Ordinanza n. 7 del 1994

CONSULTA ONLINE

 

 

ORDINANZA N. 7

 

ANNO 1994

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

In nome del Popolo Italiano

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

 

ORDINANZA

 

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia) convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, promosso con ordinanza emessa il 10 giugno 1992 dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria nel procedimento per revoca del sequestro di beni sull'istanza di Zappia Giovanni, iscritta al n. 259 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 3 novembre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello.

 

Ritenuto che il giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, a seguito di istanza per la revoca del sequestro dei beni appartenenti ad una persona già vittima del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione e successivamente liberata, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 1, comma 2, del decreto-legge 15 gennaio 1991, n. 8, convertito, con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, nella parte in cui (ultimo periodo) dispone che il sequestro dei beni e' in ogni caso revocato quando risulta cessata la permanenza del reato;

 

che, nel prospettare la questione, il giudice rimettente muove in primo luogo dal rilievo per cui esiste, nella specie, il fondato sospetto che il patrimonio sottoposto a vincolo possa essere impiegato dalla vittima, oramai liberata, per effettuare a posteriori il pagamento del riscatto in dipendenza di una sorta di illecita promessa di pagamento a favore degli autori del reato;

 

che, rispetto a questa evenienza, rappresentativa di un "aggiramento" delle finalità della misura del sequestro, l'ordinamento non appresterebbe, ad avviso del giudice a quo, adeguata contromisura, in particolare in quanto non sarebbe possibile emettere, successivamente alla revoca del sequestro dei beni di cui all'art. 1 del decreto-legge n.8 del 1991, un provvedimento di sequestro preventivo sui medesimi beni a norma dell'art. 321 del codice di procedura penale, attesa la relazione di specialità che intercorre tra i due istituti;

 

che, tutto ciò considerato, il rimettente individua un duplice profilo di illegittimità costituzionale della norma denunciata in riferimento all'art. 3 della Costituzione, giacche' la prevista connessione tra efficacia del sequestro e cessazione della permanenza del reato: a) per un verso creerebbe disparità di trattamento tra il caso in cui (si possa ritenere che) la vittima si adoperi per pagare il riscatto una volta riacquistata la libertà e il caso in cui, per le più diverse ragioni, la vittima rimanga in condizione di segregazione sino all'effettivo pagamento del prezzo della liberazione, a tutto svantaggio di questa seconda ipotesi; b) per altro verso produrrebbe effetti non coerenti con le finalità della normativa introdotta con il decreto-legge n. 8 del 1991, che ha avuto di mira in primo luogo l'obiettivo di creare "ostacoli normativi insuperabili" al conseguimento del riscatto, e dunque risulterebbe irrazionale per incongruenza tra mezzi apprestati e fini perseguiti;

 

che, conclusivamente, onde eliminare i vizi lamentati, il rimettente sollecita una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma denunciata nella parte in cui riconnette, sic et simpliciter, la cessazione di efficacia del sequestro dei beni alla liberazione dell'ostaggio, senza consentire all'autorità giudiziaria procedente un potere di delibazione, caso per caso, in relazione alla concreta situazione verificatasi;

 

che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

 

Considerato che l'assunto centrale da cui muove il giudice a quo nel prospettare la questione e' quello per cui il sequestro "speciale", regolato dall'art. 1 del decreto-legge n. 8 del 1991, convertito in legge n. 82 del 1991, preclude, una volta venuto meno il vincolo per essere cessata la permanenza del reato di sequestro di persona a scopo di estorsione, l'applicabilità del "comune" sequestro preventivo disciplinato dall'art. 321 del codice di procedura penale; e' infatti in rapporto a detta preclusione che il rimettente reputa necessaria la configurazione di una ulteriore possibilità applicativa della cautela (sub specie del venir meno dello sbarramento temporale istituito dalla disposizione impugnata);

 

che quell'assunto non risulta viceversa ancorato a dati positivi, ne' può derivare da una interpretazione di ordine sistematico e finalistico della disciplina denunziata;

 

che se, difatti, tra le principali finalità del decreto- legge n. 8 del 1991 vi e' stata quella di evitare difformi orientamenti applicativi quanto alla apposizione del vincolo sui beni della vittima (orientamenti la cui origine va rinvenuta nella formulazione del testo dell'art. 219 del codice di procedura penale del 1930), in modo da affermare una linea di prevenzione del fenomeno delittuoso attraverso il c.d. blocco dei beni, ciò e' avvenuto sostanzialmente affrancando la misura reale dai presupposti ordinari del sequestro in funzione preventiva (pertinenza delle res al reato;

 

pericolo dell'aggravamento o della protrazione delle conseguenze del reato ovvero agevolazione della commissione di altri reati), e il giudice dal relativo obbligo di motivazione, in particolare attraverso una disciplina improntata a rigorosi criteri di doverosità (quanto al "blocco" dei beni della vittima, che e' l'ipotesi dedotta nel giudizio a quo);

 

che questi connotati di automaticità e doverosità dell'adozione della misura, idonei certamente ad escludere una concorrente applicazione del sequestro "speciale" e di quello "comune" sui medesimi beni durante la permanenza del reato, e in costanza del procedimento penale, non comportano tuttavia la conseguenza, affermata dal rimettente, della ulteriore inapplicabilità dell'ordinario sequestro preventivo ex art.321 del codice di procedura penale, una volta cessata la permanenza del reato;

 

che, anzi, proprio la reputata preclusione verrebbe a produrre effetti incongrui, giacche', una volta che ne sussistano i presupposti, nonche' ovviamente nel riespandersi del più penetrante controllo giudiziale sull'esistenza dei presupposti medesimi, risulterebbe irrazionale dedurre dalla esistenza di un istituto "speciale", ma che ha esaurito ex lege i propri effetti, una sorta di perpetuazione della relazione di specialità, alla cui verificazione farebbe perlomeno difetto uno dei termini del rapporto da genere a specie;

 

che, del resto, quella della possibilità di sottoporre al sequestro ordinario i beni della vittima risulta essere - in difetto di qualsivoglia disposizione di segno contrario - una soluzione coerente con la portata della norma impugnata, proprio alla stregua del canone di ragionevolezza: l'individuazione di un momento finale di una data misura e della sua regolamentazione non può, ragionevolmente, assumere effetti diversi e maggiori di quelli suoi propri, sino ad interferire con una disciplina - quella del codice - che il decreto-legge richiamato non ha inteso mutare e anzi e' da questo presupposta;

 

che quindi si deve ritenere possibile l'adozione del sequestro preventivo ex art. 321 del codice di procedura penale, in coerenza con la nuova e più ampia formulazione che questo strumento ha assunto in detta norma rispetto al corrispondente istituto regolato dall'art. 219 del codice del 1930;

 

una formulazione originata - anche - dal dichiarato intento di ricomprendere nel suo ambito il caso del prezzo del riscatto nei reati di sequestro di persona a scopo di estorsione (cfr.Relazione ministeriale al progetto preliminare del codice sull'art.321 citato);

 

che la conclusione cui si e' sopra pervenuti deve perciò far disattendere la premessa sulla quale si basa la questione proposta, implicando la manifesta infondatezza di quest'ultima, in rapporto al parametro costituzionale dedotto, giacche' destituisce di fondamento la prospettazione del rimettente circa il proprio impedimento ad adottare, coevamente alla revoca del sequestro speciale ex decreto-legge n. 8 del 1991, un sequestro preventivo ordinario motivato proprio dall'ipotizzato aggravamento o dalla protrazione delle conseguenze del reato la cui permanenza e' cessata, ovvero fondato sulla prevenzione della commissione di ulteriori reati (elementi, questi, la cui verifica compete ovviamente al giudice in rapporto al caso concreto);

 

che, sotto altro profilo, la questione si rivela manifestamente infondata anche nella residua parte in cui, ai fini della risoluzione del quesito posto dal rimettente, può prescindersi dal presupposto interpretativo che si e' sopra affrontato, vale a dire in rapporto alla denunciata "incongruenza tra mezzi e fini" nella disciplina censurata, che sostanzierebbe un vizio di irrazionalità intrinseca della norma;

 

che, in contrario, si deve sottolineare come l'apposizione di un termine di efficacia del sequestro costituisca un'opzione legislativa idonea a configurare un adeguato e razionale bilanciamento dei valori e degli interessi in gioco: finalità preventive, da un lato, e tutela dei diritti patrimoniali e di iniziativa economica della parte offesa - e degli altri soggetti indicati nel primo comma dell'art. 1 - dall'altro, secondo una scelta del legislatore che tiene conto del complesso articolato delle norme del decreto-legge anch'esse finalizzate, su terreni diversi, a impedire o rendere diseconomico questo particolare fenomeno criminale, ciò che e' l'obiettivo di fondo del decreto (v. gli artt. 1, quarto e quinto comma, 2,3 e 7);

 

che, pertanto, la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

 

Dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 1, comma 2, del decreto- legge 15 gennaio 1991, n. 8 (Nuove misure in materia di sequestri di persona a scopo di estorsione e per la protezione di coloro che collaborano con la giustizia), convertito , con modificazioni, nella legge 15 marzo 1991, n. 82, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale di Reggio Calabria, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 14/01/94.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 26/01/94.