Ordinanza n. 337 del 1993

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ORDINANZA N. 337

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

ORDINANZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), promosso con ordinanza emessa il 19 marzo-25 giugno 1992 dal T.A.R. per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara sul ricorso proposto da Antonarelli Michele contro la U.L.S.S. n. 15 di Vasto, iscritta al n. 88 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.11, prima serie speciale, dell'anno 1993.

 

Visti l'atto di costituzione della U.L.S.S. n. 15 di Vasto nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 23 giugno 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni.

 

Ritenuto che, nel corso di un giudizio promosso dal dott. Michele Antonarelli, aiuto ortopedico, contro la U.S.L. di Vasto per ottenere la differenza di trattamento economico spettantegli in ragione delle mansioni superiori di primario svolte dal 30 giugno 1986 fino al 29 novembre 1988, il T.A.R. per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara, con ordinanza in data 19 marzo-25 giugno 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 15 febbraio 1993), ha sollevato, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, 36, 97 e 98 Cost., questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n. 761, "quale risulta essere a seguito della sua integrazione con l'art. 36 Cost. e 2126 cod. civ." secondo l'interpretazione delineata da questa Corte con l'ord. n. 908 del 1988 e le successive sentenze nn. 57 del 1989 e 296 del 1990;

 

che, ad avviso del giudice remittente, la disposizione in esame, così interpretata, contrasta:

 

a) col principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) e col diritto al lavoro garantito dall'art. 4 Cost, perchè rende possibili arbitrari favoritismi che determinano situazioni di privilegio per alcuni, mediante assegnazione di fatto a mansioni superiori, e impediscono agli altri di concorrere a svolgere le stesse mansioni in condizioni di parità;

 

b) con l'art. 32 Cost., perchè il diritto fondamentale alla salute esige che alle mansioni sanitarie siano adibiti soggetti dotati di adeguata capacità professionale; c) con l'art. 36 Cost., in quanto applica il criterio di proporzionalità alla quantità e qualità del lavoro prestato indipendentemente dal presupposto della "verificata sussistenza nel dipendente delle capacità proprie della qualifica superiore"; d) con l'art.97 Cost., perchè "il buon andamento e l'imparzialità degli uffici pubblici sarebbero vanificati dall'indiscriminata applicazione del principio dell'art. 2126 cod. civ."; e) con l'art. 98 Cost., perchè "il dipendente non sarebbe più al servizio esclusivo della Nazione, ma si servirebbe del posto pubblico per personali fini di carriera";

 

che nel giudizio davanti alla Corte si è costituita la U.S.L. di Vasto chiedendo una declaratoria di illegittimità costituzionale della norma de qua nei limiti indicati nell'ordinanza di rimessione;

 

che è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata manifestamente inammissibile o infondata.

 

Considerato che l'interpretazione dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. n.761 del 1979, elaborata dalle sentenze sopra citate e accolta da una serie di decisioni dell'Adunanza plenaria del Consiglio di Stato (n. 2 del 1991, nn. 1, 2, 5 del 1992), si è consolidata nella giurisprudenza amministrativa;

 

che essa si fonda su alcuni punti fermi della giurisprudenza di questa Corte, fissati dalla sentenza n. 236 del 1992 ed ora sanciti dall'art. 57 del d.P.R. 3 febbraio 1993, n. 29, in attuazione dell'art. 2, lett. n), della legge di delega legislativa 23 ottobre 1992, n. 421, e precisamente: a) nell'ambito normativo dell'art. 36 Cost. sono compresi anche i rapporti di pubblico impiego;

 

b) l'art. 97 Cost. non è incompatibile col riconoscimento all'impiegato trasferito temporaneamente a mansioni superiori del diritto al trattamento economico corrispondente per il periodo di assegnazione alle medesime, ma giustifica, unitamente all'art.98, primo comma, Cost., talune limitazioni di questo diritto;

 

c) l'art. 98 Cost. è incompatibile soltanto con l'integrazione nella disciplina del pubblico impiego della regola privatistica (art. 2103 cod.civ.) di automatica acquisizione della qualifica superiore quando l'assegnazione si prolunghi oltre un certo periodo di tempo; d) l'accertamento della capacità professionale mediante procedure concorsuali o altri modi formali previsti dalla legge è un presupposto costitutivo dell'inquadramento del dipendente nella corrispondente qualifica funzionale, non un indice della qualità del lavoro prestato necessario per l'applicabilità dell'art. 36 Cost., nè a tal fine è indispensabile un provvedimento formale di conferimento dell'incarico: in virtù dell'art.2126 cod. civ., applicabile anche ai prestatori di lavoro dipendenti da enti pubblici (art. 2129 cod.civ.), per far valere il diritto di cui sub b) è sufficiente che il dipendente abbia svolto di fatto mansioni superiori alla qualifica in conformità di una direttiva impartitagli, anche informalmente, dal dirigente preposto all'unità organizzativa nella quale il dipendente presta servizio;

 

che la possibilità di abuso del potere di assegnazione temporanea del prestatore di lavoro a mansioni superiori impegna la responsabilità disciplinare e patrimoniale del dirigente preposto alla gestione dell'organizzazione del lavoro (ed eventualmente anche la responsabilità penale ove si concretasse in un abuso d'ufficio per recare ad altri un vantaggio, nel qual caso si prospetterebbe pure il limite di applicabilità previsto dall'art. 2126 cod.civ. qualora emergesse un disegno illecito di cui fosse partecipe lo stesso lavoratore), ma non fornisce alcun argomento per censurare la norma in esame come lesiva del principio di eguaglianza, del diritto al lavoro, del diritto alla salute, dei principi di buon andamento e di imparzialità dell'amministrazione e ancora del principio che impone ai pubblici impiegati di operare al servizio esclusivo della Nazione.

 

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 29, secondo comma, del d.P.R. 20 dicembre 1979, n.761 (Stato giuridico del personale delle unità sanitarie locali), sollevata, in riferimento agli artt. 3, 4, 32, 36, 97 e 98 della Costituzione, dal Tribunale amministrativo regionale per l'Abruzzo - Sezione distaccata di Pescara con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 07/07/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Luigi MENGONI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 23/07/93.