parte del domiciliatario, secondo quanto affermato dalla giurisprudenza anche relativa alla corrispondente - per questo profilo - disposizione dell'art.171, quinto comma, del codi ce di procedura penale del 1930;

che, rispetto al verificarsi della situazione di inidoneità del domicilio eletto, non assumono rilievo, ai fini della soluzione della presente questione, i profili riguardanti il rapporto retrostante di carattere fiduciario tra eligente e domiciliatario, e in particolare non interferisce il dato della coeva qualità di difensore per quest'ultimo: indipendentemente da quelle che sono le vicende del mandato difensivo, la norma sottoposta a scrutinio mira a regolare con carattere di uniformità le diverse possibili evenienze che danno luogo alla inidoneità - nonchè alla mancanza, o alla insufficienza - dell'elezione, imponendo, in questi casi, il ricorso alla notificazione attraverso la consegna al difensore; una forma, questa, che nella nuova disciplina processuale ha sostituito il ricorso alla notificazione mediante deposito dell'atto in cancelleria e correlativo avviso al difensore ex art. 171, quinto comma, del codice di procedura penale abrogato;

che, relativamente al connesso profilo del modo di notificazione nell'ambito delle fattispecie prese a raffronto, altresì errato risulta l'enunciato - implicito, ma logicamente imposto dal petitum dell'ordinanza di rinvio: evitare il rinnovo della notificazione facendo applicazione dell'art.161, quarto comma, del codice di procedura penale altrimenti reputato non applicabile - secondo cui la notificazione a mezzo consegna al difensore potrebbe risultare perfezionata in base alla già avvenuta consegna dell'atto al difensore in tale sua specifica veste;

che, infatti, di là dalla esteriore omologabilità, la notificazione al difensore come tale e la notificazione a mezzo consegna al difensore del soggetto che abbia eletto un domicilio inidoneo ex art. 161, quarto comma citato, sono istituti non interscambiabili, che assolvono a diverse funzioni e si indirizzano a soggetti distinti (difensore e imputato) del processo, cosicchè in ogni caso - dunque, anche nelle ipotesi assunte a raffronto - il fallito esperimento, per inidoneità, della notificazione presso il domiciliatario impone il ricorso ad una nuova notificazione, nel modo oggi indicato dalla norma sottoposta a scrutinio;

che, in conclusione, non essendo ravvisabile alcuna difformità di disciplina tra l'ipotesi dedotta e quelle assunte a termini di raffronto, e trovando la prima la propria regolamentazione proprio nell'art. 161, quarto comma, del codice di procedura penale, vengono a perdere rilievo le censure formulate con riguardo al parametro costituzionale invocato.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale degli artt. 161, quarto comma e 485, primo comma, del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Napoli - sezione distaccata di Capri, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 25/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/04/94.