Sentenza n. 361 del 1993

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SENTENZA N. 361

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), promosso con ordinanza emessa il 10 dicembre 1992 dalla Corte dei conti sul ricorso proposto da Erbacci Elvira contro il Ministero del tesoro, iscritta al n. 98 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 7 luglio 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel giudizio promosso da Erbacci Elvira, vedova di militare deceduto il 13.5.1945 e passata a nuove nozze, volto ad ottenere l'attribuzione del trattamento pensionistico indiretto di guerra (trattamento riconosciutole in corso di causa dal 1° febbraio 1977 al 31 dicembre 1982, ma non oltre perchè il reddito percepito dal secondo marito dell'Erbacci risultava superiore al limite previsto dalla legge per poter conservare il diritto a pensione), la Corte dei conti, Sezione IV Giurisdizionale, sollevava, con ordinanza emessa il 10 dicembre 1992, questione di legittimità costituzionale -in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31, primo comma, della Costituzione- dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), che stabilisce che la vedova di militare deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione se contrae nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire successivamente al matrimonio, di un reddito annuo superiore al limite previsto dal successivo art.70.

 

La Corte remittente, premesso che la Corte costituzionale - con ordinanza n.325 del 1992- aveva dichiarato manifestamente infondata una precedente questione di legittimità costituzionale della cennata norma, sollevata in relazione agli artt. 29, secondo comma, e 30, primo comma, della Costituzione, dichiarava di voler riproporre la questione sotto più ampio profilo e con diversa motivazione.

 

Considerato, quindi:

 

- che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale n.184 del 1975, è venuta meno la rilevanza dello stato vedovile ai fini dell'acquisizione (o conservazione) del diritto a pensione indiretta di guerra, in quanto la vedova, passando a nuove nozze, non è privata, per ciò solo, dell'anzidetto diritto ma, al pari di quanto è stabilito (art.55 d.P.R. citato) per il vedovo, sol tanto se e quando il nuovo coniuge sia titolare di un certo reddito;

 

- che la vedova acquista il diritto a pensione indiretta in via autonoma (e non derivata come per la pensione di reversibilità) e quindi "iure proprio" (sentenza n. 375 del 1989 della Corte costituzionale);

 

- che, inoltre, a tale scopo, non ha rilevanza alcuna lo status economico della vedova;

 

la Corte remittente sosteneva l'irrazionalità dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. n. 915 del 1978, in riferimento ai suddetti parametri costituzionali, perchè causa di diverse ingiustificate discriminazioni, cui si tornerà nella motivazione in diritto.

 

2.- Le parti non si costituivano in giudizio.

 

Interveniva, invece, la Presidenza del Consiglio dei ministri, rappresentata dall'Avvocatura dello Stato, che chiedeva dichiararsi manifestamente infondata la questione costituzionale.

 

Assumeva in proposito:

 

- che il legislatore ha inteso riservare il beneficio del trattamento pensionistico di guerra ai casi maggiormente bisognosi di tutela, in cui il pregiudizio economico, causato da eventi bellici, sia evidentemente rilevante; e ciò analogamente a quanto disposto per gli orfani ed i collaterali del defunto, o per la stessa vedova nell'ipotesi di concessione degli assegni accessori al trattamento pensionistico stesso (assegno di maggiorazione);

 

- che la natura solidaristica del beneficio pensionistico di guerra ne giustifica la subordinazione a determinate condizioni economiche del coniuge dell'avente diritto;

 

- che la perdita della pensione da parte della vedova risposata trova giustificazione, non già in un intento punitivo o vessatorio, ma nel fatto che la medesima, con il nuovo matrimonio, costituisce un nuovo nucleo familiare con il conseguente acquisto di diritti (ed obblighi) di assistenza e di mantenimento, per cui l'obbligo di indennizzo da parte dello Stato permane solo nel caso in cui l'apporto economico del nuovo coniuge non sia superiore a determinati livelli;

 

- che, per quanto concerne il preteso trattamento deteriore riservato alla famiglia legittima rispetto alle cosidette unioni libere, le due situazioni non sono comparabili;

 

- che i richiami fatti dal giudice remittente all'acquisto "iure proprio" del trattamento pensionistico di guerra da parte della vedova sono inconferenti, atteso che alla base del diritto della vedova di guerra al relativo trattamento pensionistico sta, appunto, lo stato vedovile, stato che cessa con il nuovo matrimonio; con la norma in oggetto il legislatore ha concesso, quindi, alla vedova di guerra che passi a nuove nozze più di quanto la logica coerenza al sistema avrebbe suggerito;

 

- che i limiti reddituali del secondo marito sono stabiliti dal legislatore nella sua discrezionalità incensurabile, ed alla luce anche delle esigenze di bilancio. Esso (limite) coincide, del resto, con quello posto dalla legge n. 656 del 1986 per la concessione di pensione agli orfani e per l'assegno di maggiorazione alla vedova di guerra.

 

Considerato in diritto

 

l.- Oggetto del presente giudizio è la questione, sollevata con ordinanza 10 dicembre 1992 dalla Corte dei conti, Sezione IV Giurisdizionale per pensioni di guerra, sulla legittimità costituzionale dell'art. 42, primo comma, del d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), in riferimento agli artt. 3, 29, secondo comma, 30, primo comma, e 31, primo comma, della Costituzione, nella parte in cui stabilisce che la vedova di militare deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione se contrae nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire successivamente al matrimonio, di un reddito annuo superiore al limite previsto dall'art. 70 della stessa legge.

 

2.- La questione, proposta in altra analoga controversia dalla stessa Corte dei conti con ordinanza 13 dicembre 1991 della III Sezione Giurisdizionale, in riferimento agli artt. 29 e 30 della Costituzione, era stata dichiarata manifestamente infondata dalla Corte costituzionale con ordinanza 8 luglio 1992, n. 325, in cui si rilevava "che, come già altre volte affermato da questa Corte, l'art. 29 salvaguarda essenzialmente i contenuti e gli scopi etico-sociali della famiglia, come società fondata sul matrimonio, senza riflessi immediati sulle pensioni, le quali ineriscono a momenti strettamente economici; e che analoghe considerazioni valgono nei confronti del successivo art. 30, che ha per oggetto i doveri e i diritti dei genitori e dei figli, ma non tocca il tema delle situazioni giuridiche a contenuto patrimoniale".

 

3.- Con la nuova ordinanza ora in esame, la Corte dei conti, pur riconoscendo l'esattezza dei rilievi della suindicata ordinanza n. 325 del 1992, dubita della legittimità costituzionale della stessa norma in riferimento, non solo agli artt. 29 e 30 della Costituzione, ma anche agli artt. 3 e 31, osservando che la norma denunziata appare irrazionale in quanto:

 

a) induce remore alla libera determinazione delle nozze e non agevola la formazione della famiglia legittima, bensì incentiva le unioni libere;

 

b) non è coerente con la natura del diritto risarcitorio spettante alla vedova di guerra, che si acquisisce iure proprio e indipendentemente dal suo status economico;

 

c) che, avuto riguardo al basso reddito del secondo coniuge ritenuto sufficiente per la perdita del diritto a pensione, tale perdita si colora di significato punitivo per una sorta di mancato obbligo di fedeltà alla memoria del coniuge deceduto;

 

d) che la misura è "indirettamente idonea a comprimere il diritto al lavoro" del secondo coniuge, "se non addirittura ad eludere i connessi obblighi fiscali".

 

4.- É decisivo partire dalla denunzia di in costituzionalità della norma, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ragionevolezza. Il giudice a quo sostiene cioè che "la perdita della pensione per la vedova di guerra in considerazione della capacità reddituale del secondo coniuge non appare coerente con la natura del diritto ad essa riconosciuto, che è autonomo, acquisito iure proprio e indipendentemente da valutazioni inerenti al suo status economico".

 

La questione è fondata.

 

Effettivamente è ravvisabile una intrinseca incoerenza fra le condizioni previste dalla legge al momento della acquisizione del diritto a pensione (quello della morte del primo marito) e le condizioni previste al momento della concessione della pensione o per la sua perdita. Invero, oltre a proclamare "risarcitorio" il titolo al trattamento pensionistico, il legislatore lo concepisce come un diritto autonomo della beneficiaria, indipendente dalla valutazione delle sue condizioni economiche, tanto che la successiva legge 8 agosto 1991, n. 261 (art. 5) ribadisce che "le somme corrisposte a titolo di pensione... per la loro natura risarcitoria, non costituiscono reddito".

 

Nel momento, invece, dell'effettiva erogazione della pensione o dopo la sua concessione, tale diritto viene condizionato al permanere dello stato vedovile o, nel caso di nuove nozze, al fatto che il secondo marito fruisca fin dal tempo della domanda di pensionamento, o venga a fruirne in seguito, di un reddito superiore ad una certa misura.

 

Ora, queste ipotesi di diniego di erogazione della pensione o di successiva perdita non risultano giustificate nè dal venir meno dello stato vedovile (il che sarebbe in contrasto con l'affermato doveroso risarcimento della avvenuta perdita per causa di guerra del primo coniuge, e non avrebbe comunque autonoma valenza, dovendo concorrere con la seconda condizione), nè dalla valutazione della capacità reddituale dell'altro marito; presupposto economico che non aveva alcuna rilevanza al momento del sorgere del diritto.

 

Tale contraddizione logica di fondo della norma supera i margini della legittima discrezionalità delle scelte legislative, ed assume i caratteri di quella irragionevolezza da cui discende la pronuncia di incostituzionalità.

 

Restano assorbiti gli altri profili di illegittimità costituzionale prospettati dal giudice a quo, in gran parte già valutati dalla citata ordinanza (n. 325 del 1992) di questa Corte.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 42, primo comma, d.P.R.23 dicembre 1978, n. 915 (T.U. delle norme in materia di pensioni di guerra), nella parte in cui stabilisce che la vedova di militare deceduto per causa bellica perde il diritto a pensione se contrae nuove nozze con chi fruisca, o venga a fruire successivamente al matrimonio, di un reddito annuo superiore al limite previsto dall'art. 70 della stessa legge.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 26/07/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 30/07/93.