Sentenza n. 88 del 1994

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SENTENZA N. 88

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Avv. Massimo VARI

 

Dott. Cesare RUPERTO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 424 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa l'11 maggio 1992 dal Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verbania nel procedimento penale a carico di Botteselle Giuseppe ed altro, iscritta al n. 662 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 42, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Ritenuto in fatto

 

Udito nella camera di consiglio del 9 febbraio 1994 il Giudice relatore Mauro Ferri

l. Il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verbania solleva, in riferimento agli artt. 3, 97 e 102 (recte: 112) della Costituzione, questione di legittimità dell'art.424 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede che il G.I.P. possa, all'esito dell'udienza preliminare, trasmettere gli atti al pubblico ministero per descrivere il fatto diversamente da come ipotizzato nella richiesta di rinvio a giudizio".

2. Il remittente, ritenuto di non poter pronunciare, ai sensi dell'art.424 del codice di procedura penale, all'esito della discussione, altro provvedimento che sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio, sostiene che tale limitazione di poteri, e la mancata previsione di un potere di trasmissione degli atti al pubblico ministero affinchè descriva diversamente il fatto, pone in dubbio la legittimità costituzionale della norma in riferimento ai seguenti parametri:

a) art. 3 della Costituzione: in quanto sarebbe irragionevole, pur in presenza di un processo di parti, vincolare il giudice, nella definizione del fatto-reato, alla descrizione del pubblico ministero; ed ancor più irragionevole ove si consideri che il G.I.P. in sede di udienza preliminare è l'unico giudice che fisiologicamente nel corso del processo prende cognizione di tutti gli atti di indagine, mentre il giudice del dibattimento potrebbe non venire a conoscenza, in relazione al comportamento processuale delle parti, di elementi essenziali ed essere pertanto fuorviato per "ignoranza" da una realtà meramente processuale: dal che discenderebbe la necessità logica che all'esito dell'udienza preliminare il G.I.P. abbia i necessari poteri propulsivi e sollecitativi per adeguare il "thema deci dendum" alla realtà storica emergente.

b) art. 97 della Costituzione: in quanto la mancanza di un siffatto potere del G.I.P. contrasterebbe con il principio di imparzialità e buon andamento dell'Amministrazione, dal momento che l'erronea descrizione del fatto potrebbe portare ad una decisione erronea del giudice del dibattimento.

c) art. 112 della Costituzione: atteso che le situazioni sopra indicate potrebbero compromettere, in forza di un giudicato, l'esercizio in concreto dell'azione penale.

 

Considerato in diritto

 

l. Il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verbania solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 424 del codice di procedura penale "nella parte in cui non prevede che il G.I.P. possa, nell'esito dell'udienza preliminare, trasmettere gli atti al pubblico ministero per descrivere il fatto diversamente da come ipotizzato nella richiesta di rinvio a giudizio".

Il giudice remittente, premesso che la norma impugnata non consente, a suo avviso, diversa alternativa all'esito della discussione che quella della pronuncia della sentenza di non luogo a procedere o del decreto che dispone il giudizio, rile va che la mancata previsione del potere di trasmettere gli atti al pubblico ministero affinchè descriva diversamente il fatto contestato può porsi in contrasto:

- con l'art. 3 della Costituzione: in quanto il giudice sarebbe irragionevolmente vincolato nella definizione del fatto-reato alla decisione del pubblico ministero;

- con l'art. 97 della Costituzione: poichè il principio di imparzialità e buon andamento dell'amministrazione risulterebbe compromesso dal momento che l'erronea descrizione del fatto potrebbe portare ad una erronea decisione del giudice del dibat timento;

- con l'art. 102 (recte: 112) della Costituzione: per la possibile compromissione, in forza di un giudicato, dell'esercizio effettivo dell'azione penale.

2. La questione non è fondata.

Il dubbio di costituzionalità prospettato dal giudice a quo muove dal presupposto che l'art. 424 del codice di procedura penale non sia suscettibile di ricevere altra interpretazione al di fuori di quella che impone al giudice per le indagini preliminari, anche a fronte dell'esigenza di una diversa formulazione del fatto, di scegliere soltanto tra sentenza di non luogo a procedere o decreto che dispone il giudizio, senza possibilità di sollecitare il pubblico ministero ad apportare adeguate modifiche, in fatto, al capo d'imputazione.

3. In realtà, l'interpretazione della norma fatta propria dal giudice remittente non risulta condivisa dalla prevalente giurisprudenza, sia di legittimità che di merito, che ha sinora espresso diverse soluzioni interpretative sul punto.

Mentre alcuni giudici di merito hanno ritenuto possibile, nell'udienza preliminare, l'applicazione analogica dell'art. 521, secondo comma, che prevede, all'esito del dibattimento, la facoltà del giudice di trasmettere gli atti al pubblico ministeroove accerti che il fatto è diverso da come descritto nel decreto che dispone il giudizio, la Corte di cassazione, invece, ha recentemente avallato, al medesimo fine, una soluzione fondata sull'interpretazione estensiva dell'art. 423, comunque idonea ad evitare il dubbio di costituzionalità prospettato dal giudice a quo.

4. Non è compito di questa Corte indicare opzioni nell'ambito delle varie soluzioni interpretative, ove queste siano tutte egualmente legittime in raffronto al dettato costituzionale. Nondimeno alcune considerazioni generali possono riassumere brevemente taluni punti fermi nella disciplina dell'udienza preliminare.

Nella situazione delineata dal giudice remittente, il principio che viene in primo luogo in luce è, evidentemente, quello della necessaria aderenza del fatto contestato all'imputazione formula ta; ove quindi il giudice per le indagini preliminari pronunci un provvedimento caratterizzato dall'esigenza che il pubblico ministero precisi ulteriormente, o modifichi, il fatto enunciato nella richiesta di rinvio a giudizio (sia che ne individui la fonte normativa nell'art. 521, ovvero nell'art. 423), detta decisione non solo risulta pienamente coerente con la necessità di correlare l'imputazione a quanto di diverso può emergere nel corso dell'udienza preliminare, ma - come sottolinea la Corte di cassazione - "deve ritenersi doverosa ai fini del rispetto del diritto di difesa".

5. Proprio quest'ultimo rilievo è suscettibile di ulteriori approfondimenti e mostra come la riferita interpretazione degli artt.423 e 521, con i suoi conseguenti riflessi sulla norma posta dall'art. 424, può ritenersi, come si è detto, corretta sotto il profilo costituzionale.

Dal principio generale della necessaria correlazione tra accusa e sentenza, posto non solo a tutela del diritto di difesa dell'imputato ed a garanzia del contraddittorio, ma anche al fine del controllo giurisdizionale sul corretto esercizio dell'azione penale, può desumersi che la costante corrispondenza dell'imputazione a quanto emerge da gli atti è un'esigenza presente in ciascuna fase processuale, e quindi anche nell'udienza preliminare, come chiaramente lo stesso disposto dell'art. 423 dimostra.

Anche la successiva disposizione dell'art. 429, lett. d), allorquando pone obbligo al giudice di enunciare, nel decreto che dispone il giudizio, l'indicazione sommaria delle fonti di prova e dei fatti cui esse si riferiscono, non può evidentemente intendere (in aderenza anche al principio del libero convincimento del giudice) null'altro che i fatti così come effettivamente emersi all'esito dell'udienza preliminare ed apprezzati dall'organo giudicante nell'autonomia delle sue funzioni giurisdizionali.

Se così non fosse, la norma obbligherebbe il legittimamente il giudice ad operare un rinvio a giudizio contrario alle sue convinzioni per una imputazione non riscontrabile negli atti processuali che offrono fonti di prova che di essa non possono costituire idoneo e specifico supporto.

6. Rimane, invero, l'unica altra alternativa astrattamente possibile, ove il giudice dell'udienza preliminare fosse vincolato al fatto così come rubricato dal pubblico ministero; se infatti, per le ragioni ora esposte, il giudice non può disporre il rinvio a giudizio in relazione ad un'imputazione che egli ritiene priva di concreto contenuto materiale, sarà conseguentemente obbligato al proscioglimento dall'imputazione così come formalmente contestata, mentre il pubblico ministero dovrà poi procedere ex novo per i fatti realmente emersi.

Ma anche tale possibile esito dell'udienza preliminare - fondato più sulla lettera dell'art. 424 che su approfondite ragioni di ordine logico-sistematico - viene però escluso in base al riferito orientamento giurisprudenziale sull'interpretazione degli artt. 423 e 52l.

Se nell'udienza preliminare la modifica o l'integrazione dell'imputazione, e persino l'introduzione di un fatto nuovo (con il consenso dell'imputato), sono effettuate oralmente dal pubblico ministero, anche con semplice comunicazione al difensore se l'imputato non è presente, ciò avviene proprio al fine di portare a conclusione nella medesima fase processuale l'attività di controllo giurisdizionale volta a delibare il fondamento dell'ac cusa ed a fissare il thema decidendum. Sono così evitate, anche mediante il ricorso alle integrazioni probatorie previste dall'art. 422, le situazioni di stallo decisorio, dovute all'impossibilità di decidere allo stato degli atti, che, altrimenti, comporterebbero una regressione del procedimento con il rinvio degli atti al pubblico ministero perchè inizi di nuovo l'azione penale.

A ciò si aggiunga che la novella legislativa introdotta con legge 8 aprile 1993, n. 105, recante, all'art. 1, la soppressione dell'inciso "evidente" dal primo comma dell'art. 425, ha sostanzialmente modificato la regola di giudizio sottesa alla sentenza di non luogo a procedere, rafforzando chiaramente il potere valutativo del giudice dell'udienza preliminare, così che quest'ultima possa funzionare come filtro di maggior consistenza rispetto al dibattimento.

7. Se questa è quindi la funzione assegnata dal legislatore all'udienza preliminare, nulla, nella lettera e nello spirito della disciplina in esame, vieta che alle modifiche dell'imputazione ritenute opportune il pubblico ministero possa essere sollecitato mediante un provvedimento del giudice, il quale, ravvisando l'emergere di fatti diversi da quelli contestati, lo inviti espressamente a tali adempimenti.

É appena il caso di aggiungere, infine, che la stessa lettera dell'art.423 non esclude che detta facoltà del giudice possa essere esercitata anche dopo la chiusura della discussione, purchè "nel corso dell'udienza", e cioé prima della pronuncia dei provvedimenti previsti, sul merito della regiudicanda, dall'art. 424.

 

8. Posto quindi che la norma impugnata, interpretata alla stregua delle considerazioni ora esposte, non preclude al giudice per le indagini preliminari il potere di ordinare la trasmissione degli atti al pubblico ministero affinchè descriva diversamente il fatto contestato, la questione deve essere dichiarata non fondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art. 424 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3, 97 e 112 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Verbania con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/03/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15/03/94.