Sentenza n. 345 del 1993

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SENTENZA N. 345

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12 (Disciplina del controllo sugli atti degli enti locali in Lombardia, norme per il funzionamento dell'organo regionale di controllo e modifica dell'art. 17 della legge regionale 1° agosto 1979,n.42), come modificato dall'art. 4 della legge della Regione Lombardia 20 marzo 1990, n. 16, promosso con ordinanza emessa il 3 luglio 1992 dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia sul ricorso proposto dall'Associazione Comuni ambito territoriale "Verbano sud" - U.S.S.L. n. 5 di Angera contro il CO.RE.CO. della Regione Lombardia ed altra, iscritta al n. 100 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 11, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visto l'atto di intervento della Regione Lombardia;

 

udito nell'udienza pubblica dell'8 giugno 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

udito l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia.

 

Ritenuto in fatto

 

1.- Nel corso di un giudizio promosso con ricorso dell'Unità socio-sanitaria locale n. 5 di Angera per l'annullamento di tre provvedimenti in data 22 luglio 1991 del comitato regionale di controllo (CO.RE.CO.) della regione Lombardia, con i quali era stata dichiarata la decadenza di altrettante deliberazioni - in data 28 maggio 1991 - dell'assemblea generale della citata U.S.S.L. (de liberazioni aventi ad oggetto l'elezione del presidente e la convalida degli eletti di detta assemblea, nonchè la nomina del comitato dei garanti), il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha sollevato, con ordinanza del 3 luglio 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 23 febbraio 1993), questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge della Regione Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12, come modificato dall'art. 4 della legge della Regione Lombardia 20 marzo 1990, n.16, in riferimento agli articoli 3,117,128 e 130 della Costituzione.

 

Il Tribunale osserva che le pronunce di decadenza delle delibere della U.S.S.L. sono state adottate, da parte del CO.RE.CO, in base alla norma denunciata di incostituzionalità che prescrive che le delibere soggette a controllo debbano pervenire al CO.RE.CO. entro il termine di trenta giorni dalla loro adozione, e non già essere spedite entro detto termine; la regola della spedizione, infatti, vale in difetto di diverse specifiche disposizioni, quale è quella in argomento.

 

Correttamente, dunque - prosegue il tribunale rimettente - il CO.RE.CO. ha adottato le declaratorie di decadenza delle delibere, giacchè ne sussistono i seguenti presupposti di legge:

 

a) è stato superato il ricordato termine di trenta giorni; al riguardo, il T.A.R. precisa che "è pacifico e risulta agli atti" che la ricezione degli atti soggetti al controllo, adottati il 28 maggio 1991, è avvenuta in data 28 giugno 1991, data indicata dal timbro apposto sull'avviso di ricevimento postale, e non già alla data successiva (4 luglio 1991) risultante dal timbro di assunzione al proto collo del CO.RE.CO; per tale aspetto, osserva il T.A.R., non può certo addebitarsi all'ente controllato una eventuale disfunzione riferibile agli uffici interni all'organo controllante;

 

b) l'ipotesi di decadenza rilevata nel caso di specie non rientra nel novero delle pronunce, di carattere costitutivo, di annullamento dell'atto per vizi di legittimità, assoggettate a precisi termini di adozione e comunicazione "anche ai sensi della legge n.142 del 1990", ed è perciò suscettibile di essere rilevata e dichiarata in qualunque tempo, salvo il limite delle posizioni giuridiche acquisite medio tempore;

 

c) le delibere dichiarate decadute non rientrano tra quelle contemplate nell'elenco di cui all'art. 4 della legge della Regione Lombardia n.12 del 1982, come modificata dalla legge regionale n. 16 del 1990, comprensivo degli atti non assoggettati a controllo, non avendo dette delibere per oggetto una delle categorie previste da questa norma.

 

2.- Dati i precedenti rilievi, il giudice a quo osserva che il ricorso della U.S.S.L. andrebbe rigettato; è però proprio la disposizione normativa su cui le declaratorie di decadenza sono basate a suggerire al giudice rimettente dubbi di costituzionalità della norma medesima.

 

In tale direzione, il T.A.R. richiama innanzitutto lo sviluppo del quadro normativo generale, orientato nel senso del riconoscimento di una crescente autonomia agli enti locali; l'iter evolutivo va dalla drastica riduzione, con l'art. 59 della legge n. 62 del 1953, del controllo di merito sugli atti degli enti locali; alla coeva eliminazione del termine di decadenza di otto giorni per l'invio delle delibere al controllo prescritto dalla vecchia legge comunale e provinciale; alla nuova configurazione dell'assetto dei controlli recato dalla legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali, dove si disciplinano come ipotesi eccezionali quelle di decadenza per mancato invio dell'atto a controllo e dove viene soppresso il pur limitato sindacato di merito ancora previsto dall'art. 60 della legge n.62 del 1953; alla significativa riduzione del tipo di atti soggetti a controllo, limitato dall'art. 45 della legge n. 142 del 1990 ai casi che riguardano le delibere c.d. fondamentali; sino alla abolizione del controllo del CO.RE.CO sugli atti delle U.S.S.L. (art. 4, comma 8, della legge n. 412 del 1991, peraltro non applicabile al caso di specie ratione temporis).

 

In tale contesto, osserva il T.A.R., se pure non mancano discipline di leggi regionali che hanno voluto introdurre dei termini "acceleratori" per l'invio delle delibere al controllo, in funzione dell'esigenza di pubblico interesse rappresentata dalla sollecitudine nello svolgimento della funzione, la finalità sollecitatoria non può - come è invece nella normativa denunziata - essere raggiunta con la previsione della decadenza, nè degli atti tardivamente inviati a controllo nè tantomeno di quelli spediti entro il termine stabilito ma pervenuti oltre il termine medesimo.

 

In queste ultime ipotesi, ad avviso del rimettente, si verrebbe infatti ad imputare agli enti controllati una serie di "adempimenti successivi di segreteria e conseguentemente degli apparati di or dine burocratico" che a detti enti fanno capo; adempimenti che viceversa, non essendo più ricollegati alla adozione della delibera e al relativo contenuto, non dovrebbero riflettersi sugli atti, quali ragioni di decadenza delle delibere: come il termine per la comunicazione delle decisioni del comitato è, secondo la giurisprudenza amministrativa, di carattere ordinatorio, così reciprocamente non può ammettersi la drastica conseguenza della decadenza in rapporto al superamento del termine per l'invio a controllo, giacchè l'uno e l'altro termine sono sostenuti dalla stessa ratio, consistente nel rendere più efficace e tempestivo l'esercizio della funzione.

 

3. - Ulteriori argomentazioni a sostegno della ipotizzata illegittimità costituzionale sono poi formulate dal T.A.R. alla luce del disposto dell'art. 32 (recte: 46, comma 6) della legge n. 142 del 1990, che stabilisce la sanzione di decadenza delle sole delibere adottate in via di urgenza - e perciò immediatamente eseguibili - ma trasmesse oltre il termine di cinque giorni dalla loro adozione.

 

In questo caso, la previsione della decadenza si giustifica per l'esigenza di evitare che con il ricorso agli atti urgenti l'ente possa vanificare il controllo, inviando l'atto allorchè questo ha già prodotto i suoi effetti; ma tale giustificazione non sussiste rispetto alle delibere ordinarie di cui si tratta nel giudizio a quo, cosicchè con la disposta previsione si viene in definitiva ad introdurre, per queste delibere, un "terzo genere" di caducazione dell'atto amministrativo in sede di controllo, oltre le ipotesi di verifica di legittimità e merito previste dalla Costituzione, e di natura più grave dell'annullamento, perchè operante ipso iure e per vicende estranee all'atto oggetto di verifica.

 

4. - La ricognizione del quadro normativo si completa, nell'ordinanza di rimessione, con il rilievo dell'art. 46, comma 7, della legge n. 142 del 1990 di riforma delle autonomie locali: detta norma contempla una riserva a favore della legge regionale, cui è demandato di stabilire "..le modalità e i termini per l'invio delle deliberazioni all'organo di controllo e per la disciplina della decorrenza dei termini assegnati ai comitati regionali ai fini dell'esercizio del controllo stesso".

 

Ma questa riserva non può, ad avviso del giudice a quo, estendersi sino a ricomprendere la disciplina dell'esercizio della funzione di controllo e conseguentemente a prevedere forme nuove e ulteriori di caducazione delle delibere, giacchè la competenza legislativa regionale delineata dalla norma in parola deve essere configurata come competenza attuativa ai sensi dell'art. 117, ultimo comma, della Costituzione, e dunque limitata alla posizione di norme di adattamento alla legislazione statale, con riguardo alle "mere modalità di inoltro degli atti all'organo tutorio".

 

5. - Sulla base di quanto rilevato alla luce dell'assetto normativo generale nella materia, il giudice rimettente individua nella disciplina impugnata la violazione dei seguenti parametri costituzionali:

 

- art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento di situazioni identiche, in ragione di circostanze estrinseche (la ricezione dell'atto) non coerenti con la finalità della funzione di controllo nè sorrette da ragionevole motivo di diversificazione della disciplina;

 

- art.117 della Costituzione,in quanto la legge regionale è andata oltre i limiti segnati dalla previsione costituzionale, che riserva alla normativa statale la determinazione del tipo di controlli esercitabili e dei relativi effetti, affidando alla legge regionale una più contenuta facoltà di emanazione di norme attuative, nei limiti già accennati; il precetto costituzionale risulterebbe poi violato anche in ragione dell'introduzione di un nuovo genere di sindacato, non previsto nè dalla Costituzione nè dalle leggi statali in materia, che si realizzerebbe con effetti più rigorosi di quanto avviene per il generale controllo di legittimità, data l'operatività ipso iure e la natura dichiarativa della pronuncia;

 

- art. 128 della Costituzione, per lesione del principio di autonomia degli enti sottoposti a controllo, che si sostanzia nel sottrarre la disciplina delle relative procedure alla legislazione regionale, attraverso una riserva di legge statale al riguardo;

 

- art. 130 della Costituzione, "per quanto riguarda i principi sul funzionamento del CO.RE.CO.".

 

6. - É intervenuto in giudizio il Presidente della giunta della Regione Lombardia, deducendo, in primo luogo, l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza. Emerge dagli atti, a tale proposito, che le declaratorie - poi impugnate dinanzi al T.A.R. - di decadenza delle delibere sono state adottate dal comitato regionale di controllo "in data 24 luglio e 7 agosto 1991", e cioè oltre venti giorni dopo il ricevimento degli atti medesimi; detto termine di venti giorni è stabilito dal secondo comma dell'impugnato art. 8 della legge regionale n. 12 del 1982 quale momento finale per la possibilità di adozione della pronuncia di annullamento (o di rinvio per riesame) da parte del CO.RE.CO, con conseguente espressa attribuzione di esecutività dell'atto non controllato nel termine.

 

Se pure il T.A.R. rimettente sostiene che nella specie, trattandosi di declaratoria di decadenza - e non di pronuncia di annullamento - essa è suscettibile di rilevazione in qualsiasi momento, indipendentemente dai termini stabiliti per l'esercizio del controllo (art. 59, comma 2, legge n.62 del 1953; art.46, comma 1, legge n. 142 del 1990; art. 8, comma 2, legge regionale n. 12 del 1982), si deve in contrario osservare, per l'interveniente, che, una volta decorso il termine senza l'adozione di alcun provvedimento, il CO.RE.CO non aveva più alcun potere dispositivo sugli atti; sia che questi fossero (come erano) decaduti perchè pervenuti all'organo di controllo oltre il termine perentorio in argomento, sia che viceversa fossero pur sempre efficaci, non spettava al comitato alcun potere provvedimentale. Le declaratorie di decadenza del CO.RE.CO, in questa linea, avrebbero dovuto essere considerate quali mere dichiarazioni di scienza, come del resto incidentalmente affermato dal giudice a quo che attribuisce alle stesse natura "meramente dichiarativa"; di conseguenza, il T.A.R., che avrebbe dovuto alternativamente dichiarare il proprio difetto di giurisdizione - in quanto investito di impugnativa di "non provvedimenti" - ovvero annullare le declaratorie -se considerate indebitamente "atti" con contenuto dispositivo e provvedimentale - avrebbe comunque potuto - e dovuto - definire il giudizio applicando le norme, non interessate da alcun dubbio di costituzionalità, che stabiliscono il termine perentorio di venti giorni per l'emanazione dell'atto di controllo, prescindendo in radice dalla risoluzione della proposta questione di costituzionalità della norma denunziata, in quanto non rilevante.

 

7.- L'interveniente deduce poi, nel merito, l'infondatezza della questione.

 

Previa disamina dell'evoluzione normativa nella materia della decadenza di delibere di enti lo cali, la regione sottolinea che la vigente disciplina del controllo sugli atti degli enti locali, quale recata nella legge n.142 del 1990, oltre a stabilire il termine di venti giorni dalla ricezione dell'atto per l'espletamento della funzione (art. 46, comma 1), ha previsto che sia la normativa regionale a stabilire "modalità e termini per l'invio delle deliberazioni all'organo di controllo e per la disciplina della decorrenza dei termini assegnati ai comitati regionali ai fini dell'esercizio del controllo stesso" (comma 7 del citato art. 46), statuendo altrove (comma 6 dello stesso articolo) una espressa decadenza per le deliberazioni urgenti non trasmesse all'organo della regione entro cinque giorni dalla loro adozione.

 

La ratio di siffatte previsioni - al pari di quelle analoghe poste da varie leggi regionali emanate prima della riforma delle autonomie locali del 1990 - è, prosegue la regione, evidente: anche se l'atto non urgente e non immediatamente eseguibile non produce effetti fino all'invio per il controllo e alla successiva decorrenza del termine per il controllo, la fissazione di un termine di invio risponde ad una fondamentale esigenza di speditezza dell'azione amministrativa e certezza delle situazioni implicate con l'atto; sarebbero infatti in contrasto con tali basilari principi anomale prassi di delibere adottate ma non inviate a controllo, sia rispetto all'esigenza di sollecita verifica della delibera rispetto alla situazione normativa e di fatto cui si riferisce, sia rispetto all'opportunità di evitare invii "pilotati" al controllo.

 

Nè può essere condivisa, per la regione, l'affermazione del giudice a quo circa la non- imputabilità degli adempimenti "burocratici", successivi all'adozione delle delibere, agli enti controllati, poichè anche questi adempimenti sono svolti sotto la direzione degli organi di vertice dell'ente e sono espressione di oneri e obblighi facenti capo all'ente medesimo.

 

É dunque in queste coordinate che si iscrive la norma denunziata, che del resto si limita a stabilire il termine perentorio per la ricezione degli atti inviati a controllo, senza disciplinare gli effetti decadenziali che discendono dal mancato invio.

 

Le asserzioni dedotte nell'ordinanza di rimessione sono pertanto, ad avviso dell'interveniente, prive di fondamento: lungi dall'istituire un tertium genus di controllo, la legge regionale si è limitata a stabilire - sulla falsariga di quanto già disposto dalla normativa statale - un termine per l'invio degli atti nell'ambito del procedimento di controllo, rientrante sicuramente nell'ambito della competenza legislativa della regione; nè fissare quel termine equivale a introdurre una tipologia della funzione, ma significa solo disciplinarne le modalità.

 

Neppure può essere invocato a contrario l'art. 46, comma 6, della legge n.142 del 1990, che stabilisce un termine di decadenza limitatamente all'invio degli atti dichiarati urgenti, poichè la stessa legge rinvia alla normativa regionale quanto alla disciplina dei "termini per l'invio" delle delibere (comma 7 cit.), il che rende evidente che il termine di cinque giorni rappresenta uno "standard" minimo e vincolante per il legislatore regionale, che resta però libero di disciplinare in termini più ampi la materia attribuitagli dalla stessa legge dello Stato. Ancora, è inesatta - per la regione - la qualificazione della competenza legislativa in argomento come meramente attuativa a norma dell'ultimo comma dell'art. 117 della Costituzione, giacchè essa si raccorda alla disciplina dell'attività di organi "della regione" a tutti gli effetti, sebbene costituiti nei modi stabiliti dalla legge statale (art. 130 della Costituzione).

 

La normativa impugnata non può ritenersi perciò in contrasto con l'art.117 della Costituzione, tanto più alla luce del rinvio alla legge regionale contenuto nell'art. 46, comma 7, della legge n. 142 del 1990; sarebbe in contrasto con la lettera di tale ultima norma l'asserita limitazione della disciplina alle "mere modalità di inoltro" degli atti: disciplinare i "termini" non può voler significare porre termini che possano arbitrariamente essere violati.

 

Quanto agli altri parametri costituzionali invocati, la regione osserva:

 

- che il richiamo dell'art. 130 della Costituzione non è chiaro, non essendovi spiegazione alcuna dell'affermato contrasto della disciplina denunziata con i "princìpi" sul funzionamento del CO.RE.CO;

 

- che l'art. 3 della Costituzione non può dirsi violato, giacchè la stabilita perentorietà del termine diversifica, legittimamente, tra le situazioni difformi del rispetto e del mancato rispetto di detto termine;

 

- che la disciplina impugnata non lede in alcun modo l'autonomia degli enti garantita dall'art. 128 della Costituzione, limitandosi a stabilire determinate procedure per l'effettuazione dei controlli previsti dalla Costituzione.

 

Considerato in diritto

 

1.- É stata sollevata questione di legittimità costituzionale dell'articolo 8 della legge della Regione Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12, come modificato dall'art. 4 della legge regionale 20 marzo 1990, n. 16, "nella parte in cui (comma primo) prevede la decadenza" delle delibere pervenute all'organo di controllo oltre il termine di trenta giorni dalla loro adozione.

 

Nell'ordinanza di rinvio si sostiene il contrasto con: a) l'art. 3 della Costituzione, per "ingiustificata disparità di trattamento di situazioni identiche per circostanze che non risultano sorrette ragionevolmente da una differenza sostanziale ma da fattori totalmente estrinseci e pertanto avulsi dalle finalità della funzione di controllo", e in particolare: per la impossibilità di imputare all'ente controllato, sotto forma di decadenza delle delibere da questi adottate, adempimenti successivi di carattere burocratico non riferibili alla fase di adozione dell'atto e al suo contenuto, bensì ad evenienze estranee; per la necessità di eguale trattamento degli effetti collegati alla mancata osservanza dei termini rispettivamente accordati all'ente controllato e all'organo di controllo, posto che per quest'ultimo il termine è da ritenersi ordinatorio; b) l'art.117 della Costituzione, poichè la competenza legislativa regionale in materia è di carattere meramente attuativo, mentre la norma impugnata avrebbe surrettiziamente introdotto un nuovo - e radicale - tipo di caducazione in sede di controllo, non previsto nè dalla Costituzione nè dalle leggi statali; c) l'art. 128 della Costituzione, per lesione dell'autonomia degli enti assoggettati a controllo, garantita dalla riserva di legge statale in materia; d) l'art.130 della Costituzione, "per quanto riguarda i principi sul funzionamento del CO.RE.CO".

 

2.- Deve essere preliminarmente disattesa l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla Regione Lombardia nell'assunto che le pronunce di decadenza delle delibere della unità socio- sanitaria locale, impugnate dinanzi al Tribunale amministrativo regionale che ha sollevato la questione, sono state adottate da parte del comitato regionale di controllo (CO.RE.CO) oltre il termine di venti giorni previsto dalla legge per l'esercizio della funzione di controllo, onde il giudizio a quo dovrebbe essere definito solamente con l'applicazione delle norme che considerano perentorio tale termine e quindi indipendentemente dalla risoluzione della sollevata questione di costituzionalità.

 

Osserva la Corte che nell'ordinanza di rimessione il Tribunale amministrativo regionale della Lombardia ha preso posizione sul punto, allo scopo di dimostrare la rilevanza in concreto della questione, manifestando l'avviso dell'infondatezza delle altre censure del ricorso - con il quale erano stati impugnati i provvedimenti del CO.RE.CO.- e, fra esse, quella con la quale si era denunciata l'illegittimità di quei provvedimenti proprio perchè adottati dopo lo scadere dei venti giorni previsti per l'esercizio del potere di annullamento. Si sostiene, difatti, nell'ordinanza di rinvio, l'inapplicabilità di quest'ultimo termine perchè "nella specie si verte non in ipotesi di pronuncia costitutiva di annullamento per vizi di legittimità dell'atto sottoposto a controllo, ma in ipotesi di declaratoria di decadenza, e pertanto suscettibile di essere rilevata in qualunque tempo".

 

Orbene, una così precisa presa di posizione in ordine al problema del termine entro cui deve esse re pronunciata la decadenza, assunta dal giudice a quo, che ha in tal modo già escluso di poter decidere la controversia nei sensi che condurrebbero, secondo la regione, all'inammissibilità per irrilevanza in concreto della questione, costituisce circostanza sufficiente a contrastare l'eccezione. Ciò in conformità all'indirizzo di questa Corte, secondo cui il controllo sull'ammissibilità della questione potrebbe far disattendere la premessa interpretativa offerta dal giudice a quo solo quando quest'ultima dovesse risultare palesemente arbitraria (sentt. nn. 238 e 103 del 1993; 436 del 1992), il che non si verifica nel caso di specie.

 

3.l.- Nel merito, deve precedere in ordine logico l'esame dei profili della questione che muovono dall'assunto secondo cui alla regione non spetti di introdurre nuove ipotesi e forme di controllo al di là di quelle previste dalle leggi dello Stato. Essa dovrebbe limitarsi ad emanare soltanto norme di attuazione delle prime, là dove, nella specie, sarebbe stato introdotto un tertium genus di controllo rispetto a quelli di legittimità e di merito indicati nell'art. 130 della Costituzione, con la previsione di un termine perentorio per l'invio delle delibere degli enti locali all'organo di controllo, un termine alla cui mancata osservanza è connessa, in quanto perentorio, la pronuncia di decadenza "che si realizza ipso iure ed ha natura meramente dichiarativa". Ciò, oltre a violare l'art. 117 della Costituzione, sarebbe in contrasto con il successivo art. 128, sotto il profilo della lesione dell'autonomia degli enti controllati, per i quali vige il principio della riserva di legge statale, e con l'art. 130 della Costituzione "per quanto riguarda i principi sul funzionamento del CO.RE.CO.".

 

3.2.- Osserva la Corte che le censure così prospettate si fondano sulla errata premessa che la decadenza delle delibere, inviate al comitato oltre il termine perentorio a tal fine previsto, realizzi una nuova forma di controllo sugli atti degli enti locali.

 

Questa tesi non può essere seguita perchè la verifica della tempestività dell'invio non riguarda il contenuto dell'atto, cui chiaramente si riferisce l'art. 130 della Costituzione nel prevedere le due forme di controllo tradizionale: di legittimità e di merito, bensì concerne un elemento esterno a tale contenuto e quindi non si concreta in una forma di sindacato sull'atto, ma in una verifica della regolarità del procedimento in relazione ai presupposti previsti per l'esercizio della funzione da parte del comitato.

 

Invero, la norma denunciata si muove in un quadro normativo ormai compiutamente delineato dalla legge n. 142 del 1990 sulle autonomie locali - cui si deve far riferimento come norma interposta ai fini del presente scrutinio di costituzionalità, perchè è essa che detta i principi attualmente vigenti - che demanda appunto alle regioni la disciplina del procedimento. In particolare l'art. 46, comma 2, di detta legge, prevede che le regioni debbano stabilire "le modalità e i termini per l'invio delle deliberazioni all'organo di controllo e per la disciplina della decorrenza dei termini assegnati ai comitati regionali ai fini dell'esercizio del controllo stesso".

 

Il potere attribuito alle regioni di stabilire "le modalità ed i termini per l'invio delle deliberazioni" è dunque così ampio da comprendere la possibilità di prevedere, come nel caso della legge regionale impugnata, un termine perentorio cui consegue, in caso di inosservanza, la decadenza delle delibere. La norma statale, una volta operate dette attribuzioni che concernono anche i termini per l'attivazione della funzione di controllo, non contiene difatti alcuna limitazione, nè da essa è desumibile in alcun modo l'esclusione della possibilità di stabilire un termine avente carattere perentorio, un termine perciò che, una volta stabilito come tale, comporta necessariamente in caso di inosservanza la decadenza dell'atto, cioè la sanzione propria a tale tipo di violazione. Ma, una volta che tale decadenza si produce in ragione del mero decorso del tempo, non può considerarsi estraneo ai poteri legislativi attribuiti alla regione, bensì perfettamente aderente alle finalità in vista delle quali il termine è stabilito con carattere di perentorietà, che la declaratoria di tale effetto sia stata compresa dall'art.23, primo comma, lett. d) della legge regionale 8 febbraio 1982, n. 12, come modificato dall'art. 6 della legge regionale 20 marzo 1990 n. 16 (peraltro non espressamente impugnato nell'ordinanza di rinvio che pur lamenta l'attribuzione di detta declaratoria al CO.RE.CO) fra le attribuzioni dell'organo della regione. Non si tratta invero di una nuova forma di controllo, non prevista dalle leggi dello Stato, bensì della presa d'atto di un evento, quale la decadenza, di per sè già prodottosi per effetto del ritardato invio della delibera. Dato che spetta alle regioni di fissare il termine per l'invio delle delibere al comitato e dato che nella specie la Regione Lombardia lo ha legittimamente determinato con il carattere della perentorietà, non risulterebbe rispondente a logica che l'atto dell'ente locale debba essere ugualmente assoggettato a controllo nonostante l'inosservanza di quel termine, che, invece, ove constatata, rende inoperante l'esercizio della funzione. Appare perciò coerente con la finalità propria del carattere perentorio del termine che la decadenza sia rilevata da parte dell'organo nei cui confronti essa in primo luogo si manifesta, e che ciò avvenga in sede di verifica dei presupposti per l'esercizio di quel potere.

 

3.3. - Non può, peraltro, a questo punto non considerarsi come la disciplina regionale impugnata, con la previsione del termine perentorio per l'invio delle delibere, ripristinando un meccanismo già stabilito nel precedente sistema dei controlli sia pure con la indicazione, allora, di un termine di gran lunga più breve, conferisca trasparenza all'attività degli enti locali in funzione della certezza dei loro rapporti con gli amministrati.

 

Ciò serve ad impedire che l'attuazione di de libere dei loro organi istituzionali possa artificiosamente essere ostacolata o ritardata senza alcun presumibile limite di tempo, per il perseguimento di finalità estranee agli interessi dell'ente.

 

É poi evidente come la previsione della decadenza, a causa del ritardato invio delle delibere rispetto al termine congruamente previsto in trenta giorni dalla legge regionale in esame, contribuisca al buon andamento ed all'imparzialità della funzione amministrativa, sia perchè sollecita la vigilanza degli amministratori sugli uffici, ai fini di uno spedito corso dei deliberati dell'ente, sia perchè pone al riparo i funzionari amministrativi da eventuali indebite pressioni dirette a ritardare quel corso, costituendone remora le responsabilità cui essi andrebbero incontro in caso di decadenze dipendenti da loro comportamenti.

 

4.- Le considerazioni testè formulate inducono a disattendere la questione sollevata con riguardo all'art. 8 cit. nel suo complesso, per asserita violazione dell'art. 3 della Costituzione, sotto il profilo della ingiustificata disparità di trattamento tra situazioni identiche, perchè la decadenza verrebbe fatta dipendere non dalla volontà degli organi istituzionali dell'ente, ma dalla mancata osservanza di adempimenti successivi di segreteria e, conseguentemente, degli apparati di ordine burocratico, cioé da comportamenti che non dovrebbero essere imputati all'ente.

 

Osserva la Corte che, per quel che riguarda l'attività degli uffici amministrativi dell'ente, l'imputazione a questo degli effetti dei comportamenti negligenti degli uffici stessi, che possano produrre la decadenza delle delibere degli organi istituzionali, costituisce la naturale conseguenza dell'inquadramento di detti uffici nella struttura dell'ente medesimo e della loro subordinazione alla vigilanza degli organi elettivi. Questa, se regolarmente e costantemente attivata, garantisce che gli uffici stessi siano indotti ad adempiere i loro compiti con esattezza e tempestività, tenuto conto delle responsabilità cui, come si è detto, i rispettivi titolari andrebbero incontro in caso di comportamenti negligenti.

 

É questo controllo interno, dunque, la premessa indispensabile affinchè la previsione della perentorietà del termine, di cui alla legge regionale impugnata, produca gli effetti voluti in termini di trasparenza, di certezza dei rapporti e di buon andamento che la giustifica no.

 

5. - La censura è invece fondata per la parte in cui la norma denunziata imputa all'ente locale le conseguenze dovute ai ritardi del servizio postale, stabilendo che, come rileva l'ordinanza di rimessione, le delibere, entro i termini perentori previsti dalla disposizione, che accomuna in un'unica previsione normativa anche l'ipotesi delle delibere immediatamente eseguibili, debbano pervenire all'organo di controllo anzichè, come appare ragionevole, essere ad esso spedite.

 

La disposizione impugnata, sotto tale aspetto, è difatti priva di giustificazione, facendo irragionevolmente discendere conseguenze negative per l'ente locale da comportamenti di uffici esterni, come quelli postali, e quindi non controllabili dall'ente stesso. Essa è perciò costituzionalmente illegittima in riferimento all'art. 3 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

Dichiara l'illegittimità costituzionale dell'art. 8, primo comma, della legge della Regione Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12 (Disciplina del controllo sugli atti degli enti locali in Lombardia, norme per il funzionamento dell'organo regionale di controllo e modifica dell'art. 17 della legge regionale 1° agosto 1979, n. 42) nel testo modificato dall'art.4 della legge della Regione Lombardia 20 marzo 1990, n. 16, nella parte in cui dispone che gli atti soggetti a controllo devono pervenire all'ufficio dell'organo di controllo entro i termini perentori previsti, anzichè essere spediti da parte dell'ente controllato entro tali termini;

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.8, primo comma, della legge della Regione Lombardia 8 febbraio 1982, n. 12, come modificato dall'art.4 della legge della Regione Lombardia 20 marzo 1990, n. 16, sollevata, in riferimento agli articoli 117, 128 e 130 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale della Lombardia, con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 28/07/93.