Sentenza n. 37 del 1994

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SENTENZA N. 37

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 10, sesto e settimo comma, e 11, primo e secondo comma del d.P.R.30 giugno 1965, n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), promosso con ordinanza emessa il 15 aprile 1993 dal Tribunale di Ravenna nel procedimento civile vertente tra Concordato preventivo Morini Giuseppe e Bernardi Fabrizio ed altri, iscritta al n.341 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti l'atto di costituzione dell'I.N.A.I.L. nonche' l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 16 novembre 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

 

uditi l'avv. Adriana Pignataro per l'I.N.A.I.L. e l'avvocato dello Stato Antonio Bruno per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel corso di un procedimento civile in grado di appello, in cui, in relazione ad un infortunio sul lavoro, si controverteva sulla sussistenza della responsabilità del datore di lavoro, sulla misura in cui la colpa di quest'ultimo aveva concorso alla produzione del sinistro, sull'ammontare del risarcimento dovuto al lavoratore per danno patrimoniale, danno biologico e danno morale, nonche' sull'ammontare delle somme dovute dal datore di lavoro all'I.N.A.I.L., il Tribunale di Ravenna ha rilevato che una riduzione, in sede di appello, della percentuale di responsabilità attribuita al datore di lavoro ovvero una riduzione degli importi liquidati in primo grado per le varie voci di danno avrebbero potuto comportare che, ai fini dell'azione di regresso spettante all'I.N.A.I.L. ai sensi dell'articolo 11, primo e secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, l'istituto venisse ad avvalersi anche delle somme dovute dal datore di lavoro al lavoratore a titolo di risarcimento del danno morale. Il Tribunale di Ravenna, con ordinanza del 15 aprile 1993 (r.o. n. 341 del 1993), ha quindi sollevato questione di legittimità costituzionale - per contrasto con gli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione - dell'articolo 10, sesto e settimo comma, e dell'articolo 11, primo e secondo comma, del testo unico delle disposizioni sull'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali approvato con il suddetto d.P.R. n. 1124 del 1965, nella parte in cui, rispettivamente, prevedono che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio e' derivato, al risarcimento del danno morale solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall'I.N.A.I.L. nonche' nella parte in cui consentono all'I.N.A.I.L. di avvalersi, nell'esercizio del diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili, anche delle somme da queste dovute a titolo di risarcimento del danno morale.

 

Nell'ordinanza di rimessione si ricorda che questa Corte, con sentenza n.356 del 1991, ha dichiarato l'illegittimità, per contrasto con l'articolo 32 della Costituzione, dell'articolo 1916 cod.civ. nella parte in cui, in tema di assicurazione contro i danni, "consente all'assicuratore di avvalersi, nell'esercizio del diritto di surrogazione nei confronti del terzo responsabile, anche delle somme da questi dovute all'assicurato a titolo di risarcimento del danno biologico".

 

Quanto al danno morale, nella parte motiva di tale pronunzia si legge che "la dichiarazione di incostituzionalità non può invece estendersi a quanto attiene al risarcimento del danno morale di cui all'articolo 2059 cod. civ. o ad altre ragioni risarcitorie parimenti non assistite dalla garanzia di cui all'articolo 32 della Costituzione".

 

Quest'ultima enunciazione appare riferibile anche all'azione di regresso spettante all'I.N.A.I.L. nei confronti delle persone civilmente responsabili, ed infatti la successiva sentenza n. 485 del 1991 ha dichiarato l'illegittimità costituzionale dell'articolo 11, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965 solo con riferimento al danno biologico.

 

Ciò premesso, il giudice a quo osserva che "l'affermazione della Corte costituzionale (peraltro contenuta nella sola parte motiva) sembra non tenere adeguato conto della natura e del modus operandi del danno morale ... che costituisce pur sempre una lesione della salute psico-fisica (in particolare della salute psichica) incidendo, appunto, sulla psiche dell'interessato e spesso in maniera estremamente rilevante in particolare quando, come nella specie, il danno morale direttamente consegua ad una malattia subìta dallo stesso soggetto interessato (del resto sembra assurdo considerare danno alla salute il danno alla vita di relazione e non il danno morale che pure vi e' quasi sempre inestricabilmente connesso)".

 

Il Tribunale di Ravenna osserva poi che una volta escluso che l'indennità I.N.A.I.L. riguardi l'intero danno alla persona e' illogico consentire l'azione di regresso su ragioni di danno non coperte dall'assicurazione quale e', appunto, il danno morale.

 

Ne' tale questione potrebbe essere risolta in via interpretativa, perche' una tale soluzione si porrebbe in contrasto con il "diritto vivente", rappresentato in questo caso dalla costante e univoca giurisprudenza di legittimità e di merito, secondo cui, nell'esercizio dell'azione di regresso, l'I.N.A.I.L. può avvalersi anche del danno morale subìto dall'infortunato. Donde la necessità di sottoporre all'esame del giudice delle leggi anche l'illogicità di una disposizione che consente, secondo l'interpretazione corrente, l'esproprio, a favore dell'assicuratore e a danno del lavoratore, di un risarcimento riguardante un danno non coperto dall'assicurazione.

 

La questione rilevante nel giudizio a quo - spiega infine il Tribunale di Ravenna - riguarda specificamente e direttamente la disposizione di cui all'articolo 11, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965. Ma essa non può non investire anche la disposizione di cui all'articolo 10, sesto e settimo comma - che della prima costituisce il logico presupposto - nella parte in cui prevede che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa hanno diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio e' derivato, al risarcimento del danno morale solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superi l'ammontare delle indennità corrisposte dall'I.N.A.I.L..

 

2.- Costituendosi nel giudizio davanti a questa Corte, l'I.N.A.I.L.ha chiesto che la questione sia dichiarata irrilevante, inammissibile e comunque manifestamente infondata. Infatti, come questa Corte ha già ritenuto nella sentenza n. 356 del 1991, il diritto al risarcimento del danno morale non ha e non può avere rilevanza costituzionale, ne' esso rientra nel danno biologico.

 

L'istituto osserva, inoltre, che i citati articoli 10 e 11 del Testo unico del 1965 n. 1124 non determinano un "esproprio", a favore dell'assicuratore e a danno del lavoratore, di un risarcimento riguardante un danno non coperto dall'assicurazione. Infatti l'I.N.A.I.L. non risarcisce un danno nel senso civilistico, ma corrisponde un'indennità, che e' calcolata in base a parametri totalmente diversi da quelli civilistici e che fa riferimento esclusiva mente alla produttività dell'infortunato in quanto prestatore di attività lavorativa.

 

Non sembra, quindi, esatto parlare di danni coperti e non coperti dall'assicurazione sociale. Più propriamente, nell'assicurazione sociale contro gli infortuni sul lavoro si dovrebbe parlare unicamente di tutela della capacità lavorativa e di indennità erogata nel caso in cui venga meno per sempre tale capacità al lavoro.

 

Il cosiddetto danno morale e' un aspetto del risarcimento danni che riguarda il campo civilistico e non quello delle disposizioni speciali in materia di previdenza sociale.

 

L'ammontare della indennità corrisposta dall'I.N.A.I.L. rileva, in ordine all'azione di regresso dell'I.N.A.I.L., esclusivamente quale limite al diritto di regresso dell'istituto.

 

Il principio di correlazione tra copertura assicurativa, risarcimento danni e azione di rivalsa e' un principio di natura civile che non può applicarsi alle norme previdenziali, ispirate da esigenze diverse di solidarietà e di sicurezza sociale.

 

3.- E' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o infondata e riservandosi di illustrare in seguito le ragioni di tale richiesta.

 

4.- Nell'imminenza dell'udienza, l'I.N.A.I.L. e la Presidenza del Consiglio dei ministri hanno depositato memorie illustrative.

 

L'istituto ha più analiticamente argomentato le proprie difese ed in particolare l'eccezione di inammissibilità per irrilevanza, osservando che la sentenza di primo grado aveva liquidato e attribuito integralmente all'infortunato il risarcimento del danno morale e tale decisione non era stata impugnata ne' dal danneggiato, ne' dall'I.N.A.I.L., mentre l'attribuzione di tale voce del risarcimento al danneggiato o all'Istituto non aveva formato oggetto dell'impugnazione proposta dal datore di lavoro.

 

Riguardo al merito della questione, la difesa dell'I.N.A.I.L. ha ribadito che il risarcimento del danno morale non e' assistito dalla garanzia di cui all'articolo 32 della Costituzione (sentenza n. 356 del 1991): stabilire a chi debba essere riconosciuto o trasferito tale diritto e' quindi questione meramente interpretativa, la cui soluzione spetta al giudice ordinario e non alla Corte costituzionale.

 

Più in generale, deduce l'Istituto, appare non pertinente, nel campo della previdenza sociale, richiamare il principio civilistico della correlazione tra rischi assicurati e danni indennizzati.

 

Le indennità corrisposte dall'I.N.A.I.L., infatti, sono calcolate in base a parametri che sono totalmente diversi da quelli civilistici e che fanno riferimento esclusivamente alla produttività dell'infortunato in quanto prestatore di attività lavorativa. La rendita corrisposta all'infortunato, capitalizzata per tutta la sua vita, copre ben oltre il danno morale e quindi la comprensione di tale componente pecuniaria nel coacervo della rivalsa I.N.A.I.L. non pregiudica economicamente l'infortunato ma si limita ad impedire che l'infortunio si traduca in una causa di arricchimento ingiustificato.

 

5.- Nella memoria illustrativa del Presidente del Consiglio dei ministri si richiama l'esplicita esclusione del danno morale dalle ragioni risarcitorie assistite da garanzia costituzionale e si ricorda che il risarcimento del danno morale e' dovuto solo nei casi previsti dalla legge e che la liquidazione di esso non può che essere rimessa alla valutazione discrezionale del giudice, da operarsi caso per caso, in relazione ai più diversi parametri, essendo diretta a riparare l'ingiusto perturbamento dello stato d'animo dell'offeso. Da tali caratteri deriva - secondo l'Avvocatura - che questo tipo di risarcimento e' per sua natura escluso dalle somme dovute a titolo di indennità al lavoratore infortunato e, conseguentemente, non appare possibile in pratica che l'azione di regresso dell'Istituto lo riguardi.

 

Per tali ragioni - conclude l'Avvocatura - e' da escludere il preteso contrasto tra le norme impugnate e gli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione, e la questione proposta deve quindi dichiararsi infondata.

 

Considerato in diritto

 

l.- Con sentenza n. 485 del 1991, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale - per violazione dell'articolo 32 della Costituzione - dell'articolo 10, sesto e settimo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124, nella parte in cui prevedeva che il lavoratore infortunato o i suoi aventi causa avessero diritto, nei confronti delle persone civilmente responsabili per il reato da cui l'infortunio e' derivato, al risarcimento del danno bio-logico non collegato alla perdita o riduzione della capacità lavorativa generica solo se e solo nella misura in cui il danno risarcibile, complessivamente considerato, superasse l'ammontare delle indennità corrisposte dall'I.N.A.I.L.. Con la medesima pronunzia e con riferimento al medesimo parametro costituzionale e' stata dichiarata l'illegittimità anche dell'articolo 11, primo e secondo comma del suddetto decreto, nella parte in cui consentiva all'I.N.A.I.L. di avvalersi - nell'esercizio del diritto di regresso contro le persone civilmente responsabili - anche delle somme dovute al lavoratore infortunato a titolo di risarcimento del danno biologico non collegato a perdita o riduzione della capacità lavorativa generica.

 

Il Tribunale di Ravenna, invocando gli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione, chiede alla Corte di estendere la dichiarazione di illegittimità costituzionale delle norme suddette al fine di comprendere anche il danno morale nella garanzia che tale decisione e la precedente sentenza n. 356 del 1991 hanno attuato nei confronti del c.d. danno biologico.

 

Il giudice a quo dà atto che quest'ultima pronunzia aveva affermato che la dichiarazione di incostituzionalità non poteva estendersi a quanto attiene al risarcimento del danno morale di cui all'articolo 2059 del codice civile o ad altre ragioni risarcitorie, parimenti non assistite dalla garanzia di cui all'articolo 32 della Costituzione, ma ritiene che tale affermazione, in quanto contenuta nella sola parte motiva della sentenza, non precluda un nuovo esame della questione. Quest'ultima troverebbe fondamento nella considerazione che il danno morale "costituisce pur sempre una lesione della salute psico-fisica (in particolare della salute psichica)" - e nella considerazione della illogicità di norme che consentono all'ente assicuratore di avvalersi, ai fini dell'azione di regresso, di una ragione risarcitoria - il danno morale - non coperta dall'assicurazione.

 

2.- Deve essere disattesa l'eccezione di inammissibilità formulata dalla difesa dell'I.N.A.I.L..

 

Il giudice a quo ha dato adeguatamente conto, sia pure in modo sintetico, della rilevanza della questione, rappresentando, in sostanza, che l'accoglimento del gravame, per la parte concernente la misura del risarcimento liquidato in primo grado per le varie componenti del danno, avrebbe potuto por tare il cosiddetto danno differenziale - evidentemente, anche in relazione ai risultati di una consulenza tecnica espletata nel giudizio di secondo grado - ad un importo inferiore alla somma di danno biologico e danno morale, con conseguente possibilità concreta per l'I.N.A.I.L. di avvalersi di quest'ultima ragione risarcitoria ai fini dell'azione di regresso.

 

3.- Sul merito della questione, deve preliminarmente essere osservato che l'affermazione secondo cui il risarcimento del danno morale di cui all'articolo 2059 del codice civile non e' assistito dalla garanzia di cui all'articolo 32 della Costituzione non costituiva, nella sentenza n. 356 del 1991, un mero obiter dictum, posto che, al contrario, in base ad essa l'accoglimento della proposta questione di legittimità costituzionale e' stato limitato al profilo riguardante il cosiddetto danno biologico. Tale affermazione, del resto, si uniformava ai principi enunciati da questa Corte con la sentenza n. 184 del 1986, secondo cui la limitazione, ai sensi dell'articolo 2059 del codice civile, della risarcibilità del danno non patrimoniale ai soli casi determinati dalla legge era compatibile con la tutela del diritto alla salute consacrato dall'articolo 32 della Costituzione, purche' il medesimo articolo 2059 fosse riferito al solo danno morale subiettivo, inteso quale "momentaneo, tendenzialmente transeunte, turbamento psicologico" collegato alla sofferenza fisica o al dolore morale e, come tale, alla pari del danno patrimoniale in senso stretto, "danno-conseguenza, che può derivare da una serie numerosa di tipi di evento" e non soltanto dalla menomazione dell'integrità psico-fisica dell'offeso.

 

Il rilievo del giudice a quo, secondo cui "il danno morale, che non ha ovviamente natura economica, costituisce pur sempre una lesione della salute psico-fisica ed in particolare della salute psichica", non tiene quindi conto della lettura "costituzionale" degli articoli 2043 e 2059 del Codice civile indicata dalla giurisprudenza di questa Corte, peraltro in armonia con le più accreditate acquisizioni della dottrina civilistica e della giurisprudenza di legittimità. Altro problema e', invece, quello che si riferisce all'ipotesi che la sofferenza fisica o morale determini effettivamente, di per se stessa, alterazioni della psiche tali da incidere negativamente sull'attitudine del soggetto a partecipare normalmente alle attività, alle situazioni e ai rapporti in cui la persona esplica se stessa nella propria vita. Ma la risarcibilità di un simile pregiudizio - ed in particolare la configurabilità di esso in termini di danno biologico - e' una questione di interpretazione del diritto e di valutazione del fatto che spetta al giudice ordinario risolvere.

 

4.- Ribadita, quindi, l'insussistenza della dedotta violazione dell'articolo 32 della Costituzione, non può essere presa in considerazione la censura formulata con riferimento agli articoli 2 e 38 della Costituzione, in quanto la totale mancanza di motivazione in ordine alla non manifesta infondatezza di tali profili rende privo di specificità il richiamo ai suddetti parametri costituzionali.

 

5.- Il giudice a quo ha chiesto il vaglio di questa Corte sull'articolo 11, primo e secondo comma, del d.P.R. n. 1124 del 1965, "anche sotto l'aspetto dell'illogicità di una disposizione che consente, nell'interpretazione corrente, l'esproprio a favore dell'assicuratore e a danno del lavoratore di un risarcimento riguardante un danno non coperto dall'assicurazione", la quale, nel caso del- l'I.N.A.I.L., riguarda esclusivamente i riflessi che la menomazione psico-fisica ha sull'attitudine al lavoro dell'assicurato. Nell'esporre i motivi di tale profilo - al quale non e' peraltro collegata una esplicita denunzia di violazione dell'articolo 3 della Costituzione - il Tribunale di Ravenna rileva che tale illogicità richiede, per essere superata, l'esclusione del danno morale dall'azione di regresso dell'I.N.A.I.L. ed osserva che a tale risultato ben si potrebbe pervenire anche in via di interpretazione degli articoli 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965. Ma una simile soluzione si porrebbe in contrasto con la costante giurisprudenza di legittimità; donde la necessità di sollecitare l'intervento del giudice delle leggi.

 

Effettivamente, era stato costantemente affermato dalla Suprema Corte di cassazione che l'unico limite quantitativo che l'assicuratore incontra, quando agisce in surroga ai sensi dell'articolo 1916 del codice civile o in regresso ai sensi dell'articolo 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965 per il recupero di quanto corrisposto all'assicurato a titolo di indennizzo o di indennità, va individuato nell'ammontare complessivo del risarcimento dovuto dal terzo (o dal datore di lavoro) responsabile, senza che sia possibile distinguere tra le varie componenti del danno subito dall'assicurato, neppure con riferimento, in particolare, al caso in cui fra di esse vi siano voci non coperte dalla garanzia assicurativa.

 

Riconoscendo che tale consolidato indirizzo giurisprudenziale rappresentava il diritto vivente nella materia regolata dalle disposizioni suddette, la Corte costituzionale, con le già citate sentenze nn. 356 e 485 del 1991, ha osservato che, allorquando la copertura assicurativa, in virtù delle norme di legge o di contratto che la disciplinano, non abbia ad oggetto il danno biologico, oppure si limiti ad indennizzare la perdita o la riduzione di alcune soltanto delle capacità del soggetto, consentire che l'assicuratore, nell'esercizio del proprio diritto di surroga o di regresso nei confronti del responsabile, si avvalga anche del diritto dell'assicurato al risarcimento del danno biologico non coperto dalla prestazione assicurativa, significa sacrificare il diritto dell'assicurato stesso all'integrale risarcimento di tale danno, con conseguente violazione dell'articolo 32 della Costituzione, non essendo logicamente possibile spiegare altrimenti l'operatività del meccanismo: non e' infatti ipotizzabile - ha osservato la Corte - che l'esistenza di una pretesa risarcitoria estranea alla copertura assicurativa sia di per se' idonea ad alterare, riducendoli, i termini, le condizioni e l'oggetto di quest'ultima.

 

Da tali pronunzie, la Corte di cassazione ha tratto l'occasione e lo spunto per una revisione della propria precedente interpretazione della disciplina in oggetto.

 

Nell'assenza di elementi di interpretazione letterale univocamente cogenti in un senso o nell'altro, e' stato posto in rilievo come le suddette dichiarazioni di illegittimità costituzionale avessero fatto venir meno il principio interpretativo secondo cui il danno risarcibile, anche se comprende diverse componenti, costituisce un complesso unitario e sostanzialmente indifferenziato, sicche' veniva a riacquistare preminente rilievo la considerazione del fatto che l'azione di surroga o di regresso, formalmente diretta contro il terzo, incide sostanzialmente sul patrimonio dell'assicurato, il quale viene privato, in tutto o in parte del suo credito di risarcimento. Si intende, quindi, "come i limiti dell'azione debbano essere ricercati nel rapporto assicurativo e nella sua funzione indennitaria, escludendosi dunque dall'ambito della surroga quelle componenti del danno spettanti al danneggiato nei confronti del terzo che siano estranee alla copertura assicurativa", che', altrimenti, l'assicurato verrebbe espropriato del suo diritto all'integrale risarcimento del danno, con conseguente palese violazione del principio generale espresso dall'articolo 2043 del codice civile (Cass. 20 giugno 1992 n. 7577).

 

Da tali premesse, la Corte di cassazione, con una serie di successive pronunzie conformi, che hanno riguardato sia l'articolo 1916 del codice civile, sia gli articoli 10 e 11 del d.P.R. n. 1124 del 1965, ha tratto la conclusione che il diritto di surroga o di regresso non può, in generale, essere esteso al danno non coperto da garanzia assicurativa, ed in particolare non può essere esteso al danno morale previsto dall'articolo 2059 del codice civile, quando tale danno sia estraneo al rischio assicurato. Deve quindi rilevarsi che l'opzione interpretativa perseguita dal giudice a quo - e che il medesimo non ha ritenuto di poter autonomamente adottare in concreto per la presenza di un consolidato indirizzo contrario della giurisprudenza di legittimità - e' stata invece fatta propria dalla stessa Corte di cassazione, con pronunzie che hanno ricostruito la razionalità del sistema normativo risultante dagli interventi correttivi di questa Corte. La questione di costituzionalità sottoposta all'esame di questa Corte deve quindi ritenersi superata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 10, sesto e settimo comma e dell'articolo 11, primo e secondo comma, del d.P.R. 30 giugno 1965 n. 1124 (Testo unico delle disposizioni per l'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali), in riferimento agli articoli 2, 32 e 38 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Ravenna con ordinanza del 15 aprile 1993.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/02/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 17/02/94.