Sentenza n. 409 del 1993

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SENTENZA N. 409

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

Avv. Massimo VARI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 22, secondo comma, terzo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante < Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)>, promossi con quattro ordinanze emesse il 1° luglio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio sui ricorsi proposti dalle Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto contro il Comitato interministeriale per la programmazione economica (C.I.P.E.) ed altri, iscritte ai nn. 262, 263, 264 e 265 del registro ordinanze 1993 e pubblicate nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 24, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti gli atti di costituzione delle Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto nonchè gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 5 ottobre 1993 il Giudice relatore Cesare Mirabelli;

 

uditi gli avvocati Valerio Onida, Fortunato Pagano e Vitaliano Lorenzoni per la Regione Lombardia, gli avvocati Fortunato Pagano e Vitaliano Lorenzoni per le Regioni Piemonte e Liguria, l'avvocato Vitaliano Lorenzoni per la Regione Veneto e l'avvocato dello Stato Sergio Laporta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio, con quattro ordinanze emesse il 1° luglio 1992 e pervenute il 19 maggio 1993, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22, secondo comma, terzo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, che reca disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988). Le questioni sono state sollevate nel corso di altrettanti giudizi promossi, rispettivamente, dalle Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto per l'annullamento della deliberazione del Comitato interministeriale per la programmazione economica (C.I.P.E.) in data 28 giugno 1990, con la quale sono state approvate le direttive per il programma di edilizia residenziale pubblica per il biennio 1988-89, ai sensi dell'art. 22, secondo comma, della legge n. 67 del 1988.

 

La disposizione legislativa denunciata ha prorogato fino al 31 dicembre 1992 i contributi previsti dall'art. 10, primo comma, lettere b) e c), della legge 14 febbraio 1963, n. 60, per il finanziamento del programma di costruzione di case per lavoratori; ha disposto il versamento dei proventi di tali contributi dalla Cassa depositi e prestiti all'entrata del bilancio dello Stato nella misura di lire 1.250 miliardi per il 1988 e di lire 1.000 miliardi per ciascuno degli anni successivi, restando assegnate all'edilizia residenziale pubblica le quote residue, da ripartire con una riserva del 70 per cento per i territori del Mezzogiorno.

 

Essendo stata dichiarata, con sentenza n. 241 del 1989, la illegittimità costituzionale dell'attribuzione all'entrata del bilancio dello Stato delle somme provenienti dai contributi versati per la costruzione di abitazioni per lavoratori dipendenti, sono stati restituiti alla destinazione originaria, divenendo quindi oggetto di ulteriore ripartizione tra le diverse regioni, anche lire 1.250 miliardi per il 1988 e lire 1.000 miliardi per ciascuno degli anni successivi.

 

Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio ritiene che la riserva di fondi alle regioni meridionali, nella misura del 70 per cento, non sia toccata dalla sentenza della Corte costituzionale n. 241 del 1989 e debba essere applicata anche alla ripartizione delle somme restituite all'edilizia residenziale a seguito di tale pronuncia. Lo stesso giudice ritiene tuttavia che l'art. 22, secondo comma, terzo periodo, della legge n. 241 del 1988, sia divenuto costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede tale riserva di fondi per i territori del Mezzogiorno. La disposizione sarebbe irragionevole, in contrasto con l'art. 3 della Costituzione, in quanto il mantenimento della riserva in una quota fissa ed eccezionalmente elevata, non più commisurata solo ad una parte dei fondi da ripartire ma riferita all'intero ammontare di essi, si applicherebbe ad una situazione che il legislatore non aveva potuto prevedere. Mutati i presupposti, la norma produrrebbe effetti diversi e distorti rispetto a quelli originariamente perseguiti con l'attribuzione alle regioni del Mezzogiorno di una quota di riserva superiore al 40 per cento, prevista come minimo dall'art. 107 del d.P.R. 6 marzo 1978, n. 213. Le conseguenze che ne derivano, inoltre, inciderebbero sulla piena funzionalità della disposizione, che contrasterebbe quindi con i principi di buona amministrazione enunciati dall'art. 97 della Costituzione.

 

2. - Si sono costituite in giudizio le Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto, concludendo per la dichiarazione di illegittimità costituzionale della disposizione denunciata o proponendone una diversa interpretazione.

 

In particolare la Regione Lombardia ritiene che l'interpretazione fatta propria dal giudice rimettente sia inesatta. La riserva ai territori del Mezzogiorno del 70 per cento dei fondi costituiti con i contributi destinati a finanziare la costruzione di case per lavoratori é del tutto eccezionale, essendo stata determinata dall'intenzione di conservare alle regioni meridionali una quantità di fondi non condizionata dalla contestuale sottrazione di somme alla destinazione per l'edilizia residenziale pubblica. Questo trattamento privilegiato era ammissibile solo se riferito alle somme che residuavano dopo il previsto versamento di fondi all'entrata del bilancio dello Stato. Per le altre somme, rese disponibili a seguito della sentenza di questa Corte n. 241 del 1989, dovrebbe trovare applicazione il criterio generale della riserva del 40 per cento previsto dall'art. 2, primo comma, lettera e), della legge n. 457 del 1978. Difatti, secondo il significato letterale della disposizione denunciata, la riserva del 70 per cento ha per oggetto esclusivamente il riparto delle "quote residue" dopo la devoluzione di fondi all'entrata del bilancio dello Stato. La disposizione stessa, osserva la Regione Lombardia, esprime una norma eccezionale, come tale non estensibile in via analogica.

 

Nel merito ed in via subordinata la Regione aderisce ai dubbi di legittimità costituzionale enunciati nell'ordinanza di rimessione e ne prospetta altri in riferimento all'art. 119 della Costituzione, affermando che il criterio del coordinamento tra finanza centrale, regionale e locale sarebbe violato da una norma idonea a creare un ingiustificato ed enorme squilibrio tra le diverse regioni.

 

Le Regioni Piemonte e Liguria osservano che la disposizione denunciata, svincolata da analisi e criteri obiettivi di programmazione, stabilirebbe una arbitraria presunzione di maggior fabbisogno settoriale nei territori del Mezzogiorno.

 

Anche la Regione Veneto ritiene contraria al principio di eguaglianza e non ragionevole la riserva alle regioni meridionali di una quota eccezionalmente rilevante dei fondi disponibili, senza una concreta valutazione dell'effettivo fabbisogno abitativo esistente in quelle regioni e senza un collegamento territoriale tra prelievo e destinazione dei fondi.

 

La Regione Veneto rileva inoltre che, avendo il legislatore stabilito la percentuale di riserva con riferimento alle quote residue e non all'intero gettito dei contributi, non é ragionevole consentire la perdurante vigenza della disposizione relativa alla riserva, estesa ora all'intero gettito. Se venisse meno la riserva nella misura del 70 per cento, resterebbe integra la competenza del C.I.P.E., in base all'art. 2, lettera e), della legge n. 457 del 1978, di attribuire ai territori del Mezzogiorno risorse destinate all'edilizia residenziale pubblica in misura non inferiore al 40 per cento dei fondi disponibili.

 

3. - In tutti i giudizi é intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata.

 

L'Avvocatura osserva che la riserva del 70 per cento a favore dei territori del Mezzogiorno é espressione di una valutazione discrezionale del legislatore, che ha ritenuto di apprezzare in questa proporzione le diversificate esigenze abitative nel territorio nazionale; una valutazione che é solo casualmente connessa, nella formulazione letterale della norma, all'identificazione in termini di "quote residue" delle risorse finanziarie disponibili allo scopo.

 

La ratio legis non può essere identificata nella volontà di attribuire alle regioni del Mezzogiorno una riserva superiore del 40 per cento (previsto come minimo dalla legge n. 457 del 1978) per effetto della contemporanea sottrazione al monte contributivo di una cospicua somma. Difatti la riserva nella stessa quota risulterebbe confermata dall'art. 2, quarto comma, della legge n. 179 del 1992, recante norme per l'edilizia residenziale pubblica, che ha espressamente disposto l'applicazione della riserva in questione limitatamente ai fondi relativi al biennio 1988-1989, rimanendo applicabili in ogni altro caso le modalità e le procedure previste dalla legge n. 457 del 1978.

 

L'Avvocatura, infine, ritiene non pertinente il richiamo all'art. 97 della Costituzione, che riguarda gli aspetti organizzativi e strutturali della pubblica amministrazione, mentre la questione sollevata attiene all'azione amministrativa.

 

4. - In prossimità dell'udienza, le Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto hanno depositato memorie per ribadire ed illustrare ulteriormente le conclusioni assunte nei rispettivi atti di costituzione.

 

Considerato in diritto

 

l.-Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio dubita della legittimità costituzionale dell'art. 22, secondo comma, terzo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, che stabilisce, per i territori del Mezzogiorno, una riserva del 70 per cento dei fondi assegnati all'edilizia residenziale pubblica per la costruzione di abitazioni per lavoratori dipendenti. Tali fondi erano costituiti, nella originaria disciplina legislativa, dalle < quote residue> dei contributi Ges.ca.l. (previsti dall'art. 10 della legge 14 febbraio 1963, n. 60), dopo il versamento all'entrata del bilancio dello Stato di lire l.250 miliardi per il 1988 e di lire l.000 miliardi per ciascun anno successivo, sino al 1992. Il giudice rimettente ritiene che la riserva nella misura del 70 per cento sia da applicare non alle sole < quote residue>, ma anche a quelle in precedenza devolute al bilancio dello Stato e restituite all'edilizia residenziale pubblica a seguito della dichiarazione di illegittimità costituzionale (sentenza n. 241 del 1989) della sottrazione di queste somme alla finalità per la quale i contributi erano stati versati.

 

Interpretata nel senso sopra precisato la disposizione denunciata, il giudice rimettente ritiene che essa sia divenuta in contrasto con gli artt.3 e 97 della Costituzione. Sarebbe difatti irragionevole il permanere di un criterio di ripartizione adottato su presupposti diversi, perchè esso, applicato non solo ai fondi residuati a seguito del prelievo statale, ma anche agli altri successivamente restituiti alla destinazione per l'edilizia residenziale, determinerebbe effetti distorti e non previsti dal legislatore. Inoltre questi effetti, incidendo sulla piena funzionalità della norma, ne determinerebbero il contrasto con i principi di buona amministrazione.

 

2.-Le questioni di legittimità costituzionale, riferite alla stessa norma, sono state sollevate con quattro ordinanze di identico contenuto, emesse nel corso di altrettanti giudizi pro mossi, rispettivamente, dalle Regioni Lombardia, Piemonte, Liguria e Veneto. I relativi giudizi possono pertanto essere riuniti e decisi congiuntamente.

 

Le questioni di legittimità costituzionale devono essere inoltre esaminate esclusivamente nei limiti fissati dalle ordinanze di rimessione. Non possono quindi essere presi in considerazione gli altri profili ed i diversi parametri di valutazione della legittimità costituzionale, indicati dalle parti costituite nel giudizio dinanzi alla Corte (in proposito si veda, da ultimo, la sentenza n. 114 del 1993).

 

3. -La norma denunciata si colloca nel contesto delle disposizioni che stabiliscono riserve a favore del Mezzogiorno di quote di spesa o di investimenti pubblici, anche con riguardo all'attuazione dei programmi di edilizia residenziale pubblica.

 

In questo specifico settore la legge istitutiva della Gestione case per lavoratori già prevedeva che, nella ripartizione dei fondi, l'importo da impiegare nelle regioni meridionali non dovesse essere inferiore al 40 per cento delle somme da investire complessivamente (art. 15 della legge 14 febbraio 1963, n. 60).

 

Agli stessi territori la legge 22 ottobre 1971, n. 865, nello stabilire i programmi ed il coordinamento dell'edilizia residenziale pubblica, riservava almeno il 45 per cento degli importi complessivi (art. 48).

 

Analoga riserva, nella misura non inferiore al 40 per cento, è stata prevista dall'art. 2, primo comma, lettera e), della legge n. 457 del 1978, ed è stata successivamente ribadita dall'art. 2 del decreto-legge 23 gennaio 1982, n. 9.

 

La disposizione denunciata ha elevato la misura della riserva, portandola al 70 per cento, come quota predeterminata e fissa. La stessa disposizione aveva inoltre ridotto la base sulla quale la riserva operava, perchè non l'intero gettito dei contributi era destinato all'edilizia residenziale: nella parte dichiarata costituzionalmente illegittima, con la sentenza n.241 del 1989, si prevedeva che una quota cospicua del gettito (determinata in lire l.250 miliardi per il 1988 ed in lire l.000 miliardi per gli anni successivi) fosse versata all'entrata del bilancio dello Stato.

 

La riserva al Mezzogiorno di una quota degli investimenti nel settore dell'edilizia residenziale pubblica opera con un meccanismo comunemente previsto nel più ampio sistema di riserve a zone depresse di allocazione delle risorse, le cui finalità possono essere diverse e cospiranti. La riserva può costituire garanzia di una attribuzione minima di risorse ad aree altrimenti escluse da flussi di spesa per investimenti adeguati alle necessità della popolazione residente o alle condizioni del territorio;

 

può inoltre perseguire lo scopo di determinare un riequilibrio territoriale, contribuendo a rimuovere ostacoli di ordine sociale ed economico al complessivo ed armonico sviluppo del Paese; può infine consentire di adempiere a doveri generali di solidarietà nell'ambito della comunità nazionale. In ogni caso si tratta di scelte che, nel loro essere e nella connessa determinazione quantitativa, sono rimesse alla discrezionalità del legislatore, di modo che esse non offrono pro fili apprezzabili in sede di legittimità costituzionale se non risulti palesemente irragionevole la proporzionalità dei mezzi prescelti dal legislatore stesso, nella sua insindacabile discrezionalità, rispetto alle esigenze obiettive da soddisfare ed alle finalità che si intendono perseguire (sentenza n. 1130 del 1988).

 

Come è già stato affermato dalla Corte (sentenza n. 188 del 1992), la previsione di una quota di riserva di interventi finanziari in favore delle regioni meridionali, destinata a contrastare fenomeni negativi particolari, non può essere ritenuta in sè irragionevole, in considerazione di elementi di fatto comunemente rilevabili e dei criteri di fondo della legislazione di settore.

 

4.-Il Tribunale amministrativo regionale del Lazio non denuncia la previsione in sè della riserva di una quota, in favore delle regioni meridionali, dei fondi destinati all'edilizia residenziale pubblica per la costruzione di abitazioni per lavoratori dipendenti, ma ne contesta la misura, fissata nel 70 per cento, che ritiene sia divenuta irragionevole e capace di creare effetti distorti se rapportata non solo alle < quote residue> da ripartire secondo l'originaria previsione legislativa, ma anche alle altre risorse restituite alla edilizia residenziale a seguito della dichiarata illegittimità costituzionale della sottrazione di tali somme alla loro specifica destinazione, in connessione alla ragione per la quale il contributo era dovuto.

 

Ma proprio la disposizione denunciata consente una diversa interpretazione, adeguata ai principi costituzionali invocati dal giudice rimettente.

 

L'art. 22, secondo comma, della legge n. 67 del 1988 ha fissato, nella misura del 70 per cento, la riserva ai territori del Mezzogiorno con espresso riferimento alle < quote residue>, a seguito della destinazione all'entrata del bilancio dello Stato della maggior parte dei fondi derivanti dai contributi Ges.ca.l.

 

Si tratta di una disposizione eccezionale e di deroga alla disciplina comune della legislazione di settore, che invece garantisce ai territori del Mezzogiorno, nella allocazione delle risorse, una quota minima del 40 per cento. La riserva nella misura del 70 per cento non può quindi trovare applicazione oltre il caso espressamente previsto, estendendosi anche alle somme inizialmente sottratte a questa destinazione. Per tali somme, che non costituiscono < quote residue>, il criterio di ripartizione rimane quello dettato dalle regole generali del settore.

 

Questa interpretazione, fondata sui comuni canoni ermeneutici, è dunque da preferire in quanto consente di dare alla disposizione denunciata una lettura adeguata ai principi costituzionali. Nè questa interpretazione è preclusa dalla legge 17 febbraio 1992, n. 179, laddove essa prevede (art. 2, quarto comma) che la riserva di cui all'art. 22, secondo comma, della legge n. 67 del 1988 si applica limitatamente alla ripartizione dei fondi relativi al biennio 1988-1989. La nuova disposizione, difatti, non incide sulla interpretazione della disposizione alla quale essa stessa rinvia, ma si limita, senza modificarne il contenuto normativo, a restringerne l'ambito temporale di applicazione.

 

Rimangono così superati i dubbi di legittimità costituzionale sollevati dal giudice rimettente. Le questioni proposte devono essere pertanto dichiarate non fondate.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

riuniti i giudizi, dichiara non fondate, nei sensi di cui in motivazione, le questioni di legittimità costituzionale dell'art. 22, secondo comma, terzo periodo, della legge 11 marzo 1988, n. 67, recante < Disposizioni per la formazione del bilancio annuale e pluriennale dello Stato (legge finanziaria 1988)>, sollevate, in riferimento agli artt. 3 e 97 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale del Lazio con le ordinanze indicate in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/11/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Cesare MIRABELLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/11/93.