Sentenza n. 423 del 1993

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SENTENZA N. 423

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

In nome del Popolo Italiano

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

 nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 427, primo comma, in relazione all'art. 530, secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 12 gennaio 1993 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Gasparini Marco, iscritta al n. 212 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Udito nella camera di consiglio del 20 ottobre 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

 l. La Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 427, primo comma, del codice di procedura penale (in relazione all'art. 530, secondo comma, dello stesso codice) nella parte in cui non prevede l'esonero del querelante dal pagamento delle spese processuali anticipate dallo Stato nel caso di assoluzione del querelato con formula piena conseguente ad insufficienza o contraddittorietà della prova.

2. Espone la Corte remittente che il primo comma dell'art.382 del codice di procedura penale abrogato, corrispondente al primo comma dell'art. 427 del codice attuale, prevedeva espressamente che il querelante non subisse condanna alla rifusione delle dette spese in caso di proscioglimento dell'imputato per insufficienza di prove. Tale formula non è più adottabile nel dispositivo, posto che il secondo comma dell'art. 530 del codice di procedura penale prevede che il giudice debba pronunciare sentenza di assoluzione perchè il fatto non sussiste o perchè l'imputato non lo ha commesso anche quando la prova sia insufficiente o contraddittoria;

pertanto, trattandosi di situazione equivalente a quella che, a norma dell'art. 479, terzo comma, del codice previgente, determinava l'adozione della formula di proscioglimento per insufficienza di prove, la formula di assoluzione piena può ora ricondursi anche ad una situazione di dubbio, esprimibile, però, solo nella motivazione. Con il nuovo codice, il querelante viene quindi a esser posto, ad avviso del giudice a quo, in una posizione deteriore, per quanto concerne il rimborso delle spese anticipate dallo Stato, come conseguenza automatica della nuova regola sulle formule di proscioglimento e non sulla base di una scelta razionale e meditata del legislatore.

Ora, prosegue il remittente, con le sentenze n. 165 del 1974, 52 del 1975 e 29 del 1992, la Corte costituzionale, in relazione alla normativa abrogata, ha individuato la ratio delle eccezioni alla regola della responsabilità del querelante per il pagamento delle spese processuali nel principio della esenzione da detta responsabilità allorquando l'assoluzione dell'imputato derivi da circostanze non riconducibili al querelante stesso al quale, quindi, nessuna colpa può essere addebitata. Ed è stata affermata, nell'ultima delle decisioni citate, l'illegittimità costituzionale della detta normativa anche in ordine alla mancata esenzione nella ipotesi di assoluzione "perchè il fatto non costituisce reato" (prendendo spunto da un caso in cui essa era stata adottata, in un processo iniziato in base a querela per diffamazione a mezzo stampa, per essere stata riconosciuta l'esimente del legittimo esercizio del diritto di cronaca), in quanto mancava ogni sintomo di una avventatezza o temerarietà della querela.

Se questo è il discrimine, conclude il remittente, e se la possibilità di esonero del querelante dalla responsabilità per le suddette spese è data dalla posizione soggettiva di costui al momento della presentazione della querela, non sembra manifestamente infondato il dubbio di illegittimità costituzionale del primo comma dell'art. 427, per contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, quando il proscioglimento, pur enunciato nel dispositivo con le formule perchè il fatto non sussiste o perchè l'imputato non lo ha commesso, sia in realtà determinato da una insufficienza o da una contraddittorietà della prova non addebitabile al querelante sotto il profilo della avventatezza o della temerarietà della querela.

Considerato in diritto

 l. La Corte di cassazione dubita della legittimità costituzionale dell'art.427, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede la condanna del querelante al pagamento delle spese del procedimento anticipate dallo Stato anche nel caso di assoluzione dell'imputato con formula piena conseguente ad insufficienza o contraddittorietà della prova.

Il giudice a quo premette che il primo comma dell'art. 382 del previgente codice di rito prevedeva espressamente tra le ipotesi di esclusione della condanna del querelante alle spese del procedimento anticipate dallo Stato quella del proscioglimento dell'imputato pronunciato per insufficienza di prove. Poichè ora tale formula non è più adottabile nel dispositivo, posto che il nuovo codice impone all'art. 530, secondo comma, che il giudice pronunci sentenza di assoluzione con formula piena anche quando la prova è insufficiente o contraddittoria, la Corte di cassazione rileva che il querelante viene in tal modo posto in una condizione deteriore, per quanto concerne il rimborso delle predette spese, solo come conseguenza automatica della nuova regola sulle formule di proscioglimento e non sulla base di una scelta razionale e meditata del legislatore.

Tale situazione integrerebbe pertanto una ingiustificata disparità di trattamento, in contrasto con gli artt. 3 e 24 della Costituzione, in raffronto alle altre ipotesi di proscioglimento dell'imputato in cui questa Corte (cfr. tra le ultime le sentt. n. 29 del 1992 e n. 180 del 1993) ha già affermato che la responsabilità del querelante per le spese processuali non può essere ritenuta allorquando manchi il sintomo di un'avventatezza o temerarietà della querela.

2. La questione è fondata.

Questa Corte ha più volte esaminato (sia in riferimento al codice previgente che a quello attuale) la disciplina sulla responsabilità del querelante in ordine alle spese del procedimento anticipate dallo Stato in caso di proscioglimento dell'imputato, escludendo chiaramente ogni ipotesi di responsabilità obiettiva del querelante fondata sul mero dato della causalità materiale (per cui le spese ricadono sulla parte che ad esse ha dato causa), anche in assenza di qualsiasi colpa, leggerezza o temerarietà rimproverabile a chi abbia esercitato il diritto di querela.

Sulla base di tale principio è stata dichiarata l'illegittimità delle norme che imponevano in ogni caso la condanna del querelante nell'ipotesi di proscioglimento dell'imputato conseguente a querela contro ignoti per un reato realmente verificatosi (sent. n. 165 del 1974), o di proscioglimento per incapacità d'intendere e di volere (sent. n. 52 del 1975), o perchè il fatto non costituisce reato (sent. n. 29 del 1992), ed infine, anche nel caso di proscioglimento per non aver commesso il fatto (quando risulti che l'attribuzione del reato all'imputato non sia in alcun modo ascrivibile a colpa del querelante: sent. n. 180 del 1993).

3. É di intuitiva evidenza che anche nell'ipotesi in esame, di assoluzione conseguente ad una situazione di dubbio probatorio esprimibile solo nella motivazione ma non nel dispositivo, può emergere in fatto una situazione nella quale, analogamente alle altre ipotesi considerate, non sia ravvisabile alcuna colpa del querelante in termini di temerarietà o avventatezza della querela. Anche in tale caso, quindi, il querelante può trovarsi nella medesima sostanziale posizione di coloro per i quali non è prevista una responsabilità in ordine alle spese ma ciò nonostante subisce un trattamento ingiustamente differenziato.

4. Del pari occorre considerare che una siffatta conseguenza può determinarsi non solo a causa di una situazione di sostanziale dubbio probatorio nei confronti dell'imputato ma, presumibilmente, per un novero pressochè illimitato di cause le quali siano suscettibili di dimostrare l'assenza di colpa a carico del querelante pur in caso di pieno proscioglimento dell'imputato.

Quel che va quindi affermato (come la ricordata sent. n.180 del 1993 ha già posto in evidenza) è l'illegittimità intrinseca del criterio di automaticità che il legislatore ha mantenuto, pur avendo circoscritto il regime della responsabilità del querelante alle sole ipotesi di proscioglimento dell'imputato per non aver commesso il fatto o perchè il fatto non sussiste. Illegittimità che, in applicazione dei principi espressi da questa Corte nelle ricordate pronunce, va pertanto dichiarata anche in ordine alle ipotesi di proscioglimento dell'imputato con formula piena, quando risulti l'assenza di qualsiasi colpa ascrivibile al querelante.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

 dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 427, primo comma, del codice di procedura penale, nella parte in cui prevede, nel caso di proscioglimento dell'imputato perchè il fatto non sussiste o per non aver commesso il fatto, che il giudice condanni il querelante al pagamento delle spese anticipate dallo Stato anche in assenza di qualsiasi colpa a questi ascrivibile nell'esercizio del diritto di querela.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 18/11/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 03/12/93.