Ordinanza n. 8 del 1994

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ORDINANZA N. 8

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

ORDINANZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 83, quinto comma, dello stesso codice, come modificato dalla sentenza della Corte costituzionale n. 453 del 1992, promosso con ordinanza emessa il 19 febbraio 1993 dal Pretore di Lecce nel procedimento penale a carico di Vantaggiato Rosato, iscritta al n. 239 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

 

Udito nella camera di consiglio del 3 novembre 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

 

 

Ritenuto che nel corso di un procedimento penale per il reato di omicidio colposo, il Pretore di Lecce, con ordinanza del 19 febbraio 1993, ha sollevato, su eccezione della parte civile costituita, questione di legittimità, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, in relazione al- l'art. 83, quinto comma, dello stesso codice, "come modificato" dalla sentenza costituzionale n.453 del 1992, perche' il termine minimo di cinque giorni dalla data dell'udienza per la notifica della citazione alla persona offesa nel procedimento davanti al pretore sarebbe talmente esiguo da precludere a questa l'esercizio del diritto sia di costituirsi parte civile sia di citare il responsabile civile;

 

 

che il giudice a quo, pur evocando la decisione di questa Corte con la quale la medesima questione e' già stata dichiarata inammissibile, ritiene "opportuno" riproporla perche' sempre la sentenza n. 453 del 1992, nel dichiarare - contestualmente all'inammissibilità delle censure concernenti l'art. 558, secondo comma - anche l'illegittimità costituzionale dell'art.83, quinto comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevede per la citazione del responsabile civile nel procedimento davanti al pretore il medesimo termine assegnato all'imputato dall'art.555, terzo comma, dello stesso codice, ha ribadito che l'art. 24 della Costituzione resterebbe vulnerato tutte le volte in cui venga concesso all'interessato un termine così breve per far valere un diritto da renderne concretamente impossibile l'esercizio;

 

 

che, inoltre, sempre a seguito della sentenza n. 453 del 1992 e della dichiarazione d'illegittimità in essa contenuta, risulterebbe compromesso il rispetto, da parte della norma denunciata, dell'art. 3 della Costituzione sotto un duplice profilo:

 

 

in primo luogo, per l'irragionevole disuguaglianza del trattamento riservato alla persona offesa dal reato rispetto a quello riservato al responsabile civile che ha acquisito la possibilità di usufruire del termine di almeno quarantacinque giorni tra la notificazione della citazione e la data fissata per l'udienza, una disuguaglianza ancor più accentuata solo considerando che nel procedimento davanti al tribunale, stando alle statuizioni contenute nella sentenza interpretativa di rigetto n. 430 del 1992, tutte le parti possono utilizzare il medesimo termine minimo per comparire;

 

 

in secondo luogo, per l'identità del regime istituito relativamente al termine per la comparizione in giudizio nel procedimento pretorile fra l'imputato ed il responsabile civile, un'assimilazione da ritenere irragionevole considerando che il lungo termine di quarantacinque giorni e' concesso all'uno al solo scopo di assicurargli lo spatium deliberandi necessario per esercitare la facoltà di scegliere uno dei riti di deflazione del dibattimento, scopo, ovviamente, non riferibile al responsabile civile;

 

 

che nel presente giudizio non si e' costituita alcuna delle parti private ne' ha spiegato intervento il Presidente del Consiglio dei ministri;

 

 

considerato che questa Corte, con la più volte richiamata sentenza n.453 del 1992, ha già dichiarato inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui, nel procedimento davanti al pretore, "limita a soli cinque giorni precedenti l'udienza dibattimentale la citazione della persona offesa anche per ciò che concerne la ritualità della chiamata in giudizio del responsabile civile";

 

 

che in tale statuizione, pur dandosi atto "che, nell'ambito del processo pretorile, il termine minimo di cinque giorni dalla data fissata per il dibattimento per la citazione della persona offesa può in taluni casi vanificare, di fatto, il diritto di costituirsi parte civile soprattutto quando sia in gioco la citazione del responsabile civile", si ritenne preclusa dall'"assenza di un tertium comparationis ricavabile dal sistema" qualsiasi decisione manipolativa in grado di pervenire ad "una soluzione costituzionalmente obbligata", così da fronteggiare le ipotizzate incongruenze derivanti dall'applicazione della norma sottoposta a censura;

 

 

che, più in particolare, si ravvisò l'assoluta impossibilità di un intervento della Corte tale da incidere sul vigente assetto normativo in modo da equiparare la posizione della persona offesa a quella dell'imputato, non soltanto per la diretta interferenza del termine minimo di quarantacinque giorni di cui all'art. 555, terzo comma, del codice di procedura penale con la scelta, riservata solo a quest'ultimo, di utilizzare i riti di deflazione del dibattimento, ma anche per la diversità delle situazioni poste a raffronto, in quanto "non rivestendo ancora la persona offesa" nel procedimento pretorile - ove e' assente l'udienza preliminare - la qualità di parte, "l'applicazione ad essa dello stesso termine assegnato all'imputato comporterebbe l'operatività", questa volta davvero irragionevole, "di un identico regime rispetto a situazioni non omogenee";

 

 

che nella medesima pronuncia fu pure preso in considerazione "il ricorso al termine previsto per la persona offesa dal reato nel procedimento davanti al tribunale ed alla corte di assise (esteso, in via interpretativa, al responsabile civile dalla sentenza n. 430 del 1992)", ma la soluzione fu anch'essa ritenuta non perseguibile "perche' tale termine finirebbe con l'interferire, travolgendola, con la duplicità dei termini previsti dall'art. 555, con conseguenti riverberi sull'intero assetto normativo collegato alla citazione delle parti nel processo pretorile";

 

 

che nessun ulteriore contributo arreca, ai fini di una rimeditazione in ordine al precedente decisum, il richiamo alla intervenuta dichiarazione d'illegittimità costituzionale dell'art. 83, quinto comma, del codice di procedura penale, sia perche', essendo essa contenuta nella stessa sentenza n. 453 del 1993, tale statuizione risulta ora evocata in modo improprio oltre che del tutto esorbitante dal dovere di ottemperanza alle pronunce costituzionali cui il rimettente e' tenuto, avendo già questa Corte proceduto ad un esame comparativo della posizione della persona offesa e della posizione del responsabile civile ai fini della verifica di legittimità delle norme di cui e' stata contestata la conformità alla Costituzione e che il giudice a quo non ha certo il potere di rimettere in discussione, sia perche' l'intervenuta parificazione dei termini di comparizione relativamente all'imputato ed al responsabile civile e' vicenda assolutamente irrilevante nel processo ove e' stata sollevata la questione di legittimità costituzionale sottoposta ora al vaglio della Corte;

 

 

che, quindi, "poiche' le soluzioni possibili al fine di porre rimedio al regime predisposto dall'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, si profilano come discrezionali, va ribadito che "la scelta del termine congruo per la citazione della persona offesa nel giudizio pretorile non appartiene alla competenza di questa Corte, dovendo essere affidata al legislatore" (v., ancora, sentenza n. 453 del 1992);

 

 

che, oltre tutto - anche allo scopo di assicurare un esito normativo a talune decisioni di inammissibilità pronunciate da questa Corte nelle quali veniva segnalato come solo il legislatore potesse intervenire rispetto a situazioni di dubbia legittimità costituzionale - un'iniziativa legislativa risulta essere stata già avanzata, avendo il Ministro di Grazia e Giustizia presentato il disegno di legge recante "Modifiche al codice di procedura penale in materia di procedimento pretorile" (Senato della Repubblica, XI legislatura, disegno di legge n.1087, comunicato alla Presidenza il 18 marzo 1993), con il quale e' stato in gran parte ridisegnato il procedimento davanti al pretore contemplato dal vigente codice di rito, sulla base di "una profonda riflessione sul complesso di tale procedimento" riguardo al quale e' risultata "insufficiente una revisione che si limiti ad aggiustamenti e correttivi" (v.Relazione al detto disegno di legge n. 1087);

 

 

che, più in particolare, nell'ambito di una simile rivisitazione del procedimento in esame ha trovato posto una complessiva riformulazione del regime dei termini per comparire - attraverso la parificazione dei termini stessi, adesso diversa mente articolati in relazione alle varie parti private - prevedendosi (art. 3, sostitutivo degli artt. 555 e 558 ed abrogativo degli artt. 556, 557 e 559 del codice di procedura penale) che "Il decreto e' notificato all'imputato, al suo difensore e alla persona offesa almeno trenta giorni prima della data fissata per il giudizio";

 

 

che, dunque, la questione ora proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

 

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1993, n. 87 e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 558, secondo comma, del codice di procedura penale, in relazione all'art. 83, quinto comma, dello stesso codice, quale risultante dalla sentenza costituzionale n. 453 del 1992, questione sollevata, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 24, secondo comma, della Costituzione, dal Pretore di Lecce con ordinanza del 19 febbraio 1993.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/01/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Giuliano VASSALLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 26/01/94.