Sentenza n. 53 del 1994

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SENTENZA N. 53

ANNO 1994

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

Dott. Cesare RUPERTO

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale degli artt. 291 e 297 del codice civile, promossi con n.2 ordinanze emesse il 22 aprile ed il 10 maggio 1993 dalla Corte d'appello di Genova sui ricorsi proposti da Zarrillo Vincenzo e Ramella Riccardo ed altra, iscritte ai nn. 409 e 485 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 35 e 37, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 12 gennaio 1994 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Con ordinanze emesse in data 22 aprile 1993 (R.O. n. 409 del 1993) e 10 maggio 1993 (R.O.n. 485 del 1993) nel corso di procedimenti relativi alla dichiarazione di idoneità ai fini dell'adozione di persona maggiorenne, la Corte d'appello di Genova ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art.291 "e, per quanto vi si connette", dell'art. 297 del codice civile, nella parte in cui non viene consentita detta adozione alle persone che hanno discendenti legittimi o legittimati minorenni.

Osserva il giudice rimettente che l'evoluzione della giurisprudenza costituzionale (sentenze n.557 del 1988 e n. 345 del 1992) non consente di considerare attratto nell'ambito dell'art. 297 il caso di soggetti che hanno discendenti legittimi o legittimati minorenni, relativamente alla cui ipotesi l'art.291 deve ritenersi tutt'ora preclusivo, con connessa rilevanza nel giudizio a quo della questione di costituzionalità.

La non manifesta infondatezza della questione è motivata in ragione della disparità di trattamento che sarebbe operata dalla disposizione, agli effetti dell'applicabilità dell'istituto, fra l'incapacità d'agire del minore e quella da infermità di mente dell'interdetto. A parere del giudice a quo, i differenti aspetti problematici connessi alla diversità sostanziale tra le due ipotesi possono essere affrontati adeguatamente attribuendo al saggio apprezzamento del giudice la valutazione comparativa degli interessi in campo con gli elementi specifici del caso singolo.

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata.

Nel motivare tale richiesta, la difesa erariale sottolinea come la richiamata sentenza n. 557 del 1988 di questa Corte non offre all'interprete alcun argomento in favore della tesi, sostenuta dal giudice a quo, circa la disparità di trattamento fra soggetti con figli legittimi o legittimati maggiorenni e figli minorenni. E neppure la successiva sentenza n. 345 del 1992 offre argomenti seri, giacchè in quel caso l'impedimento all'adozione ha carattere non temporaneo (come per l'adozione in presenza di figli minori) ma permanente (non potendo il figlio maggiorenne esprimere il proprio assenso perchè interdetto).

Proprio la temporaneità dell'impedimento offrirebbe un argomento di rilevanza decisiva a favore della congruità del complessivo sistema, giacchè per gli effetti, sia familiare che patrimoniali, dell'adozione, è opportuno limitare al minimo le ipotesi nelle quali i membri della famiglia legittima vengono posti nell'impossibilità di prestare il proprio consenso: nel caso di presenza di figli minori, pertanto, non sembra irragionevole, secondo la difesa erariale, attendere la loro maggiore età perchè essi possano consapevolmente esprimersi nei confronti dell'adozione.

 

Considerato in diritto

 

l. Con due ordinanze di analogo contenuto, la Corte d'appello di Genova ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 291 e "per quanto vi si connette", dell'art. 297 del codice civile, nella parte in cui non viene consentita l'adozione alle persone che hanno discendenti legittimi o legittimati minorenni.

Se questo è il testuale dispositivo delle due ordinanze, va precisato che, mentre entrambe prospettano in tema di adozione ordinaria- la disparità di trattamento tra la situazione dell'aspirante adottante che abbia già un figlio minorenne (caso in cui la vigente disciplina non consente l'adozione) rispetto a quella dell'adottante che abbia un figlio maggiorenne interdetto per infermità di mente (caso in cui il Tribunale può pronunciare l'adozione), nella seconda ordinanza si accenna ad un'ulteriore disparità di trattamento fra la situazione dell'adottante "ordinario" e di quella dell'adottante "speciale", poichè soltanto nella prima ipotesi l'esistenza di un figlio minore impedirebbe di pronunciare l'adozione.

2. Nonostante questa differenza, per motivi di evidente connessione, i due giudizi vanno riuniti e definiti con unica sentenza.

3. La questione non è fondata sotto entrambi i profili.

In ordine alla prima prospettazione, comune alle due ordinanze, lo stesso giudice a quo riconosce la "importante differenza sostanziale" fra la "predeterminata transitorietà" della incapacità d'agire del figlio minorenne rispetto alla incapacità del maggiorenne per patologia mentale, "contrassegnata dall'abitualità... legata ad incertezza di prognosi, quando non a prognosi di irreversibilità". E lo stesso giudice osserva che ammettere anche il caso del discendente minorenne fra quelli dell'art.297 del codice civile "porterebbe a soluzioni irrevocabilmente privative, per il giovane soggetto interessato, dell'esercizio, a termine magari abbastanza prossimo a maturare, di quella facoltà personalissima di non assenso, con il di lui assoggettamento ai relativi effetti" sia sul piano personale che patrimoniale. Ed in proposito, la Corte d'appello rileva che "la già esistente fami glia legittima dell'aspirante adottante, nei suoi componenti più stretti, non può essere relegata in secondo piano".

Malgrado queste osservazioni, il giudice a quo conclude che i "differenziali aspetti potrebbero, tuttavia, in altra ottica, essere ritenuti affrontabili adeguatamente con il saggio apprezzamento del giudice, il quale valutando comparativamente gli interessi in campo e gli elementi specifici del caso singolo, potrebbe, ad esempio, pervenire ad una decisione, allo stato, di non opportunità di far luogo all'adozione".

4. A prescindere dagli aspetti di perplessità emergenti dalla stessa ordinanza di rimessione, e dalla prospettazione di rimettere alla discrezionale valutazione del giudice la decisione di far luogo all'adozione nel caso di aspirante adottante che abbia già un figlio minorenne solo quando questa situazione sia in concreto assimila bile a quella del maggiorenne interdetto, deve escludersi che queste due ipotesi possano essere considerate omogenee, sia pure attraverso il prudente apprezzamento delle singole fattispecie.

É appena il caso di premettere un accenno al le profonde differenze fra l'adozione c.d. ordina ria e quella speciale o legittimante. La prima, come è noto, di antichissima tradizione, è stata conservata dalla vigente normativa allo scopo essenziale di dare un figlio a chi non ha avuto di scendenti legittimi o legittimati. La seconda è, al contrario, finalizzata a dare una famiglia adottiva a minori abbandonati dai loro genitori biologici.

Da tale intrinseca diversità discendono due discipline coerenti alle rispettive rationes, e quindi fra loro differenti in ordine alle condizioni richieste ed alle relative conseguenze.

5. Questa Corte, con sentenza n. 557 del 1988, pur riaffermando che rientra nella discrezionalità del legislatore contenere l'istituto dell'adozione ordinaria "entro l'ambito ritenuto più opportuno per salvaguardare i diritti dei membri della famiglia legittima", ha tuttavia sottolineato che la "differente valutazione legislativa dell'assenso di persone (rispettivamente coniuge e figli), tutte facenti parte della famiglia legittima dell'adottante, ed egualmente interessate, sia sotto l'aspetto morale che sotto quello patrimoniale, anche in relazione al favor sempre dimostrato dal legislatore verso l'istituto, appare chiaramente incongrua".

Una volta estesa, quindi, l'ammissibilità dell'adozione ordinaria anche all'ipotesi di adottante con discendenti legittimi o legittimati maggiorenni e consenzienti, è stata ritenuta coerente (sentenza n. 345 del 1992) la conseguenziale applicabilità dell'art. 297 del codice civile anche all'ipotesi di adottanti con figli maggiorenni per i quali sia impossibile ottenere l'assenso per incapacità.

6. Mentre nelle due pronunce ora richiamate l'equiparazione della disciplina ha potuto operare sulla base del riconoscimento di situazioni omogenee, diversa risulta la situazione della tutela dei figli minorenni dell'adottante, cui si riferisce la questione ora sottoposta all'esame di questa Corte. Appare, invero, evidente la differente condizione di detti figli minori sia rispetto ai figli maggiorenni e consenzienti, sia rispetto ai figli maggiorenni e interdetti per infermità di mente. Gli aspetti differenziali fra queste situazioni sono stati come si è sopra riferito- riconosciuti dallo stesso giudice a quo, il quale ha, da un lato, ricordato che l'adozione ordinaria ha tra l'altro "le finalità della perpetuazione del nome dell'adottante e della trasmissione del relativo patrimonio"; e, dall'altro, ha rilevato che "la pur prudente valutazione del giudice porterebbe a soluzioni irrevocabilmente privative, per il giovane soggetto interessato, dell'esercizio di quella facoltà personalissima di non assenso con il di lui assoggetta mento ai relativi effetti" tanto rilevanti sul pia no morale e patrimoniale.

E tuttavia, in modo irragionevole e contraddittorio, il giudice a quo conclude ritenendo che tali differenziali aspetti problematici potrebbero "in altra ottica" essere "affrontati con il saggio apprezzamento del giudice".

Questa Corte ritiene, invece, che una tale conclusione non solo porterebbe a parificare situazioni che sono tra loro differenti, privando i figli minori della personalissima facoltà - una volta divenuti maggiorenni - di valutare e decidere sui delicati interessi in gioco, ma snaturerebbe eccessivamente le finalità dell'istituto dell'adozione ordinaria, per la quale non sussistono peraltro nè le esigenze, nè l'urgenza riscontrabili nell'adozione speciale.

7. A quest'ultimo proposito, deve brevemente valutarsi la prospettazione aggiuntiva contenuta nella seconda ordinanza di rimessione, circa un ulteriore profilo di disparità di trattamento. Si fa cioé notare che nell'adozione speciale "l'esigenza di tutela del figlio minore degli adottanti sia identica, se non maggiore con riferimento ai più pregnanti effetti, a quella del figlio minore dell'aspirante all'adozione ordinaria".

A dimostrazione dell'infondatezza di questa tesi, basata sull'asserita identità di situazioni, è sufficiente osservare che, mentre con l'adozione speciale l'ordinamento giuridico intende inserire in una idonea e stabile famiglia (preferibilmente già con figli) un minore moralmente e materialmente abbandonato - e per questo interesse prevalente ritiene secondaria l'eventuale soddisfazione ridotta degli interessi personali e patrimoniali dei figli legittimi (anche se minorenni) degli adottanti -, nel caso invece dell'adozione ordinaria il legislatore non ha riscontrato analogo interesse prevalente, in quanto l'adottando non solo è maggiorenne e continua ad essere legato ai propri genitori, ma, entrando anche in una seconda famiglia, assorbe una parte degli interessi morali e patrimoniali del figlio minore, legato soltanto alla famiglia dell'adottante.

La scelta del legislatore di valutare diversa mente le due fattispecie è frutto pertanto di un bilanciamento di interessi che conduce nei due casi a soluzioni differenti: tale bilanciamento non appare irragionevole e pertanto, anche sotto questo aspetto, non risulta violato il principio di eguaglianza di cui all'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale degli artt. 291 e 297 del codice civile, sollevata, in riferimento all'art.3 della Costituzione, dalla Corte d'appello di Genova con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 09/02/94.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/02/94.