Sentenza n. 125 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 125

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge della Regione Lombardia 6 febbraio 1990, n. 7 (Case di cura private: disciplina dell'autorizzazione e della vigilanza. Convenzioni), promosso con ordinanza emessa il 18 maggio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia sul ricorso proposto dalla Clinica S.Carlo, Casa di cura privata polispecialistica s.p.a. contro la U.S.S.L. n. 66 di Cinisello Balsamo ed altra, iscritta al n. 607 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti l'atto di costituzione della s.p.a. Clinica S.Carlo nonchè l'atto di intervento della Regione Lombardia.

udito nell'udienza pubblica dell'11 gennaio 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

uditi l'avv.Francesco Pirocchi per la s.p.a. Clinica S.Carlo e l'avv.Valerio Onida per la Regione Lombardia.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un giudizio promosso per l'annullamento di un provvedimento con il quale la USSL n. 66 di Cinisello Balsamo richiedeva alla Casa di cura "Clinica S. Carlo" la restituzione di parte di una somma corrisposta per i ricoveri assicurati dalla struttura privata nel corso dell'anno 1991, il Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia ha sollevato, con ordinanza del 18 maggio 1993, questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge della Regione Lombardia 6 febbraio 1990 n. 7 (Case di cura private: disciplina dell'autorizzazione e della vigilanza.

Convenzioni), in riferimento all'art. 117 della Costituzione e in relazione all'art. 44, terzo comma, della legge 23 dicembre 1978 n. 833 (Istituzione del servizio sanitario nazionale) e all'art. 5, nono comma, della legge 29 dicembre 1990 n. 407 (Disposizioni diverse per l'attuazione della manovra di finanza pubblica 1991-1993). La norma impugnata prevede che "con decorrenza 1° gennaio 1990 sono compensate al 50 per cento della retta riconosciuta a tutte le case di cura convenzionate le giornate di degenza erogate in eccedenza al tasso di occupazione massimo teorico dei letti convenzionati per specialità ...".

Il giudice rimettente - ritenuta, con separata pronuncia, la propria giurisdizione sulla controversia oggetto del giudizio principale - riferisce che la USSL n. 66, nell'esercizio dei poteri di vigilanza sulle case di cura convenzionate con il servizio sanitario nazionale, dopo aver rilevato che nell'anno 1991 la Casa di cura Clinica S. Carlo aveva contabilizzato giornate di degenza "in eccedenza al tasso di occupazione massimo teorico dei posti letto convenzionati per specialità", ha chiesto il rimborso del 50 per cento di quanto corrisposto a titolo di retta, per le specialità di medicina generale e chirurgia vascolare, in applicazione dei criteri contenuti nella norma impugnata che impone la riduzione della retta alla metà nel caso di superamento del suddetto limite.

Ma con tale norma, ad avviso del giudice a quo, la Regione, introducendo un nuovo limite parziale, rappresentato dal riferimento alle singole "specialità" per valutare le eccedenze, avrebbe modificato il sistema di calcolo delle giornate di degenza da compensare, come definito nella convenzione-tipo (approvata con decreto ministeriale 22 luglio 1983, emanato ai sensi dell'art. 44, terzo comma, della legge n.833 del 1978 e pubblicato nella Gazzetta ufficiale n. 218 del 1983), nella quale sarebbero indicati soltanto due limiti, e cioé quello del numero complessivo annuo di giornate di degenza per tutti i posti letto convenzionati, e quello (parziale) ricavabile dal numero dei posti letto calcolato per "raggruppamento", comprensivo, quest'ultimo, di varie unità funzionali e quindi di più "specialità" (art. 5, secondo e quarto comma, d.m. 22 luglio 1983).

Nell'ordinanza di rimessione si precisa che la convenzione in atto tra la USSL e la Casa di cura - nella quale sono considerati due soli raggruppamenti (quello di medicina e quello di chirurgia), nell'ambito dei quali sono indicate singole specialità convenzionate, ciascuna con un proprio tetto di posti letto - prevede soltanto che la casa di cura non superi nell'anno il numero delle giornate di degenza consentito per tutti i posti letto convenzionati. Su tale assetto convenzionale è quindi intervenuta la norma impugnata, che, con la previsione di un nuovo limite parziale, avrebbe violato l'art. 117 della Costituzione e quindi invaso la competenza dello Stato nello specifico settore, incidendo altresì sulla convenzione stessa, a ciò abilitata dall'art.24 della medesima legge regionale n. 7 del 1990, secondo cui "sono abrogate le disposizioni regionali, ivi comprese le norme contenute nelle convenzioni vigenti, che risultino incompatibili con la presente legge". Dubbio di costituzionalità che sorge, anche se, conclude l'ordinanza, non può disconoscersi che nell'ambito del servizio sanitario pubblico, vi sono certamente limiti per i privati. I quali limiti derivano dalle disponibilità finanziarie, dalla pianificazione regionale e dall'oggettiva organizzazione del servizio stesso.

Nell'ordinanza si sostiene, poi, che non è di ausilio per la definizione della questione la legislazione statale successivamente intervenuta e cioé nè quella che, pur avendo introdotto nuovi criteri-limite al sistema delle convenzioni (art. 5, comma 9, della legge 29 novembre 1990, n. 407), non ha avuto ancora applicazione, nè quella che ha fatto riferimento ad un provvedimento programmatico di carattere generale, quale non è la legge regionale ora in discussione (art. 4, comma 2, della legge 30 dicembre 1991, n. 412), nè quella che si è limitata ad auspicare il superamento del vigente sistema convenzionale (legge 23 ottobre 1992, n. 421) nè infine quella che presuppone il detto superamento, ma non è in concreto applicabile (decreto legislativo 30 dicembre 1992 n. 502).

2.- Si è costituita in giudizio la Casa di cura Clinica S.Carlo, aderendo alle considerazioni svolte nell'ordinanza di rimessione. All'uopo precisa che la questione va inquadrata nel sistema normativo vigente nel 1991, e cioé prima che le leggi nn. 412 del 1991 e 421 del 1992 e il decreto legislativo n. 502 del 1992 introducessero la nuova riforma sanitaria con la regionalizzazione del sistema anche in ordine all'erogazione dei fondi. Pertanto la situazione normativa, di cui si deve tener conto per valutare la questione, è quella in cui lo Stato risponde della spesa regionale in materia sanitaria e le competenze in tema di convenzioni con le case di cura private sono ripartite nel senso che alle Regioni spetta la decisione sull'an del convenzionamento e allo Stato quella sul quomodo, secondo lo schema-tipo di convenzione, nonchè quella sul calcolo della diaria onnicomprensiva (art.7 del d.m. 22 luglio 1983).

É quindi illegittima la norma regionale denunciata, che introduce un sistema di calcolo contrastante con quello dello schema-tipo di convenzione, invadendo così una competenza riservata allo Stato. A sostegno delle proprie tesi la parte costituita richiama alcune sentenze di questa Corte sul riparto delle competenze tra Stato e regioni (sentenze nn.1127 del 1988 , 226 e 195 del 1986) che avvalorerebbero la fondatezza della censura.

3.- É intervenuta la Regione Lombardia, sostenendo invece l'infondatezza della questione. L'interveniente rileva, in primo luogo, che la legge regionale in esame è attuativa degli artt. 43 e 44 della legge n. 833 del 1978, sul servizio sanitario nazionale, e che la normativa statale nella materia, ivi compreso il decreto ministeriale 22 luglio 1983, è diretta a garantire forme di integrazione fra settore pubblico e settore privato "nel quadro della programmazione sanitaria regionale" (art. 4, comma 2, dello schema-tipo di convenzione approvato con il d.m. 22 luglio 1983), che assume così un ruolo fondamentale nell'indicazione degli obiettivi da raggiungere in tema di assistenza sanitaria.

In questo quadro l'avvalimento delle strutture private da parte delle USSL è strumentale per il raggiungimento del fine pubblico e risponde a criteri di ragionevolezza che la USSL stipuli la convenzione con le varie case di cura in relazione alla previsione del fabbisogno di posti letto per singole specialità. D'altra parte lo stesso schema-tipo prevede (art.3, comma 13) che le case di cura private mettano a disposizione degli assistiti un certo numero di posti letto distinti per le singole specialità convenzionate ed il fatto che il successivo art. 5, comma 2, del medesimo schema-tipo sembrerebbe indicare un limite parziale, all'interno del totale dei posti letto convenzionati, con riferimento al raggruppamento piuttosto che alle singole specialità, non è di per sè indicativo della denunciata illegittimità costituzionale.

Infatti, in primo luogo, il testo della convenzione stipulata tra la USSL n. 66 e la Casa di cura S. Carlo non è identico, sul punto, al testo dello schema- tipo, non recando la prima alcun riferimento al "raggruppamento" anzidetto; in secondo luogo non si può comunque affermare che detto schema-tipo sia vincolante in ogni sua parte, dovendo viceversa le singole convenzioni adeguarvisi soltanto per gli aspetti essenziali.

Non può quindi sostenersi che la norma regionale abbia introdotto un nuovo limite, non previsto nella convenzione in atto con la struttura privata, perchè, al contrario, essa ha soltanto chiarito il modo in cui deve essere calcolato il numero delle giornate di degenza da riconoscere e da compensare, ovviando ad una prassi oltremodo favorevole per le case di cura che erano lasciate libere di superare il limite delle giornate di degenza riconoscibili per specialità attribuendo le eccedenze ad altre specialità, purchè inserite nello stesso raggruppamento, con sensibile aggravio finanziario per le regioni e senza alcun vantaggio per le reali esigenze degli utenti del servizio sanitario.

Non avendo, quindi, la norma regionale modificato il contenuto della convenzione, non è sostenibile la violazione dell'art. 117 Cost. che si sarebbe realizzata per il mancato rispetto della convenzione-tipo.

4.- In prossimità dell'udienza la Regione Lombardia ha depositato una memoria nella quale ribadisce che, dopo il 1991, il quadro normativo in materia sanitaria si è evoluto, avendo sia la legge finanziaria del 1992 (legge n. 412 del 1991, art. 4), sia l'art. 1 della legge n. 421 del 1992 (di delega al Governo per la revisione della disciplina in quattro fondamentali settori tra cui la sanità), sia infine il decreto legislativo n. 502 del 1992 accentuata la "regionalizzazione" del sistema sanitario, soprattutto dal punto di vista dell'erogazione dei fondi e dell'imputazione della spesa, essendosi ad esempio imputati alle regioni "gli effetti finanziari per gli eventuali livelli di assistenza sanitaria superiori a quelli uniformi per le dotazioni di presidi e posti letto eccedenti gli standard previsti" (art.1, lett. i, legge n. 421 del 1992).

Da questo punto di vista la norma regionale impugnata si armonizza perfettamente con le previsioni statali suddette, pur anticipandole, in quanto consente alla Regione Lombardia, sulla quale ricadono le conseguenze finanziarie in materia, una razionale gestione delle esigenze sanitarie da soddisfare ed un oculato impiego delle risorse.

D'altra parte la stessa legge n. 833 del 1978 (art. 44) riconosce la competenza regionale in ordine alla necessità di convenzioni tra USSL e case di cura, affidando alla legge regionale il compito della specifica disciplina. Nè è corretto il richiamo operato dalla Casa di cura costituita all'art. 7 dello schema tipo di convenzione, per sostenere la stretta correlazione tra determinazione della diaria omnicomprensiva e metodo di calcolo del tasso di occupazione dei posti letto convenzionati, e limitare sul punto la competenza regionale, posto che al contrario nella norma statale nessun richiamo è fatto ad un particolare sistema di calcolo e quindi in nessun modo potrebbe trarsene un limite alle competenze che legittimamente la regione ha esercitato, tra l'altro senza nemmeno porre disposizioni in contrasto con la convenzione in essere tra USSL e casa di cura S. Carlo; quest'ultima, infatti, si limita a prevedere l'obbligo per la casa di cura di non superare nell'anno il numero di giornate di degenza consentito dai posti letto convenzionati e non contempla affatto la possibilità, rivendicata dalla casa di cura, di aumentare le degenze in alcune specialità, oltre quelle consentite dai posti letto convenzionati, "compensandole" con minori degenze in altre specialità.

In ogni caso per il principio di gerarchia delle fonti, non si può negare alla regione il potere sia di disciplinare la materia anche in (ipotetica e) parziale difformità rispetto alle disposizioni contenute in un decreto ministeriale, sia di fissare, con carattere non retroattivo, limiti più rigorosi alle facoltà riconosciute al soggetto convenzionato. Ciò in quanto le strutture private, sono integrative di quelle pubbliche ed in quest'ultime possono esservi carenze in talune specialità e non in altre; di qui la necessità per la regione di convenzionare un certo numero di posti letto in relazione alla propria programmazione nella materia.

 

Considerato in diritto

 

1.- É stata sollevata questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dell'art. 20 della legge della Regione Lombardia n. 7 del 1990. Si sostiene nell'ordinanza di rinvio che la norma avrebbe modificato il sistema di calcolo della retta dovuta alle case di cura convenzionate, desumibile dalla normativa statale cui è riservata la specifica disciplina. La norma impugnata prevede il rimborso nei limiti del 50 per cento delle degenze - assicurate in regime di convenzione dalle case di cura private - eccedenti, nell'anno di riferimento, il tasso di occupazione massimo teorico dei posti letto convenzionati per specialità, e, quindi, facendo riferimento a queste ultime, sarebbe in contrasto con la disciplina statale che considererebbe invece come strutture rilevanti, ai fini del convenzionamento, non le specialità, bensì "i raggruppamenti di specialità".

2.- Va preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità dedotta dalla Regione Lombardia, sotto il profilo del difetto di motivazione sul punto della non manifesta infondatezza della questione.

Dall'ordinanza è dato difatti individuare nei suoi esatti termini la questione e gli argomenti che la sorreggono, consentendo a questa Corte di compiere il sindacato sulla norma oggetto dell'incidente di costituzionalità.

3.- Nel merito la questione non è fondata.

Lo schema della convenzione-tipo delle USSL con le case di cura private, di cui al decreto del Ministro della sanità 22 luglio 1983, prevede (art.3, tredicesimo comma) che, ai fini del convenzionamento, i posti letto devono essere "distinti in relazione alle singole specialità" e (art. 5, secondo comma) che non possono essere accettati in regime convenzionale "pazienti in soprannumero in relazione alla ricettività dei posti letto convenzionati e riferiti ai singoli raggruppamenti". In via di principio la convenzione-tipo collega dunque il numero dei posti letto alle specialità e prevede altresì (art. 4, secondo comma) che le parti, pubblica e privata, debbano impegnarsi "ad armonizzare le proprie attività allo scopo di giungere a forme di integrazione fra settore pubblico e settore privato nel quadro della programmazione sanitaria regionale".

Nonostante tale collegamento fra numero di posti letto e specialità, il rimettente ritiene che la legge regionale impugnata non avrebbe potuto stabilire il rimborso nei limiti del 50 per cento delle degenze eccedenti il numero dei posti "convenzionati per specialità", perchè le specialità non avrebbero autonoma rilevanza se non nel quadro dei "raggruppamenti" in cui esse dovrebbero essere riunite e pertanto le eccedenze, che dovrebbero valere ai fini contabili, non potrebbero che essere riferite al totale dei posti letti relativi ad ogni singolo raggruppamento.

Osserva la Corte che se è vero che il già citato schema di convenzione-tipo, una volta indicate le specialità come punto di riferimento del numero dei posti letto da convenzionarsi, fa subito dopo menzione dei "raggruppamenti" nei quali le prime possono riunirsi, ciò non significa che tale riunione, ai fini che interessano, debba necessariamente avvenire. Infatti, mentre la specialità è una entità necessaria della convenzione, perchè è essa il riferimento per la determinazione del numero dei posti letto, non lo è il raggruppamento che nella convenzione-tipo si presenta come un dato meramente indicativo, utilizzato per ragioni organizzative come uno dei modi con cui le singole convenzioni possano individuare le specialità, ove si ritenga di raggrupparle. Ciò non esclude che ciascuna di queste possa essere considerata in modo isolato dalla legge regionale, tenuta, tra l'altro, ad uniformarsi agli indirizzi di rigore imposti dalle leggi dello Stato, le quali hanno sempre più corre sponsabilizzato le regioni ai fini del contenimento della spesa sanitaria nel quadro delle compatibilità con le risorse disponibili (sentt. nn. 356 del 1992

 e 283 del 1991).

Questo significa che spetta essenzialmente alle regioni, in relazione ai fabbisogni effettivi, di determinare i limiti del convenzionamento che, nel quadro della programmazione regionale, assolve alla funzione di integrazione dell'assistenza svolta dalle strutture pubbliche.

D'altronde questa Corte ha già ritenuto (sent. n. 263 del 1992

) conforme ai principi delle autonomie regionali la previsione di una convenzione-tipo, proprio riconoscendo alle regioni lo spazio di discrezionalità necessario ad adeguare le possibili soluzioni concrete alle esigenze locali. E si deve ancora considerare che, in ogni caso, le clausole della convenzione-tipo, che risale al 1983, devono oggi assumere un significato aderente all'evoluzione legislativa nella materia che ha imposto alle regioni limiti di spesa sempre più rigorosi.

Compito della convenzione-tipo è stato perciò quello di fissare i profili più generali della relativa disciplina, lasciando alle regioni la possibilità di regolare gli aspetti particolari. E mentre il collegamento tra numero dei posti letto e specialità è certamente un profilo generale, perchè è sotto quel profilo che può caratterizzarsi l'armonizzazione e l'integrazione tra settore pubblico e settore privato, nel quadro della programmazione statale e regionale, uguale valore non può attribuirsi alla possibilità che più specialità vengano raggruppate fra loro ai fini del convenzionamento, facendo da ciò derivare conseguenze di ordine contabile, trattandosi viceversa di un aspetto, come già detto, meramente organizzativo, cui non risulta che le leggi regionali siano obbligate ad uniformarsi.

4.- Non è influente, ai fini della questione, neppure l'art. 5 della convenzione-tipo, nè nella parte in cui prevede l'impegno della casa di cura "a non accettare pazienti in sovrannumero in relazione alla ricettività di posti letto convenzionati e riferiti ai singoli raggruppamenti"; nè nella parte in cui prevede la possibilità, previa nuova impegnativa da parte dell'USL, della "mobilità dei pazienti dall'una all'altra unità di degenza dello stesso raggruppamento o di raggruppamenti analoghi".

A parte che neppure da queste ultime previsioni si desume che nelle convenzioni le specialità debbano essere necessariamente riunite in "raggruppamenti", in ogni caso la legge regionale impugnata non si pone in contrasto con esse, anzi per un certo verso appare più favorevole per le case di cura. Difatti, per quel che riguarda la prima previsione, mentre la convenzione-tipo prevede l'impegno delle case di cura di non accettare pazienti in sovrannumero rispetto al numero dei posti letto riferiti ai singoli raggruppamenti (evidentemente, per quanto si è detto in precedenza, se le leggi regionali recepiscano questa entità in luogo delle specialità), la legge regionale impugnata consente invece, nell'assolvimento dei compiti connessi alle responsabilità cui le regione sono state chiamate, il superamento delle degenze, ma limita al 50 per cento il rimborso di quelle eccedenti il numero dei posti letto convenzionati per specialità.

Nè la norma impugnata incide in alcun modo sulla seconda delle previsioni indicate, la quale condiziona ad una nuova impegnativa la mobilità dei pazienti dall'una all'altra "unità di degenza dello stesso raggruppamento o di raggruppamenti analoghi". In primo luogo la terminologia, abbastanza imprecisa, adoperata nella convenzione-tipo, consente di attribuire alla voce "raggruppamenti" un significato generico perchè l'art. 3, come si è detto, pur nel far riferimento ai raggruppamenti, considera tuttavia la "specialità" la sua unità elementare, definendola anche, nel tredicesimo comma, come unità funzionale con la sigla U.F..

Ciò che invece appare rilevante nella previsione dell'art. 5 , ai fini della mobilità, è "l'unità di degenza" che, essendo considerata all'interno di un raggruppamento, sta evidentemente per "specialità";ma in ogni caso la legge regionale impugnata, nel ridurre al 50 per cento la rimborsabilità delle degenze eccedenti, non ha niente a che fare nè con la mobilità fra una "unità di degenza" ed un'altra, nè con la sua assoggettabilità ad una previa nuova impegnativa.

In conclusione sotto nessun profilo la legge regionale impugnata appare incompatibile con i riferimenti contenuti nella convenzione-tipo ai "raggruppamenti" .

5.- Quanto infine al profilo della incidenza retroattiva della legge impugnata sulle convenzioni in atto, esso, pur formando oggetto di attenzione nell'ordinanza di rimessione, non può essere preso in considerazione dalla Corte perchè nel dispositivo dell'ordinanza stessa l'oggetto della questione è espressamente precisato con esclusivo riferimento all'art. 117, primo e secondo comma, della Costituzione "a mente delle competenze, in materia di redazione di convenzioni tipo de quibus, affidate allo Stato e per esso al Ministero della sanità ai sensi dell'art. 44, terzo comma, della legge n. 833 del 1978 (v. anche art. 5, nono comma, della legge n.407 del 1990)".

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 20 della legge della Regione Lombardia 6 febbraio 1990 n. 7 (Case di cura private: disciplina dell'autorizzazione e della vigilanza.Convenzioni), sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per la Lombardia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 07/04/94.