Ordinanza n. 481 del 1993

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ORDINANZA N. 481

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE giudice

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 631, primo comma, del codice di procedura civile, promosso con ordinanza emessa il 14 aprile 1993 dal giudice dell'esecuzione del Tribunale di Spoleto nel procedimento esecutivo promosso dal Banco di Santo Spirito contro Luciani Luciana, iscritta al n. 250 del registro ordinanze 1993, e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 23, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Francesco Guizzi.

Ritenuto che il giudice dell'esecuzione del Tribunale di Spoleto, con ordinanza del 14 aprile 1993, ha sollevato, in relaione agli artt. 2 e 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 631, primo comma, del codice di procedura civile, nella parte in cui consente, al giudice dell'esecuzione, il rinvio d'ufficio del processo esecutivo a una udienza successiva (propedeutico alla sanzione estintiva della procedura in caso di nuova e successiva assenza delle parti) solo nel caso che le parti siano assenti e non anche in quello in cui le stesse, comparendo, chiedano rinvio senza giustificarne il motivo;

che nella situazione di <stasi di fatto> (causata dall'inerzia del creditore procedente) nella quale si troverebbe il processo esecutivo nel caso de qua, non sarebbero utilizzabili (per la mancanza del presupposto formale della declaratoria di asta deserta) gli strumenti previsti dal legislatore con gli articoli 590 e 591 del codice di procedura ci vile sia perchè nessuna richiesta di assegnazione del bene vi sarebbe stata, sia perchè non vi sarebbe ragione di fissare altra vendita a prezzo base inferiore.

L'amministrazione giudiziaria (istituto di rarissima applicazione) non avrebbe, del resto, apprezzabili probabilità di successo in considerazione della qualità dell'immobile pignorato (un terreno boschivo);

che una tale situazione di fatto non sarebbe modificabile, poichè - a differenza che nel processo di cognizione - nel processo esecutivo il giudice non disporrebbe di un qualche strumento <acceleratorio> paragonabile a quello di cui agli articoli 175 e 187 del codice di rito sì che non potrebbe in qualche modo fronteggiare gli atteggiamenti dilatori di una delle parti;

che, pertanto, sarebbe ingiustificato il diverso trattamento riservato dal legislatore al creditore che non compare all'udienza (sanzionato, ai sensi dell'art. 631 del codice di procedura civile, con la declaratoria di estinzione del processo esecutivo) e al creditore che, comparendo, chiede un rinvio senza allegare giusti motivi, così consentendogli di mantenere in vita (in ipotesi anche indefinitamente) il processo esecutivo attraverso il semplice espediente della richiesta di un rinvio, anche se del tutto ingiustificato;

che in tal modo il patrimonio del debitore resterebbe vincolato senza limiti temporali e sarebbe soggetto al mero arbitrio del creditore, con l'evidente lesione dei doveri di solidarietà sociale previsti dall'art. 2 della Costituzione;

che la Corte, investita della questione di legittimità costituzionale della norma contenuta nel primo comma dell'art.631 del codice di rito, circa il rinvio d'ufficio dell'udienza con comunicazione alle parti, potrebbe altresì valutare, ai sensi dell'art. 27 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la legittimità della norma contenuta nel secondo comma dello stesso articolo di legge, riguardante l'estinzione del procedimento in caso di nuova assenza della parte, non proponibile da esso giudice a quo per un evidente difetto di rilevanza;

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo con atto di intervento scritto la declaratoria di inammissibilità e, comunque, l'infondatezza della sollevata questione.

Considerato che il rimettente è in errore là dove evidenzia la propria convinzione di non avere sufficienti poteri per gestire, se non proprio con rapidità che indubbiamente varie cause oggi rallentano, in modo anche eccessivo, la conduzione dei processi) quanto meno con determinazione il processo, evitando disagi e dispersioni, poichè egli, in realtà, dispone di vari strumenti alternativi per l'utile e fruttuosa prosecuzione del processo, quali il provvedimento di assegnazione di cui agli artt. 590 e 591 del codice di rito, l'amministrazione giudiziaria di cui al successivo art.592, la fissazione di altra vendita a prezzo inferiore (che nella specie non risulta essere stato esperito, pur trattandosi di un principio cardine in materia di liquidazione dei beni pignorati, che si ispira alla legge dell'incontro tra la domanda e l'offerta) e, infine, la possibilità di convocare le parti ed eventualmente altri interessati allo scopo di chiarire le eventuali ragioni di vischiosità o di turbativa del mercato;

che i detti istituti, sebbene non assicurino da soli la risoluzione del problema dell'efficienza delle subprocedure di liquidazione nell'ambito dell'esecuzione immobiliare, consentono di ovviare all'inattività del creditore procedente o, comunque, alle situazioni di <stallo> della procedura esecutiva;

che nessuna lesione dell'art. 3 della Costituzione può leggersi nella questione come proposta, essendo ben differenziate le situazioni (nell'ambito del processo di cognizione rispetto a quelle del processo esecutivo) che indebitamente si assimilano, nè tanto meno è fondata la pretesa lesione dei doveri di solidarietà sociale ai sensi dell'art. 2, atteso che comunque il patrimonio del debitore non è esposto al rischio di un vincolo indefinito, sia perchè il giudice - come si è visto - ha sicuri poteri di conduzione del processo, sia perchè il potere del creditore limita, ma non annulla, il potere dispositivo del proprietario del bene pignorato con riguardo all'efficacia degli atti di disposizione per ipotesi conclusi

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 631, primo comma, del codice di procedura civile, sollevata, in riferimento agli articoli 3 e 2 della Costituzione, dal Tribunale di Spoleto, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/12/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco GUIZZI, Redattore

Depositata in cancelleria il 30/12/93.