Ordinanza n.130 del 1994

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ORDINANZA N. 130

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, terzo comma, della legge 31 maggio 1965, n. 575 (Disposizioni contro la mafia), come modificato dall'art. 22 del decreto-legge 8 giugno 1992, n. 306 (Modifiche urgenti al nuovo codice di procedura penale e provvedimenti di contrasto alla criminalità mafiosa), convertito, con modificazioni, in legge 7 agosto 1992, n. 356, promosso con ordinanza emessa il 15 giugno 1993 dalla Corte di appello di Napoli nel procedimento di prevenzione nei confronti di D'Alessandro Michele, iscritta al n. 610 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.42, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 9 marzo 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto che nel corso di un procedimento di prevenzione in grado di appello, attivato su ricorso di persona sottoposta alla misura di prevenzione della sorveglianza speciale di pubblica sicurezza con obbligo di soggiorno, avverso il provvedimento del tribunale, sostitutivo del luogo di soggiorno obbligato (da quello di residenza ad altro indicato dal questore), adottato in forza dell'art. 2, comma 2, della legge 31 maggio 1965, n. 575 come modificato dall'art. 22 del decreto-legge 8 giugno 1992, n.306, convertito, con modificazioni, dalla legge 7 agosto 1992, n. 356, la Corte di appello di Napoli ha sollevato con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento agli articoli 3 e 24, secondo comma, della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del comma 3 del richiamato art. 2 della legge n. 575 del 1965: norma, questa, che stabilisce che "sulla richiesta di cui al comma 2 [di modifica del luogo di soggiorno obbligato su impulso del questore o del procuratore nazionale antimafia o del procuratore della Repubblica, in presenza di eccezionali esigenze di tutela sociale o di tutela dell'incolumità della persona interessata] ... il tribunale provvede entro dieci giorni ...";

 

che, nel sollevare la questione, il giudice a quo rileva che, nel caso concreto, il provvedimento modificativo della località di soggiorno obbligato è stato adottato dal tribunale con procedura de plano, senza contraddittorio tra le parti nè avvisi o altre garanzie difensive, ed osserva che detta modalità procedimentale risulta conforme al dettato della norma impugnata, alla luce della estrema brevità del termine ivi previsto - tale da non consentire l'esperimento delle forme ordinariamente stabilite in questa materia - nonchè del mancato richiamo della disciplina del processo di prevenzione;

 

che questa modalità del procedimento, prescritta dalla legge, si porrebbe in contrasto sia con il diritto di difesa, risultandone in tal modo sottratto all'interessato un intero grado di giudizio a fronte di un provvedimento avente contenuto limitativo della libertà personale, sia con il principio di eguaglianza, data la diversificazione ingiustificata che si viene a creare tra l'ipotesi in esame - fondata su una proposta modificativa in corso di esecuzione della misura - e quella di invividuazione "eccezionale" del luogo di soggiorno, in deroga alla regola del luogo di residenza, contestuale alla proposta di applicazione della misura preventiva, risultando rispettate solo in quest'ultima evenienza le ordinarie garanzie di contraddittorio e difesa; nè potrebbe addivenirsi, secondo il rimettente, ad una interpretazione della norma conforme a Costituzione, stante l'impossibilità di innestare le scansioni del processo in tema di misure di sicurezza (cui fa rinvio formale l'art. 4 della legge n. 1423 del 1956 che regola in via generale il procedimento di prevenzione personale) sul ridotto termine stabilito dalla norma sottoposta a scrutinio;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha rilevato la sopravvenienza della nuova normativa recata dalla legge n. 256 del 1993, concludendo per la necessità del riesame della rilevanza della questione da parte della corte rimettente.

 

Considerato che, successivamente alla pronuncia dell'ordinanza di rinvio, è entrata in vigore la legge 24 luglio 1993, n. 256 (Modifica dell'istituto del soggiorno obbligato e dell'articolo 2-ter della legge 31 maggio 1965, n.575), che ha profondamente innovato la disciplina in tema di soggiorno obbligato, rappresentando il punto di arrivo di uno sviluppo legislativo via via mirato alla riconduzione - al fine esclusiva - del luogo di applicazione del soggiorno obbligato a quello di residenza (o dimora abituale) del soggetto proposto, in una prospettiva di disfavore per le deviazioni da tale regola in quanto suscettibili di conseguenze distorsive - i fenomeni di "esportazione" sul territorio della presenza della criminalità organizzata - rispetto agli obiettivi di prevenzione sottesi alla legislazione in argomento;

 

che, in particolare, l'art. 1, comma 2, della citata legge n. 256 del 1993 ha espressamente abrogato i commi 2 e 3 dell'art. 2 della legge n. 575 del 1965; mentre per le situazioni di applicazione della misura dell'obbligo di soggiorno in luogo diverso da quello di residenza o dimora abituale, in atto all'entrata in vigore della legge medesima, l'art. 2 detta regole di mutamento ex lege di detta individuazione, prescindendo dalla mediazione applicativa di un provvedimento giurisdizionale, in modo da pervenire proprio al risultato che costituisce l'oggetto dell'impugnativa proposta nel giudizio principale;

 

che, di conseguenza, gli atti devono essere restituiti al giudice a quo perchè valuti se, alla stregua del mutato quadro normativo, la questione sollevata sia tuttora rilevante.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Ordina la restituzione degli atti alla Corte di appello di Napoli.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/03/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 07/04/94.