Sentenza n. 347 del 1993

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SENTENZA N. 347

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale delle leggi della Regione Lombardia 5 dicembre 1983, nn. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica) e 92 (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91), promosso con ordinanza emessa il 16 ottobre 1990 dal Tribunale di Como nel procedimento civile vertente tra Pizzuto Lorenzo e il Comune di Como, iscritta al n.670 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica, n. 43, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Con ordinanza emessa il 16 ottobre 1990, e pervenuta alla Corte costituzionale il 24 settembre 1992 (R.O. n. 670 del 1992) il Tribunale di Como ha sollevato, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale delle leggi della Regione Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), e n. 92, di pari data (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91), nella parte in cui ricomprendono gli alloggi costruiti dai Comuni ed acquisiti con fondi propri del bilancio di questi, all'interno delle categorie degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, determinandone la commisurazione del canone locatizio.

 

La questione è stata sollevata nel corso di un giudizio proposto da Lorenzo Pizzuto, assegnatario in locazione di un appartamento di edilizia economica e popolare a seguito di concorso indetto dal Comune di Como, in cui il ricorrente, dopo avere avuto la consegna dell'immobile assegnato, ha chiesto l'applicazione del canone di locazione previsto dalla legge regionale Lombardia 5 dicembre 1983, n. 92, la cui misura risulta ridotta del 33 per cento rispetto a quella prevista dalla legge statale 27 luglio 1978, n. 392.

 

In punto di rilevanza, il Tribunale osserva come non sia controverso in causa che l'alloggio assegnato al Pizzuto è stato costruito ed acquisito con fondi propri del Comune e senza il concorso di altri enti: pertanto, nel caso in cui la legge impugnata fosse illegittima, e dovesse conseguentemente non tenersi conto della dilatazione del concetto definitorio di "edilizia residenziale pubblica" ivi contenuto, non potrebbero applicarsi i parametri di canone definiti da detta legge regionale, e la determinazione del canone dovrebbe seguire alla stregua delle norme ordinarie.

 

Quanto alla non manifesta infondatezza, il Tribunale fa propri i motivi prospettati dal convenuto Comune di Como, secondo il quale la materia degli alloggi costruiti dai Comuni con fondi propri di bilancio, e senza contributi di altri enti, non sarebbe compresa tra quelle contemplate nell'art. 117 della Costituzione, nè sarebbe mai stata delegata al legislatore regionale, ex art. 117, terzo (rectius: secondo) comma, della Costituzione, mentre i d.P.R. 30 dicembre 1972, nn. 1035 e 1036 avrebbero consentito alle Regioni di integrare la normativa statale in materia di alloggi di "edilizia residenziale pubblica" soltanto per settori diversi dalla definizione degli alloggi stessi (di cui all'art. 1, secondo comma, del d.P.R. n.1035 del 1972), come di quelli cioé costruiti o da costruirsi da parte degli enti pubblici a totale carico o con il contributo o con il concorso dello Stato.

 

Nè un allargamento della materia sarebbe ricavabile, sempre a parere del giudice a quo, dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616 (richiamato nella relazione del progetto di legge regionale), in quanto questo riguarderebbe il trasferimento alle Regioni (art. 87, primo comma, ed art. 93) soltanto di funzioni amministrative (e non legislative), conservando allo Stato (art.88, primo comma, n. 13) le competenze amministrative in ordine ai criteri per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

 

La legge 5 agosto 1978 , n. 457 (art. 55, secondo comma) avrebbe consentito inoltre alle Regioni di integrare la normativa statale di cui al d.P.R. n.1035 del 1972 soltanto in relazione alla disciplina del procedimento di assegnazione, nulla prevedendo invece in ordine alla definizione e/o alla individuazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica.

 

Osserva infine il giudice remittente come la disposizione impugnata sia mutuata, con l'aggiunta di "enti locali," dalla deliberazione CIPE del 19 novembre 1981: normativa che risulterebbe anch'essa illegittima in quanto avente natura regolamentare, come tale non idonea a modificare od integrare una norma di legge. Anche ritenendo infatti che la competenza del CIPE in materia sia conseguente alla delega stabilita dalla legge n. 457 del 1978, si osserva come essa debba intendersi riferita esclusivamente ai "criteri generali per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni delle abitazioni di edilizia residenziale pubblica", e non anche quindi per la definizione e/o la individuazione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica, mentre con la legge 8 agosto 1977, n. 513 (artt. 22 e 24) il legislatore statale avrebbe implicitamente confermato la distinzione tra "alloggi di edilizia residenziale pubblica" ed "alloggi di proprietà di enti pubblici".

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Tribunale di Como ha sollevato questione di legittimità costituzionale, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, della legge della Regione Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica), integrata dalla legge n. 92, di pari data (Modifiche ed integrazioni alla legge regionale 5 dicembre 1983, n. 91), nella parte in cui commisura il canone locatizio e definisce la nozione di edilizia residenziale pubblica come comprendente non solo gli alloggi costruiti con il concorso o con il contributo dello Stato (secondo quanto previsto dal d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035), ma altresì quelli "acquisiti a qualunque titolo, realizzati o recuperati da enti locali o da enti pubblici non economici, per le finalità sociali proprie della edilizia residenziale pubblica".

 

Malgrado l'imprecisa prospettazione della questione operata dal giudice a quo, questa deve essere correttamente riferita all'art. 1, secondo comma, della legge regionale Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91, contenente la definizione di edilizia residenziale pubblica cui si estende l'ambito di applicazione della legge stessa.

 

Alla disposizione denunziata è collegata quella contenuta nell'art. 28 della stessa legge, come modificato dall'art. unico, lettera N), della legge regionale 5 dicembre 1983, n. 92, il quale prevede una riduzione del canone di locazione per gli alloggi ricompresi nella nozione in oggetto: di tale disposizione era stata invocata l'applicazione, nel giudizio a quo, da parte del conduttore di un alloggio di proprietà comunale dato in locazione, insieme ad altri, per le finalità sociali risultanti da specifico regolamento comunale, nonchè dalla delibera di acquisto degli immobili ed anche dalla pubblica gara di assegnazione a particolari categorie di cittadini, in cui si teneva conto altresì della modesta misura del loro reddito.

 

2.- La questione non appare meritevole di accoglimento.

 

La soluzione dei quesiti circa l'ambito dell'edilizia residenziale pubblica come materia di competenza regionale presenta alcune difficoltà, per i motivi, avvertiti anche dalla dottrina, del sovrapporsi nel tempo di numerosi e non chiari provvedimenti legislativi ed amministrativi.

 

Di ciò sembra aver coscienza lo stesso legislatore, secondo quanto può dedursi dalla relazione alla proposta di legge delega presentata in data 28 aprile 1992 per l'elaborazione di un testo unico sulla materia, presentato alla Camera dei deputati nel corso dell'XI legislatura, in cui si osserva, tra l'altro, che "le disposizioni di legge relative all'edilizia residenziale e alle materie ad essa attinenti, costituiscono ormai un aggrovigliato complesso normativo del quale è difficile venire a capo".

 

Malgrado le difficoltà connesse a tale situazione, possono trarsi dalle norme che si sono susseguite e dagli orientamenti giurisprudenziali di questa Corte le linee evolutive del sistema che va ritenuto vigente, in base al quale la questione prospettata dal Tribunale di Como risulta non fondata.

 

3.- Nei primi anni '70, la materia dell'edilizia residenziale pubblica è stata organicamente disciplinata con d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, che all'art. 1 ha definito la relativa nozione con riguardo agli alloggi sovvenzionati dallo Stato, stante le finalità cui la normativa si riferiva.

 

Già il d.P.R. n. 1036 di pari data, peraltro, stabiliva (art. 1) che "la realizzazione unitaria degli obiettivi stabiliti nei programmi di interventi di edilizia abitativa pubblica e di edilizia sociale di cui all'art. 1 della legge 22 ottobre 1971, n. 865, è affidata al Ministro per i lavori pubblici e alle Regioni in conformità con gli indirizzi del CIPE e con le modalità stabilite dal presente decreto". E la giurisprudenza di questa Corte (sentenza n. 221 del 1975) affermava, a proposito della legge della Regione Lombardia 10 maggio 1973, relativa alla costruzione di alloggi di edilizia residenziale, che "le funzioni amministrative (e quindi anche quelle legislative) sulla materia in oggetto sono ormai di competenza della Regione, ovviamente entro il limite della dimensione regionale degli interessi al cui soddisfacimento le relative attività sono rivolte"; ciò soprattutto per la considerazione che "tanto la materia dell'urbanistica quanto quella dei lavori pubblici di interesse regionale sono comprese nell'elenco dell'art. 117 senza riserve od ulteriori distinzioni nel loro interno e senza perciò che sia lecito postulare la esclusione da quest'ultima di quel che più particolarmente concerne l'edilizia residenziale pubblica, nella sua accezione più ampia".

 

4.- É noto che proprio dal 1975 (legge delega 22 luglio 1975, n. 382) si sviluppa e si razionalizza l'ambito dei poteri di competenza regionale non più per materie analiticamente elencate, ma in ordine a "settori organici".

 

Il d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ricomprende (artt. 87 e 93) l'edilizia residenziale e abitativa pubblica di interesse regionale fra le materie in cui alle regioni viene riconosciuta una plena cognitio, sia per le funzioni amministrative, sia (in virtù del parallelismo di cui all'art. 118 della Costituzione) per i poteri legislativi, residuando allo Stato la competenza (art. 88, n. 13) relativa soltanto alla "programmazione nazionale e (al)la ripartizione sulla sua base fra le regioni del fondo nazionale per gli interventi di edilizia residenziale pubblica, (al)la previsione di programmi congiunturali di emergenza, nonchè (al)la determinazione dei criteri per le assegnazioni di alloggi e per la fissazione dei canoni".

 

La successiva legge 5 agosto 1978, n. 457 contiene la previsione (art. 1) di un piano decennale di edilizia residenziale comprendente anche gli interventi pubblici di edilizia convenzionata, agevolata, e diretti al recupero del patrimonio edilizio esistente, affidando (art. 2) ampi poteri di indirizzo al C.I.P.E. ed alle Regioni (art. 4).

 

In attuazione del citato art. 2, il C.I.P.E., con deliberazione del 19 novembre 1981, ha stabilito i "criteri generali per le assegnazioni e per la fissazione dei canoni degli alloggi di edilizia residenziale pubblica" premettendo che tali criteri "si applicano a tutti gli alloggi realizzati o recuperati da enti pubblici a totale carico o con il concorso o contributo dello Stato o delle regioni, nonchè a quelli acquistati, realizzati o recuperati da enti pubblici non economici per le finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica", specificando le ipotesi da ritenersi escluse da tale ambito, ed attribuendo alle regioni la possibilità di "stabilire ulteriori particolari esclusioni per edifici le cui caratteristiche o la cui destinazione non si prestino alle finalità sociali proprie dell'edilizia residenziale pubblica".

 

Tale delibera ha stabilito infine (par. 11) che "il canone di locazione degli alloggi indicati al paragrafo 2 è diretto a compensare i costi di amministrazione, di gestione e di manutenzione, nonchè a consentire il recupero di una parte delle risorse impiegate per la realizzazione degli alloggi stessi"; ed inoltre che "la regione disciplina la determinazione dei canoni di locazione tenendo conto delle caratteristiche oggettive dell'alloggio espresse dai parametri della legge 27 luglio 1978, n. 392 e del reddito del nucleo familiare dell'assegnatario".

 

Da quanto fin qui esposto si evince come l'evoluzione della disciplina richiamata sia nel senso di un ampliamento della nozione di edilizia residenziale pubblica (quale comprendente altresì ogni intervento operato da enti pubblici non economici per il conseguimento di finalità sociali), e di un ampliamento dei poteri delle regioni in questa materia.

 

Ulteriori conferme normative di questa evoluzione si ravvisano nella legge 8 agosto 1977 n. 513, che ha riconosciuto in capo ai Comuni la competenza a realizzare "programmi costruttivi occorrenti alle temporanee esigenze di alloggio dei nuclei familiari soggetti a sgombero per consentire il recupero o il risanamento del patrimonio edilizio esistente" (art. 16), la cui pertinenza alla materia dell'edilizia residenziale pubblica si deduce dall'essere detta disposizione inserita nel titolo che ad essa espressamente si richiama. Analogamente può dirsi, sebbene con riferimento a fattispecie in parte diversa (e cioè relativamente all'acquisto da parte dei Comuni di immobili per assegnare gli alloggi a soggetti nei cui confronti sia stato emesso provvedimento esecutivo di rilascio), con riguardo all'art. 7 del decreto legge 15 dicembre 1979, n. 629, convertito in legge 15 febbraio 1980, n.255.

 

5.- Le nuove prospettive circa l'ambito della materia e le competenze regionali in tema di edilizia residenziale pubblica sono state ribadite dalla giurisprudenza di questa Corte. Dopo la sentenza n. 221 del 1975 già richiamata, va ricordata la sentenza n. 140 del 1976, che riconosce alle regioni a statuto ordinario potestà legislativa in materia di edilizia pubblica abitativa; la sentenza n. 217 del 1988, che sottolinea il "dato storico dell'evoluzione legislativa della materia"... ed "il principio giustificativo che consiste nella predisposizione di interventi pubblici di varia natura comunque diretti al fine di provvedere al servizio sociale della provvista di alloggi per i lavoratori e le famiglie meno abbienti", precisando che nell'ambito dell'edilizia pubblica "deve considerarsi compresa anche la sub-materia relativa al reperimento (o al recupero) e all'assegnazione degli alloggi e che quest'ultima non può essere circoscritta alle abitazioni costruite con fondi pubblici o, comunque, con il concorso degli stessi".

 

Con sentenza n. 727 del 1988, infine, si è affermato che, a seguito dell'evoluzione normativa della materia dell'edilizia residenziale pubblica, alle regioni deve essere riconosciuta "la più ampia potestà legislativa" (analogamente v. anche le sentenze n. 1134 del 1988, 594 del 1990, 393 e 486 del 1992).

 

6.- In attesa del nuovo testo unico che aggiorni più coerentemente tutta la materia, precisando funzioni, organi e competenze, appare logico dedurre dalle osservazioni che precedono alcune linee del vigente sistema, riferibili alla questione sottoposta all'esame di questa Corte.

 

Dall'evoluzione normativa descritta emerge anzitutto come la nozione iniziale di edilizia residenziale pubblica, di cui all'art. 1 del d.P.R. 30 dicembre 1972, n. 1035, sia stata successivamente sviluppata, a partire dal d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, come questa Corte ha in più occasioni affermato, nel senso che, in tema di edilizia residenziale e abitativa pubblica o di edilizia cosiddetta sociale, alle regioni spettano ampi poteri amministrativi e legislativi, nei limiti del territorio o degli interessi regionali, in coordinamento con i programmi, i criteri e le disposizioni in sede nazionale; ed inoltre, che l'ambito dell'edilizia residenziale pubblica è ravvisabile quando ricorrono gli elementi propri delle finalità sociali della destinazione di immobili comunque acquisiti da enti pubblici non economici; finalità riscontrabili, oltre che nella tipologia non di lusso degli stessi, nella loro destinazione a categorie di cittadini non abbienti, cui vengono offerti gli alloggi con gare pubbliche di assegnazione in base a determinati requisiti.

 

Tali elementi appaiono ricorrere nella presente fattispecie, per le modalità di comportamento del Comune; e la legge regionale della Lombardia oggetto del presente giudizio ha correttamente preso atto del contesto normativo statale, senza eccedere dai limiti delle materie di competenza regionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.1, secondo comma, della legge regionale Lombardia 5 dicembre 1983, n. 91 (Disciplina dell'assegnazione e della gestione degli alloggi di edilizia residenziale pubblica) sollevata, in riferimento all'art. 117 della Costituzione, dal Tribunale di Como con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 20/07/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 28/07/93.