Ordinanza n. 367 del 1993

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ORDINANZA N. 367

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Dott. Francesco GRECO

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimita' costituzionale dell'art. 81, secondo comma, ultima parte, del codice penale, in relazione al primo comma del medesimo articolo, promosso con ordinanza emessa il 26 gennaio 1993 dal giudice per le indagini preliminari nel procedimento penale a carico di Mauro Trippa ed altro, iscritta al n. 199 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1993 il Giudice relatore Enzo Cheli.

 

Ritenuto che nel corso del procedimento penale nei confronti di Trippa Mauro e Trippa Mario, imputati dei reati di cui agli artt. 110, 349 del codice penale, 20, lett. c), della legge 28 febbraio 1985, n. 47, e 1-sexies della legge 8 agosto 1985, n. 431, nonche' di altre violazioni della legge penale, il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Roma, con ordinanza del 26 gennaio 1993 (R.O. n. 199 del 1993), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, primo comma, e 27, secondo comma, seconda parte, della Costituzione, la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81, secondo comma, ultima parte, del codice penale, in relazione al primo comma del medesimo articolo, e, in linea subordinata, dell'art. 81, primo e secondo comma, del codice penale sempre in relazione ai medesimi parametri di costituzionalita';

 

che nell'ordinanza di rinvio si premette che gli imputati hanno presentato, con il consenso del p.m., richiesta di applicazione della pena a norma dell'art. 444 c.p.p., "subordinatamente alla concessione dei benefici", ritenendo la continuazione tra i reati contestati e considerando il delitto aggravato di violazione di sigilli (art. 349, secondo comma, c.p.) il reato piu' grave ai fini della determinazione della pena;

 

che nella stessa ordinanza si osserva che le contravvenzioni di cui agli artt. 20, lett. c), della legge n. 47 del 1985 e 1-sexies della legge n. 431 del 1985 prevedono la medesima sanzione dell'arresto fino a due anni e dell'ammenda da 30 a 100 milioni di lire e che pertanto l'entita' della pena pecuniaria stabilita per tali reati non consente la concessione del beneficio della sospensione condizionale della pena di cui all'art. 163 del codice penale, mentre nell'ipotesi di commissione del delitto aggravato di violazione di sigilli, ove debbano ritenersi - come nel caso di specie secondo il giudice a quo - equivalenti le attenuanti generiche, la concessione del beneficio suddetto sarebbe invece possibile, dovendosi applicare la pena prevista dal primo comma dell'art. 349 del codice penale;

 

che, ad avviso del giudice remittente, dovendosi ritenere corretta la determinazione della pena richiesta dall'imputato - che considera reato piu' grave fra quelli contestati il delitto di cui all'art. 349 del codice penale - sussisterebbe una evidente disparita' di trattamento, lesiva dell'art. 3 della Costituzione, tra colui il quale debba rispondere della sola contravvenzione urbanistica di cui all'art. 20, lett. c), della legge n. 47 (e/o l'art. 1-sexies della legge n. 431) e chi commetta anche il piu' grave reato di violazione di sigilli, dal momento che solo a quest'ultimo puo' essere concesso il beneficio della sospensione condizionale della pena;

 

che, sempre secondo il giudice a quo, la norma impugnata sarebbe in contrasto anche con l'art. 27 della Costituzione poiche' la pena irrogata, per raggiungere l'effetto rieducativo, deve essere tale da non consentire o addirittura consigliare la commissione di piu' reati, mentre la descritta disparita' di trattamento avrebbe come ulteriore conseguenza quella di provocare "una implicita sollecitazione ad una progressione criminosa", dal momento che chi commette anche il delitto di violazione di sigilli, in concorso con i richiamati rea ti contravvenzionali, sarebbe consapevole di poter godere di una pena piu' mite;

 

che nell'ordinanza si rileva che la questione e' rilevante nel giudizio a quo "perche' la richiesta delle parti e' nella sostanza corretta e andrebbe accolta";

 

che e' intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio del ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, per chiedere che la questione sia dichiarata infondata.

 

Considerato che la questione sollevata, sia in via principale sia in linea subordinata, ove fosse accolta, determinerebbe come conseguenza di negare agli imputati nel giudizio a quo - nei cui confronti e' stato riconosciuto il vincolo della continuazione dei reati ed e' stata dichiarata meritevole di accoglimento la richiesta di "patteggiamento" ex art. 444 c.p.p. della pena e di concessione dei benefici di legge - l'applicabilita' del beneficio della sospensione condizionale della pena;

 

che nelle ordd. nn. 20 e 147 del 1993 questa Corte, giudicando su identiche censure di costituzionalita' della norma impugnata ha affermato - richiamando il principio di cui all'art. 25, secondo comma, della Costituzione - che "la questione sol levata non si presenta rilevante ai fini del giudizio a quo", dal momento che il richiesto aggravamento del regime sanzionatorio non potrebbe comunque operare in tale giudizio nei confronti di imputati gia' riconosciuti dal giudice remittente "in condizione di ottenere il beneficio della sospensione condizionale della pena";

 

che nell'ordinanza di remissione non si adducono argomenti nuovi rispetto a quelli gia' esaminati e che, pertanto, la questione va dichiarata manifestamente inammissibile.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara manifestamente inammissibile la questione di legittimita' costituzionale dell'art. 81, secondo comma, ultima parte, del codice penale, in relazione al primo comma del medesimo articolo, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Roma con l'ordinanza di cui in epigrafe.

 

Cosi' deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/07/93.

 

Francesco GRECO, Presidente

 

Enzo CHELI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/07/93.