Ordinanza n. 444 del 1993

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ORDINANZA N. 444

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 18 del regolamento della Camera dei deputati, promosso con ordinanza emessa il 18 maggio 1993 dal Tribunale di Roma nel procedimento civile vertente tra Borrelli Francesco Saverio ed altro e Fumagalli Carulli Ombretta ed altri, iscritta al n. 454 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 36, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti l'atto di costituzione di Fumagalli Carulli Ombretta nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 30 novembre 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

uditi l'avv. Marcello Molè per Fumagalli Carulli Ombretta e l'Avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto che, nel corso di un giudizio civile promosso -anche-nei confronti di un deputato per il risarcimento dei danni derivanti da dichiarazioni da questi espresse in un'intervista rilasciata ad un periodico, ritenute dagli attori di contenuto lesivo della loro reputazione, il Tribunale di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 18 del regolamento della Camera dei deputati, in riferimento all'art. 24 della Costituzione;

 

che il giudice a quo, avendo il deputato convenuto in giudizio invocato la prerogativa dell'insindacabilità di cui all'art. 68, primo comma, della Costituzione, ed avendo dunque il medesimo eccepito l'improponibilità della domanda giudiziale nei suoi confronti, muove dalle statuizioni contenute nella sentenza n.1150 del 1988 di questa Corte, che < ha affermato inequivocabilmente che spetta alla Camera di appartenenza il potere di valutare la condotta addebitata ad un proprio membro> ai fini dell'applicazione della prerogativa;

 

che, non essendovi stata nel caso concreto alcuna deliberazione della Camera dei deputati in ordine alla qualificazione delle opinioni espresse dal deputato come rientranti, o meno, nell'ambito della funzione parlamentare, il Tribunale di Roma, reputando che detta valutazione non possa essere effettuata dal giudice ordinario, lamenta la mancanza di una disciplina idonea a < sollecitare> il Parlamento, affinchè si pronunci in merito all'insindacabilità;

 

che dalla riferita lacuna deriva, secondo il Tribunale, una illegittima compressione del diritto di difesa del cittadino, cui verrebbe ad essere preclusa la possibilità di adire in giudizio un parlamentare, anche nelle ipotesi di opinioni espresse al di fuori dell'esercizio delle funzioni, con violazione dell'art. 24 della Costituzione;

 

che, in questa prospettiva, la norma denunciata deve essere, per il rimettente, sottoposta a scrutinio di costituzionalità nella parte in cui, limitandosi a regolare la competenza della giunta ivi contemplata con riguardo alle richieste di autorizzazione a procedere in materia penale, non attribuisce altresì alla citata giunta analoga competenza in ordine alle richieste del giudice civile di qualificare ex art. 68, primo comma, della Costituzione le opinioni espresse dai membri della Camera dei deputati;

 

che è intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei Ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, concludendo per l'inammissibilità o l'infondatezza della questione;

 

che si è costituito nel giudizio dinanzi a questa Corte il deputato convenuto nel giudizio civile, il cui patrimonio ha formulato deduzioni a sostegno della prospettazione del Tribunale rimettente, concludendo per una statuizione idonea a colmare la ritenuta lacuna dell'ordinamento giuridico.

 

Considerato che è sottoposta al giudizio di questa Corte una norma del regolamento della Camera dei deputati;

 

che, come già affermato da questa Corte nella sentenza n. 154 del 1985, il problema dell'ammissibilità del sindacato di costituzionalità sui regolamenti parlamentari va risolto, alla stregua dell'art. 134 della Costituzione, in senso negativo, giacchè nella competenza del giudice delle leggi, quale stabilita dai richiamato articolo, non possono comprendersi i regolamenti parlamentari, nè espressamente nè in via di interpretazione;

 

che, in assenza di diverse e nuove prospettazioni sul punto da parte dei giudice rimettente, si deve pertanto ribadire l'insindacabilità dei regolamenti parlamentari, con conseguente preliminare dichiarazione di manifesta inammissibilità della questione proposta;

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n.87 e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'articolo 18 del regolamento della Camera dei deputati , sollevata, in riferimento all 'articolo 24 della Costituzione, dal Tribunale di Roma, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 02/12/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 16/12/93.