Sentenza n. 410 del 1993

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SENTENZA N. 410

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

Avv. Massimo VARI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, secondo comma, della legge 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esercizio delle misure privative e limitative della libertà) e successive modificazioni, promossi con tre ordinanze emesse il 7 aprile, il 17 marzo ed il 1° aprile 1993 dal Tribunale di sorveglianza di Milano, nei procedimenti di reclamo rispettivamente proposti da Nuvoletta Lorenzo, Ercolano Salvatore e Nobile Gaetano, iscritte ai nn. 396, 401 e 402 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica nn. 29 e 30, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 6 ottobre 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto in fatto

1. Con tre ordinanze identiche nella sostanza, il Tribunale di sorveglianza di Milano solleva questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, secondo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.

2. Ritenendo di non poter applicare in via analogica il procedimento di reclamo previsto dall'art. 14 ter dell'ordinamento penitenziario avverso i provvedimenti di sorveglianza particolare, e concludendo pertanto che i provvedimenti ex art. 41 bis sfuggono a qualsiasi tipo di tutela giurisdizionale, il giudice remittente prospetta un possibile contrasto della norma impugnata:

- con l'art. 3 della Costituzione, in quanto, mentre il provvedimento dell'Amministrazione penitenziaria che dispone il regime di sorveglianza particolare é sottoposto alla giurisdizione del Tribunale di sorveglianza, attraverso la proposizione del reclamo previsto dall'art. 14 ter dell'ordinamento penitenziario (assistito da tutta una serie di garanzie idonee ad assicurare un regolare contraddittorio tra le parti), l'atto amministrativo di sottoposizione al regime penitenziario in esame, che pure incide gravemente sui diritti essenziali della persona, costituzionalmente tutelati, sfugge a qualsiasi tipo di controllo di legalità in ordine alla conformità dello stesso alla legge, non consentendo a colui che vi é sottoposto, di dolersi dell'eventuale illegittimità;

- con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, per l'impossibilità di vedersi assicurata la facoltà di difesa sotto il duplice profilo della difesa tecnica e del rispetto del principio del contraddittorio;

- con l'art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, in quanto detta norma (che garantisce la tutela giurisdizionale nei confronti di tutti gli atti della pubblica amministrazione, e che costituisce puntuale specificazione di quanto disposto in termini generali dall'art. 24 della Costituzione, anche in connessione al principio di eguaglianza) non pare rispettata in assenza di mezzi di impugnazione nei confronti di detti provvedimenti avanti il giudice ordinario, laddove la magistratura di sorveglianza é pacificamente riconosciuta quale giudice naturale dei rapporti del detenuto con l'Amministrazione penitenziaria allorchè l'operato di questa venga ad incidere sui suoi diritti soggettivi.

3. É intervenuto nel giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza della questione.

La difesa del Governo ritiene, in sintesi, che nella fattispecie in esame debba riconoscersi la giurisdizione del giudice amministrativo in quanto l'oggetto del reclamo proposto avverso i provvedimenti applicativi del regime ex art. 41 bis, secondo comma, risulta essere la legittimità dell'esercizio di un potere, riconosciuto per legge alla pubblica amministrazione, nei confronti di un soggetto che non gode di un diritto di libertà pieno, bensì già "compresso" dal titolo detentivo.

Considerato in diritto

l.l. - Il Tribunale di sorveglianza di Milano, con tre ordinanze di contenuto sostanzialmente identico, dubita, in riferimento agli artt. 3, 24 e 113 della Costituzione, della legittimità dell'art.41 bis, secondo comma, della Legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esercizio delle misure privative e limitative della libertà) che attribuisce al Ministro della giustizia, quando ricorrano gravi motivi di ordine e di sicurezza pubblica, la facoltà di sospendere in tutto o in parte, nei confronti dei detenuti per taluni delitti, l'applicazione delle regole di trattamento e degli istituti previsti dallo stesso ordinamento penitenziario.

l.2.-I provvedimenti di rimessione investono sotto profili coincidenti la medesima norma di legge e pertanto i relativi giudizi vanno riuniti per essere decisi con unica sentenza.

2.l. -La questione è stata sollevata nel corso di alcuni procedimenti, avanti il Tribunale remittente, sui reclami proposti da detenuti destinatari dei provvedimenti di applicazione del regime detentivo di particolare rigore previsto dal citato art. 41 bis, secondo comma. Ritengono i giudici a quibus che, in assenza di mezzi d'impugnazione espressamente previsti dalla legge avverso l'imposizione del detto regime, non possa applicarsi in via analogica la disposizione dell'art. 14 ter dell'ordinamento penitenziario (che prevede lo specifico strumento del reclamo al Tribunale di sorveglianza avverso il regime di sorveglianza particolare disposto ai sensi dell'art. 14 bis dell'ordinamento penitenziario), stante la diversità sia della ratio legis che dei presupposti del regime di sorveglianza particolare in raffronto a quello di cui al secondo comma dell'art. 41 bis.

2.2. -Proprio la ritenuta impossibilità, per il detenuto, di impugnare il provvedimento ministeriale sospensivo delle regole di trattamento ordinario, e quindi l'assenza di un controllo giurisdizionale sulla legittimità di un provvedimento destinato ad incidere in modo notevole sul regime penitenziario, conduce i giudici remittenti a dubitare della legittimità costituzionale del secondo comma dell'art. 41 bis, sotto tre profili analoghi nella sostanza, e cioé per contrasto:

- con l'art. 3 della Costituzione, per la irragionevole disparità di disciplina nei confronti del provvedimento che dispone la sorveglianza particolare, avverso il quale è invece prevista la garanzia del reclamo ex art. 14 ter dell'ordinamento penitenziario;

- con l'art. 24, primo comma, della Costituzione, per lesione del diritto di difesa avverso atti che incidono su posizioni giuridiche soggettive <oggetto di indefettibile tutela giurisdizionale>;

-con l'art. 113, primo e secondo comma, della Costituzione, ancora per l'esclusione di ogni tutela giurisdizionale avverso un provvedimento della pubblica amministrazione.

3.l.-La questione, sotto tutti i profili sollevati, è infondata nei sensi di seguito esposti.

3.2. - Questa Corte, con la sentenza n. 349 del 1993, ha già avuto occasione di esaminare la disposizione prevista al secondo comma dell'art .41 bis dell'ordinamento penitenziario, allora sospettata d'illegittimità sotto vari profili tra i quali, in sintesi, per lesione della riserva di giurisdizione sancita dall'art. 13, secondo comma, della Costituzione, e per la mancanza di un'esauriente motivazione del provvedimento di applicazione di un più rigoroso regime penitenziario (il che non avrebbe consentito al destinatario di tutelare in modo adeguato i suoi diritti in via giurisdizionale), in riferimento agli artt. 97, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione.

Ritenendo la norma suscettibile di essere interpretata in modo aderente al dettato costituzionale, e dichiarando quindi non fondata la questione, la Corte riassunse alcuni principi che dovevano ritenersi fermi in materia di ordinamento penitenziario.

In particolare, chiarì specificamente che l'Amministrazione penitenziaria poteva certamente adottare provvedimenti in ordine alle modalità di esecuzione della detenzione che non eccedessero il sacrificio della libertà personale già potenzialmente imposto al detenuto con la sentenza di condanna; provvedimenti i quali, <<naturalmente>, rimanevano soggetti ai limiti ed alle garanzie previsti dalla Costituzione in ordine al diritto di difesa (art.24), al divieto di ogni violenza fisica e morale (art. 13, quarto comma), o di trattamenti contrari al senso di umanità (art. 27, terzo comma).

Se quindi le modalità del trattamento non incidenti sulla libertà personale del detenuto potevano anche essere rimesse alle valutazioni dell'Amministrazione, ciò non escludeva, tuttavia, la garanzia del diritto di difesa nei confronti di tutti quei provvedimenti che, proprio in quanto concretavano modalità di esecuzione della pena, erano comunque suscettibili di incidere su diritti inviolabili dell'uomo specificamente garantiti dalle norme costituzionali indicate.

3.3.-Sulla base di tali ragioni la sent. n. 349 del 1993 aveva infine affermato che i provvedimenti applicativi del regime detentivo previsto dal secondo comma dell'art. 41 bis dovevano ritenersi certamente sindacabili dal giudice ordinario, <il quale, in caso di reclamo, eserciterà su di essi il medesimo controllo giurisdizionale che l'ordinamento penitenziario gli attribuisce in via generale sull'operato dell'Amministrazione penitenziaria e sui provvedimenti concernenti l'esecuzione delle pene>.

Tale affermazione, che nella motivazione della sentenza costituiva solo un (seppur rilevante) passaggio argomentativo, ma non un capo della decisione, va ora pienamente ribadita.

3.4. -Occorre rilevare che nell'ambito dell'ordinamento penitenziario è già espressamente previsto un tipo di regime detentivo-il <regime di sorveglianza particolare>-disciplinato degli artt. 14 bis e seguenti, che nella sua concreta applicazione viene ad assumere un contenuto largamente coincidente con il regime differenziato introdotto con il provvedimento ex art. 41 bis, secondo comma, di sospensione del trattamento penitenziario.

É di intuitiva evidenza che il potere esercitato serve, in entrambi i casi, a consentire all'Amministrazione penitenziaria di predisporre uno strumento di particolare rigore mediante il quale fronteggiare la pericolosità di ben determinate categorie di detenuti.

Ricorre anche un notevole identità di presupposti, stante l'ampia possibilità di applicare il regime di sorveglianza particolare a qualsiasi detenuto, sulla base di precedenti comportamenti penitenziari, <o di altri concreti comportamenti tenuti nello stato di libertà> (art. 14 bis, quinto comma).

3.5. - In breve, una volta affermato che nei confronti dell'Amministrazione penitenziaria i detenuti restano titolari di posizioni giuridiche che per la loro stretta inerenza alla persona umana sono qualificabili come diritti soggettivi costituzionalmente garantiti, occorre conseguentemente riconoscere che la tutela giurisdizionale di dette posizioni, costituzionalmente necessaria ai sensi dell'art. 24 della Costituzione, non può che spettare al giudice dei diritti e cioé al giudice ordinario.

Nell'attuale quadro normativo, pertanto, in assenza di disposizioni espresse, la competenza a sindacare la legittimità dei provvedimenti adottati dall'Amministrazione penitenziaria ai sensi dell'art. 41 bis deve riconoscersi a quello stesso organo giurisdizionale cui è demandato il controllo sull'applicazione, da parte della medesima Amministrazione, del regime di sorveglianza particolare, ai sensi dell'art. 14 ter dell'ordinamento penitenziario.

Alla stregua delle considerazioni suesposte la norma può ricevere un'applicazione aderente al dettato costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 41 bis, secondo comma, della legge 26 luglio 1975 n. 354 (Norme sull'ordinamento penitenziario e sull'esercizio delle misure privative e limitative della libertà) sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24, primo comma, e 113, primo e secondo comma, della Costituzione, dal Tribunale di sorveglianza di Milano con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 23/11/93.