Sentenza n. 76 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 76

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

 

SENTENZA

 

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 22, numero 10, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva), nel testo integrato dalla legge 11 agosto 1991, n. 269 (Modifiche ed integrazioni agli artt. 21 e 22 della legge 31 maggio 1975, n.191, all'art. 100 del decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1964, n. 237, come sostituito dall'art. 7 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, in materia di dispensa e di rinvio del servizio di leva), promosso con l'ordinanza emessa il 5 febbraio 1993 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione distaccata di Latina, sul ricorso proposto da Di Russo Marco contro il Ministero della difesa, iscritta al n. 474 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Udito nella camera di consiglio del 1° dicembre 1993 il Giudice relatore Massimo Vari.

 

 

 

Ritenuto in fatto

 

 

 

l.- Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, Sezione distaccata di Latina -nel corso di un giudizio proposto da Marco Di Russo nei confronti del Ministero della difesa, avverso un provvedimento di diniego del beneficio della dispensa dagli obblighi militari di leva- ha sollevato, in riferimento agli artt. 1, 3, 4, 41 e 52 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 22, numero 10, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (come integrato dall'art. 9, secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 269), nella parte in cui non contempla nel beneficio in questione i figli dei lavoratori deceduti nello svolgimento di attività di lavoro autonomo.

 

Secondo il giudice a quo, la norma impugnata, limitando l'applicazione del beneficio stesso agli orfani di lavoratori dipendenti pubblici o privati, genera gravi ed ingiustificate discriminazioni fra cittadini chiamati all'assolvimento degli obblighi militari e che versino in particolare situazione familiare.

 

2.- Dinanzi a questa Corte non ci sono stati né intervento del Presidente del Consiglio dei ministri né costituzione di parti private, per cui la causa é stata fissata per l'esame in camera di consiglio, ai sensi dell'art. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, primo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte Costituzionale.

 

 

 

Considerato in diritto

 

 

 

l.- La Corte é chiamata a decidere della legittimità costituzionale dell'art. 22, numero 10 (rectius: art. 22, primo comma, numero 10) della legge 31 maggio 1975, n. 191, come integrato dall'art. 9, secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 269, nella parte in cui prevede il beneficio della dispensa dalla ferma di leva per gli orfani dei lavoratori dipendenti pubblici e privati e non anche per gli orfani dei lavoratori autonomi deceduti nello svolgimento della loro attività.

 

2.- Va precisato che la questione é stata sollevata nel corso di un giudizio di impugnazione di una deliberazione con la quale il Consiglio di leva di mare di La Spezia aveva respinto un'istanza di dispensa dal servizio militare di leva, non avendo ritenuto che ad essa potesse dar titolo la qualità di orfano di lavoratore autonomo sia pure deceduto per causa inerente allo svolgimento della sua attività. Sussiste, pertanto, la rilevanza del la questione in relazione al giudizio a quo.

 

3.- Secondo l'ordinanza di rimessione, la norma impugnata darebbe luogo ad una ingiustificata discriminazione tra cittadini chiamati all'assolvimento degli obblighi militari, perchè porrebbe il lavoro autonomo in posizione deteriore rispetto al lavoro subordinato, venendo così a collidere con diversi principi della Costituzione e in particolare: con il principio affermato nell'art. 1, secondo cui l'Italia é una Repubblica fondata sul lavoro; con il principio di uguaglianza di cui all'art. 3 e con l'art.52, essendo inaccettabile che i limiti all'obbligatorietà del servizio militare valgano solo per alcune categorie di orfani del lavoro.

 

Inoltre, la norma denunciata penalizzerebbe la scelta di esercitare un'attività di lavoro autonomo, pur enfaticamente tutelata dall'art. 4 della Costituzione, e comprimerebbe l'effettività del principio della libertà d'iniziativa economica privata, affermato dall'art. 41.

 

Il giudice remittente sostiene, infine, che la esclusione dal beneficio della dispensa del primo o di altro figlio maschio di lavoratore autonomo, deceduto per causa di servizio é tanto più illogica e irrazionale ove si consideri che la dispensa é accordata come risulta dal numero 11 della stessa norma impugnata- al primo o altro figlio maschio di genitore invalido per servizio o del lavoro, senza distinguere se esso sia autonomo o subordinato.

 

4.- La questione é fondata.

 

È da premettere che la norma denunciata, vale a dire l'art. 22 della legge 31 maggio 1975, n. 191, così come integrato dall'art.9 della legge 11 agosto 1991, n. 269, nel disciplinare le varie ipotesi che, in tempo di pace, danno titolo al beneficio di cui trattasi, prevede, al numero 10 del primo comma, l'ipotesi di primo o altro figlio maschio di genitore caduto in servizio o nello svolgimento di altra attività di lavoro subordinato o deceduto per l'aggravarsi delle infermità contratte per tali cause.

 

Risulta perciò evidente che, per gli orfani, il beneficio della dispensa dalla ferma di leva viene ad essere limitato ai figli di genitori deceduti per fatti connessi allo svolgimento di attività di lavoro dipendente.

 

A tanto conduce il tenore della disposizione testè citata che fa riferimento, da una parte, ai caduti in servizio da intendersi- alla stregua della vigente legislazione, e in particolare di quella sul c.d. equo indennizzo e sulle pensioni privilegiate- come coloro che erano, in vita, titolari di rapporti annoverabili fra quelli del pubblico impiego, e, dall'altra, ai deceduti nello svolgimento di altre attività di lavoro subordinato.

 

La restrizione del beneficio agli orfani di lavoratori dipendenti, con correlativa esclusione degli orfani dei lavoratori autonomi, non pare alla Corte rispondente a principi di ragionevolezza, per il fondamentale motivo, posto in risalto anche dal giudice a quo, del contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in connessione con l'art.52, non essendo ammissibile che i limiti all'obbligatorietà del servizio militare valgano solo per alcune categorie di orfani e non anche per altre, quando queste appaiono meritevoli di essere analogamente tutelate.

 

A conferma dell'illogicità della discriminazione operata dalla disposizione impugnata sta la previsione di cui al numero 11 dello stesso art. 22, primo comma, della legge n. 191 del 1975, là dove accorda il beneficio della dispensa al primo o altro figlio maschio di genitore invalido del lavoro senza distinguere fra lavoro autonomo o subordinato.

 

Più in generale non può non rilevarsi, poi, la dissonanza fra la disposizione denunciata e talune discipline di protezione sociale, quali quella sull'assicurazione contro gli infortuni sul lavoro, nella quale risultano comprese, in specifiche ipotesi, anche categorie di lavoratori autonomi, come si evince dall'art. 4 del d.P.R. 30 giugno 1965, n. 1124, nonché quella sul collocamento obbligatorio (legge 2 aprile 1968, n. 482), nei li miti in cui essa recepisce, nell'individuare i soggetti destinatari dei benefici apprestati, le definizioni proprie dalla predetta normativa d'ordine assicurativo.

 

Non é senza significato, infine, che, proprio per porre rimedio alla esclusione ingiustificatamente operata dalla norma, sia stata presentata, nel corso della XI legislatura, una proposta di legge (Atti Camera, n. 1242) volta all'eliminazione della lamentata discrasia.

 

L'accoglimento della questione, sotto il profilo della violazione degli artt. 3 e 52 della Costituzione, esime la Corte dall'esaminare gli altri profili di incostituzionalità dedotti, che restano, pertanto, assorbiti.

 

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 22, primo comma, numero 10, della legge 31 maggio 1975, n. 191 (Nuove norme per il servizio di leva), come integrato dall'art.9, secondo comma, della legge 11 agosto 1991, n. 269 (Modifiche ed integrazioni agli artt. 21 e 22 della legge 31 maggio 1975, n. 191, all'art. 100 del decreto del Presidente della Repubblica 14 febbraio 1964, n. 237, come sostituito dall'art. 7 della legge 24 dicembre 1986, n. 958, in materia di dispensa e di rinvio del servizio di leva), nella parte in cui non contempla, nel beneficio della dispensa dall'obbligo della ferma di leva, i figli dei lavoratori deceduti nello svolgimento di attività di lavoro autonomo.

 

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 23/02/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Massimo VARI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 10/03/94.