Ordinanza n. 82 del 1994

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ORDINANZA N. 82

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 169 e 170 del codice penale militare di pace, promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1993 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia nel procedimento penale a carico di Fiocco Antonio, iscritta al n. 549 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.39, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 26 gennaio 1994 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

Ritenuto che nel corso di un giudizio penale il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia, con l'ordinanza in epigrafe, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale degli articoli 169 e 170 del codice penale militare di pace;

che la questione investe le richiamate disposizioni nella parte in cui esse prevedono la punibilità, con la reclusione militare fino a sei mesi, dei fatti di deterioramento colposo di cose mobili "anche di scarsissimo rilievo economico" appartenenti all'amministrazione militare, ciò che contrasterebbe con il parametro costituzionale invocato sotto un duplice profilo:

a) per la ingiustificata disparità di trattamento che le norme determinerebbero, nel raffronto con il sistema del diritto penale comune che non contempla una forma colposa del reato di danneggiamento, tra i militari e i cittadini (nonchè, segnatamente, tra i militari e i dipendenti civili dell'amministrazione militare) rispetto alla commissione di analoghi fatti, a svantaggio dei primi;

b) per irragionevolezza della disciplina, che appresterebbe in tal modo tutela penale al patrimonio militare non già in rapporto a criteri coerenti con l'oggetto della tutela stessa, bensì soltanto in dipendenza di una circostanza estrinseca rispetto al medesimo oggetto, come è la qualifica di militare - o meno - del soggetto attivo;

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione venga dichiarata inammissibile o infondata.

Considerato che la questione è indirizzata ad eliminare dal novero delle fattispecie punibili catalogate dall'art. 169 del codice penale militare di pace quella del "deterioramento" di cose mobili appartenenti all'amministrazione militare, allorchè commesso per colpa (ex art. 170 dello stesso codi ce);

che una prospettiva del genere involge, all'evidenza, una selezione e una scelta nell'ambito di plurime opzioni possibili, giacchè la determinazione di sub-fattispecie equivalenti nell'ambito della stessa disposizione incriminatrice costituisce una manifestazione di volontà del legislatore, cui compete stabilire quali fatti debbano essere sanzionati penalmente, e in che modo, nel limite della non- irragionevolezza della scelta;

che, infatti, la connotazione discrezionale della prospettata eliminazione della sub-fattispecie del "deteriorare cose mobili" si rivela laddove si consideri lo sbilanciamento dell'equilibrio normativo, sia interno che esterno alla norma impugnata, che ne deriverebbe: un equilibrio, sia nella definizione delle condotte causative di danno ex artt. 169-170 citati, sia nella calibratura di altre fattispecie contigue o in rapporto di specificazione con quella impugnata (come ad es. gli artt. 164 e 165 del codice penale militare di pace), che verrebbe ad essere alterato dalla richiesta ablazione;

che, d'altra parte, proprio la prospettazione del rimettente, allorchè ripetutamente sottolinea lo "scarsissimo valore economico" delle cose deteriorate, quale elemento rafforzativo di censura delle norme in rapporto alla concreta vicenda del giudizio a quo, indica un ulteriore profilo di discrezionalità legislativa sottesa alla scelta di selezionare in modo diverso le condotte punibili, molteplici essendo i criteri e i parametri ai quali, in ipotesi, sarebbe possibile accordare rilevanza a tal fine (e lo stesso giudice rimettente ne enumera alcuni: valore del bene, funzione specifica di esso, coefficiente di responsabilità del soggetto attivo, e così via);

che, su quest'ultimo punto, si deve osservare sia che il dato obiettivo della tenuità del danno trova riscontro nella previsione dell'attenuante di cui all'art. 171, n. 2) del codice in argomento, sia che la prospettiva tutta e solo patrimoniale da cui muove il rimettente non è pienamente coerente con il carattere plurioffensivo del reato, collocato nell'ambito dei reati contro il servizio militare;

che è dunque espressione delle attribuzioni del legislatore, in sede di revisione della disciplina penale militare, l'accennato profilo dell'eventuale rilievo da annettere al grado di effettiva offensività del fatto;

un profilo che attualmente, oltre all'attenuante sopra ricordata, può essere utilmente valutato attraverso un uso più ragionevole ed attento dell'istituto della richiesta di procedimento, necessario per la punibilità del reato a norma dell'art. 260, secondo comma, del codice penale militare di pace, in modo da escludere dal novero della sfera del penalmente apprezzabile fattispecie del genere di quella che ha dato luogo al presente giudizio;

che, pertanto, la questione, come già ritenuto da questa Corte con riguardo a prospettazioni in parte coincidenti (ord.n. 216 del 1989; sent. n. 280 del 1987), involge scelte - non costituzionalmente obbligate - affidate alla discrezionalità legislativa, e va perciò dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale degli arti coli 169 e 170 del codice penale militare di pace, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale militare di La Spezia con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/02/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/03/94.