Sentenza n. 107 del 1994

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SENTENZA N. 107

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, lett.a), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636, in riferimento all'art. 4, lett. c), dello stesso decreto (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), promosso con ordinanza emessa il 6 aprile 1993 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto da Milana Angelo contro il Ministero delle Finanze ed altro, iscritta al n. 479 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia - investito di un ricorso presentato da Angelo Milana contro il Ministero delle finanze per l'annullamento del decreto ministeriale n. 7/541/N del 4 luglio 1991, che ne dichiarava la decadenza dalla carica di presidente di commissione tributa ria per perdita del requisito della buona condotta - ha sollevato, per violazione dell'art. 108 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, lett.a), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), in riferimento all'art. 4, lett. c), dello stesso decreto, nella parte in cui prevede, ai fini della declaratoria di decadenza dei componenti le commissioni tributarie, che si accerti la permanenza del requisito della buona condotta senza contemplare una fase istruttoria e decisionale in contraddittorio.

Dopo aver sottolineato il carattere giurisdizionale delle commissioni tributarie, il tribunale rimettente osserva che l'art. 6, lett. a), del d.P.R. n. 636 del 1972 vulnera l'indipendenza del giudice tributario, sotto il profilo della sua inamovibilità, la quale si realizza anche attraverso la previsione di procedure particolari finalizzate ad accertare il permanere della buona condotta.

In base all'art. 6, in esame, la decadenza è dichiarata dal Ministro delle finanze su proposta del Presidente del tribunale: il primo ha un potere vincolato, mentre il secondo agisce senza che il diretto interessato sia in alcun modo informato e, quindi, possa interloquire. Il giudice a quo richiama l'attenzione sul fatto che il legislatore, nel riformare il sistema degli organi di giurisdizione tributaria, ha soppresso il requisito della buona condotta, prevedendo l'instaurazione di un procedimento disciplinare innanzi al Consiglio di Presidenza della giustizia tributaria, con graduazione delle sanzioni: artt. 7 e 15 del decreto legislativo 31 dicembre 1992, n. 545 (Ordinamento de gli organi speciali di giurisdizione tributaria ed organizzazione degli uffici di collaborazione in attuazione della delega al Governo contenuta nell'art. 30 della legge 30 dicembre 1991, n. 413). Tale nuova normativa non risolve, però, il dubbio di costituzionalità, perchè essa si applicherà solo alle nuove commissioni tributarie dopo il loro insediamento e la costituzione del Consiglio di Presidenza.

A evitare la censura di costituzionalità non sarebbe d'altronde sufficiente la previsione di una congrua motivazione della proposta di decadenza, la quale non dovrebbe dar luogo ad alcuna valutazione discrezionale e, comunque, nel momento in cui investa comportamenti suscettibili di vario apprezzamento non può sottrarsi a una specifica procedura in contraddittorio, specie quando si tratti di salvaguardare l'indipendenza di un organo giurisdizionale.

 

Considerato in diritto

 

l. La questione sottoposta all'esame della Corte riguarda, formalmente, un possibile contrasto fra l'art. 108 della Costituzione e il disposto dell'art. 6, primo comma, lett. a), del d.P.R. n. 636 del 1972, che impone al Ministro delle finanze, su proposta dei competenti capi degli uffici giudiziari, di dichiarare decaduti dall'incarico di componente le commissioni tributarie coloro i quali perdono uno dei requisiti di cui all'art. 4 del citato d.P.R. n. 636 (cittadinanza, buona condotta, godimento dei diritti civili e politici, ecc.). Nella specie, la questione sollevata attiene alla perdita del requisito della buona condotta (art. 4, lett.c) da parte di un presidente di commissione tributaria.

Le doglianze del giudice a quo non sono tuttavia circoscritte al parametro dell'indipendenza dei giudici delle giurisdizioni speciali, quali sono le commissioni tributarie, ma anche - per quanto non formalmente indicati, ma chiaramente enunciati - ai principi costituzionali della difesa (art. 24) e di proporzione e adeguatezza al caso concreto delle <sanzioni>, alle quali apparterrebbe, nella sostanza, anche la declaratoria di decadenza dall'ufficio di componente la commissione tributaria (art. 3).

Chiamata a decidere della legittimità costituzionale delle norme istitutive delle Sezioni specializzate agrarie, con la sentenza n. 108 del 1962 questa Corte, pur avendo rilevato l'omessa menzione nell'ordinanza dell'art. 108 (mentre era invocata la violazione dell'art. 102), afferma, in una fattispecie assai vicina a questa in esame, la necessità che l'accertamento dei limiti entro cui è da contenere il giudizio della Corte sia compiuto con riguardo <al complessivo testo della medesima; sicchè il principio predetto non è violato quando risulti in modo univoco dalla motivazione quale sia l'oggetto della questione proposta>.

Non v'è dubbio che l'ordinanza di rimessione si dolga del preteso vulnus all'indipendenza del giudice tributario, <sotto il profilo della inamovibilità>, in considerazione dell'assenza di una specifica procedura contenziosa quale - insieme alla graduazione delle sanzioni - sarebbe stata creata dal legislatore che, con il decreto legislativo n.545 del 1992, ha riformato il sistema della giustizia tributaria.

In tal senso va dunque precisata la questione di costituzionalità sollevata, con l'ordinanza in epigrafe, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia.

2. Nel merito, la questione è fondata.

Questa Corte ha più volte chiarito che l'indipendenza del giudice speciale esige un minimo di garanzie che il legislatore è tenuto a soddisfa re (si vedano le sentt. nn.196 del 1982, 121 del 1970, 60 del 1969, 133 del 1963 e 108 del 1962).

Tra queste deve includersi la garanzia del diritto all'ufficio per i componenti gli organi delle giurisdizioni speciali. Tale garanzia comporta, in particolare, la <possibilità di sottrarsi alle risultanze emergenti dagli atti di ufficio> dell'Amministrazione (v. la sentenza n. 196 del 1982 e le altre richiamate), sia essa l'<amministrazione servente> l'organo di giurisdizione speciale (in questo caso l'amministrazione finanziaria), sia essa l'amministrazione di appartenenza del componente. Questione tanto più delicata, in quanto le potestà degli organi di vertice dell'amministrazione di appartenenza, nella specie i capi degli uffici giudiziari, non trovano alcuna disciplina legislativa circa i controlli e le relative comunicazioni al Ministro delle finanze, competente ad adottare il provvedimento di decadenza. Nè tale diritto potrebbe essere eliso da un provvedimento emanato in via automatica senza aver assicurato al suo titolare le garanzie della preventiva contestazione e del contraddittorio, che è principio generale avente preciso rilievo costituzionale (cfr. da ultimo sent.297 del 1993), soprattutto quando si determini una deminutio di situazioni giuridiche soggettive. Tanto più che, in casi siffatti, l'automatismo della decadenza comporterebbe la surrettizia violazione della garanzia di indipendenza dei giudici speciali tributari e dei principi costituzionali stabiliti dall'art. 3, con riguardo alla proporzione e adeguatezza dei provvedimenti sanzionatori al caso concreto, e dall'art. 24 della Costituzione circa la inviolabilità della difesa.

A tale indicazione, peraltro, il legislatore ha mostrato spontanea ottemperanza con la nuova disciplina delle commissioni tributarie.

Quantunque sia destinata a rimanere in vigore solo per breve tempo, la precedente normativa non risulta su questo punto conforme a Costituzione, sì che la relativa disciplina - nella parte qui impugnata - deve essere dichiarata illegittima per contrasto con gli indicati parametri costituzionali.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 6, primo comma, lett. a), del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 636 (Revisione della disciplina del contenzioso tributario), in riferimento all'art. 4, lett. c), nella parte in cui non prevede garanzie di contraddittorio ai fini della declaratoria della decadenza dall'incarico di componente la commissione tributaria, per sopravvenuto difetto della <buona condotta>.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 31/03/94.