Sentenza n. 318 del 1993

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SENTENZA N. 318

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985- 1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure), promosso con ordinanza emessa il 18 gennaio 1993 dal Pretore di Modena, nel procedimento civile vertente tra Masetti Mauro e l'Azienda Trasporti Consorziali di Modena, iscritta al n. 117 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 13, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione di Masetti Mauro e dell'Azienda Trasporti Consorziali di Modena;

udito nell'udienza pubblica del 22 giugno 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

uditi l'avv. Roberto Muggia per Masetti Mauro e l'avv. Mario Ghezzi per l'Azienda Trasporti Consorziali di Modena.

Ritenuto in fatto

l.- Con ordinanza del 18 gennaio 1993 (r.o. n. 117 del 1993), il Pretore di Modena ha sollevato, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge 12 luglio 1988 n. 270, che consente alle aziende esercenti pubblici servizi di trasporto di disporre il prepensionamento obbligatorio, secondo programmi di esodo quinquennali, dei lavoratori che entro il 20 giugno 1986 siano stati dichiarati inidonei rispetto alle mansioni proprie della qualifica di provenienza e che abbiano maturato - o maturino nel quinquennio - almeno quindici anni di effettiva contribuzione al Fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto.

Dall'ambito di applicazione di tale norma sono peraltro esclusi - a seguito della pronunzia di parziale illegittimità costituzionale resa dalla Corte con sentenza n. 60 del 1991 - coloro che, pur essendo stati dichiarati inidonei rispetto alle mansioni proprie della qualifica di provenienza, abbiano successivamente svolto e svolgano mansioni ad esse equivalenti o superiori. Secondo il giudice a quo, non sussistono ragionevoli giustificazioni per differenziare la situazione di costoro rispetto a quella di coloro che, pur non essendo stati adibiti a mansioni equivalenti o superiori, sarebbero stati in grado di espletarle per aver riacquistato la capacità di lavoro prima perduta.

Nella fattispecie esaminata dal giudice a quo, il lavoratore - dichiarato prima del 20 giugno 1986 inidoneo alle mansioni proprie della qualifica di provenienza ed adibito quindi a mansioni inferiori - era stato inserito nel programma quinquennale di esodo, ma aveva poi riacquistato l'idoneità alle mansioni originarie e ciò prima della data prevista per la risoluzione del rapporto. Tale fattispecie - si osserva nell'ordinanza di rimessione - non è riconducibile all'ipotesi che la sentenza n. 60 del 1991 aveva escluso dall'ambito di operatività del censurato articolo 3 della legge n. 270 del 1988; ma - si sostiene - non vi è alcuna apprezzabile ragione per differenziare, agli effetti dell'esodo coattivo, chi sia stato in concreto riqualificato (e tale riqualificazione può essere avvenuta anche dopo il 20 giugno 1986 nonchè dopo l'inserimento del lavoratore nel piano quinquennale di esodo) rispetto a chi non sia stato destinato ad esercitare mansioni superiori o equivalenti a quelle proprie della qualifica di provenienza, ma sia in grado di esercitarle in ragione della riacquistata capacità di lavoro.

2.- Nel giudizio davanti a questa Corte entrambe le parti del giudizio a quo si sono costituite ed hanno anche depositato memorie difensive aggiuntive.

Il ricorrente ha illustrato le ragioni della propria adesione all'eccezione sollevata dal Pretore di Modena ed in particolare ha ricordato i principi enunciati dalla Corte, nella più volte menzionata sentenza n. 60 del 1991.

In definitiva, secondo la difesa del ricorrente, la questione di costituzionalità sottoposta al vaglio della Corte si riduce al quesito se sia razionale e legittimo che venga posto in esodo per invalidità un lavoratore che prima della risoluzione del rapporto abbia pienamente recuperato la propria condizione fisica e sia quindi divenuto pienamente idoneo alle mansioni di provenienza.

L'Azienda dei trasporti consorziali di Modena ha invece chiesto che la questione fosse dichiarata non fondata. La situazione degli inidonei riqualificati e quella degli ex inidonei che abbiano riacquistato l'idoneità ma non siano stati riqualificati - assume la difesa dell'Azienda - non sono assimilabili. In tale seconda ipotesi, infatti, non necessariamente sussiste la possibilità di riassegnazione alle mansioni originarie, nè il piano quinquennale - in rapporto al quale si procede a nuove assunzioni - può essere continuamente rivisto alla luce dell'evolvere della capacità di lavoro degli esodati, con conseguente ingestibilità operativa delle aziende. La sentenza n. 60 del 1991 aveva valorizzato non l'astratto recupero di idoneità, bensì il concreto reinserimento nella vita dell'azienda con l'effettivo svolgimento di mansioni corrispondenti al trattamento economico percepito. Non vi è quindi eadem ratio tra le due situazioni, poichè soltanto l'attuale effettiva utilizzazione in mansioni di pari o superiore livello contribuisce a quel riequilibrio organizzativo che rappresenta l'obiettivo della norma denunziata.

3.- Non vi è stato intervento del Presidente del Consiglio dei ministri.

Considerato in diritto

l.- L'articolo 3 della legge 12 luglio 1988 n. 270 stabilisce che le aziende esercenti pubblici servizi di trasporto possono collocare anticipatamente a riposo - in base ad un programma quinquennale di esodo, articolato secondo l'anzianità dei dipendenti interessati e secondo un'omogenea ripartizione annuale dei relativi oneri - i lavoratori iscritti al Fondo di previdenza, che, prima del 20 giugno 1986, siano stati dichiarati inidonei rispetto alle mansioni proprie della qualifica di provenienza e che abbiano maturato o maturino nel quinquennio almeno quindici anni di effettiva contribuzione al Fondo suddetto. Ai dipendenti così collocati a riposo viene attribuita una pensione anticipata, commisurata all'anzianità contributiva già maturata, aumentata del periodo mancante al raggiungimento dei trentasei anni di contribuzione ovvero al raggiungimento del sessantesimo anno di età. La contribuzione relativa a tale anzianità convenzionale - che non può essere superiore a dieci anni - è posta a carico dell'azienda e del lavoratore, secondo le rispettive quote di pertinenza.

Con sentenza n. 60 del 1991, questa Corte ha dichiarato l'illegittimità costituzionale di tale norma, nella parte in cui essa si applicava anche a coloro che, pur essendo stati dichiarati, prima del 20 giugno 1986, non idonei alle mansioni proprie della loro qualifica, avessero poi svolto e svolgessero mansioni diverse, ma equivalenti o superiori rispetto a quelle per le quali erano stati dichiarati inidonei.

Il Pretore di Modena, con l'ordinanza indicata in epigrafe, ritiene che il principio di uguaglianza di cui all'articolo 3 della Costituzione imponga di estendere l'esclusione dall'applicabilità del prepensionamento coattivo in esame anche a coloro che, dichiarati inidonei, prima del 20 giugno 1986, alle mansioni proprie della loro qualifica e quindi adibiti a mansioni inferiori, abbiano successivamente riacquistato - pur dopo l'inserimento nel programma quinquennale di esodo, ma prima della risoluzione del rapporto - una piena idoneità allo svolgimento dell'attività lavorativa originaria, pur non essendo stati riadibiti alle relative mansioni. Di qui la richiesta di un intervento correttivo di questa Corte.

2.- Il giudice a quo ritiene quindi che per l'applicabilità della norma impugnata non sia necessaria la sussistenza di una condizione di attuale inidoneità allo svolgimento delle mansioni proprie della qualifica, ma sia sufficiente che tale inidoneità vi sia stata e sia stata dichiarata prima del 20 giugno 1986.

Tale interpretazione non può essere condivisa e va quindi dichiarata non fondata la questione di legittimità costituzionale che ha in essa il suo presupposto.

L'ambito soggettivo di applicazione dell'articolo 3 della legge n. 270 del 1988, come indicato dalla rubrica della disposizione e dal titolo della legge, è rappresentato dagli inidonei (alle mansioni proprie della loro qualifica) ed il riferimento al fatto che la dichiarazione di inidoneità sia intervenuta in un momento anteriore al 20 giugno 1986 costituisce una delimitazione ulteriore di tale campo di applicazione: la norma riguarda cioé gli inidonei, ma non tutti costoro, bensì solo coloro che siano stati dichiarati tali prima della data suddetta. Coloro che sono inidonei, ma sono stati dichiarati tali successivamente a tale data sono soggetti ad una diversa disciplina: quella menzionata al n. 6 della lettera a) e descritta alla lettera b) dell'accordo 3 luglio 1986, che prevede, ove vi sia disponibilità di posti, il collocamento in un'altra qualifica professionale e, solo per i più anziani, il mantenimento dell'eventuale differenza retributiva come assegno ad personam progressivamente riassorbibile (tale accordo, a seguito della "delegificazione" disposta dall'articolo 1, comma 2, della legge n. 270 del 1988, costituisce fonte normativa prevalente sulle disposizioni contenute nel Regolamento allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931 n. 148 e sulle successive norme di legge modificative, sostitutive o aggiuntive a tale regolamento). Il riferimento alla data del 20 giugno 1986 rappresenta quindi il discrimine per l'applicazione di due diverse discipline, riguardanti entrambe, peraltro, gli inidonei e non coloro che sono stati tali in passato.

Il caso di coloro che, in un qualsiasi momento anteriore al 20 giugno 1986, siano stati dichiarati inidonei alle mansioni proprie della loro qualifica, ma che, in un qualsiasi momento, anteriore o posteriore a tale data, per intervenuta guarigione o miglioramento, abbiano riacquistato il pieno possesso dei requisiti necessari per lo svolgimento di tali mansioni, non è quindi regolato dalla norma in esame. Per costoro, il recupero della specifica capacità lavorativa, determina il potere dell'azienda di destinarli nuovamente alle mansioni proprie della loro qualifica, della quale avevano mantenuto il trattamento economico, pur svolgendo mansioni inferiori. Se l'azienda esercita tale potere, destinando nuovamente il lavoratore alle mansioni origina rie, l'inapplicabilità della norma in esame appare ovvia, nonostante il silenzio di essa su tale ipotesi. Ma anche se, per fatto dell'azienda, tale assegnazione non vi sia stata, la norma impugnata è ugualmente inapplicabile.

Tale interpretazione trova una prima ed importante conferma nel testo dell'accordo già menzionato, al quale la legge n. 270 del 1988 ha espressamente inteso dare attuazione.

Trattandosi di una c.d. "legge contrattata", l'interprete può certamente ricavare dall'accordo che essa recepisce indicazioni decisive per una corretta lettura delle sue disposizioni, ove non vi siano elementi per ritenere che il legislatore abbia inteso discostarsi dalla pattuizione, nè vi siano elementi che, in ragione delle regole generali sull'interpretazione della legge, impongano di dare alla disposizione un altro significato.

Orbene, alla lettera a), punto 3, del citato accordo, la disciplina in esame (relativa al prepensionamento coattivo) è riferita ai "lavoratori considerati inidonei alla stregua del precedente punto 1 e dichiarati tali entro il 20 giugno 1986", dove è chiaro il riferimento congiuntivo ai due elementi: l'inidoneità, intesa come condizione attuale, ed il risalire di essa ad una dichiarazione precedente alla data indicata.

Alla medesima soluzione interpretativa conduce del resto la considerazione della ratio della norma in esame.

Come questa Corte ha rilevato nella citata sentenza n. 60 del 1991 l'accordo collettivo e la legge di ricezione avevano inteso ovviare agli inconvenienti che si erano determinati in conseguenza di diffuse prassi applicative dell'articolo 27 del regolamento del 1931, per le quali numerosi lavoratori, in gran parte addetti al c.d. movimento (autisti, conduttori ecc.), divenuti inidonei, non soltanto conservavano il posto di lavoro e la retribuzione raggiunta, ma mantenevano, pur essendo impiegati in semplici mansioni ausiliarie o di attesa, la dinamica salariale e le competenze accessorie proprie della qualifica di provenienza, con gravi disfunzioni, non solo nella gestione degli organici aziendali, ma anche dello stesso sistema previdenziale.

Per effetto di queste prassi, infatti, si era venuto determinando non solo un accrescimento dei costi ed un eccessivo affollamento di personale addetto alle suddette mansioni ausiliarie o comunque non direttamente produttive, ma anche un depauperamento di personale nelle qualifiche del settore movimento.

E tale depauperamento, direttamente incidente sulla funzionalità del servizio pubblico, non poteva essere ovviato, soprattutto a causa dei divieti e dei limiti alle nuove assunzioni previsti dalla normativa vigente.

É del tutto evidente che il caso del dipendente, dichiarato inidoneo prima del 20 giugno 1986, che abbia successivamente recuperato la propria capacità lavorativa, esula dalla situazione e dai problemi che il legislatore aveva inteso affrontare.

L'azienda può infatti destinare nuovamente tale lavoratore alle mansioni proprie della sua qualifica ed evitare così sia i problemi di costo derivanti da un trattamento retributivo non corrispondente alle mansioni svolte, sia i problemi di carattere organizzativo collegati alle carenze di organico nelle qualifiche operative e all'artificioso sovradimensionamento degli organici nelle posizioni di lavoro meno gravose.

Del resto, nella stessa sentenza n. 60 del 1991, questa Corte ha affermato che "occorre comunque sottolineare che il ricorso alla forma esclusivamente obbligatoria del prepensionamento richiede, per poter incidere legittimamente su interessi costituzionalmente rilevanti e non apparire discriminatorio ed arbitrario, che la misura si prospetti come obiettivamente non sostituibile con soluzioni fondate sul consenso dei singoli interessati e sia determinata da situazioni tali da renderla indispensabile. Tale non è, per i rilievi già svolti, la situazione in esame, sicchè le ora riportate indicazioni di questa Corte costituiscono un ulteriore elemento a conferma dell'interpretazione qui illustrata, essendo canone fondamentale e prioritario quello che, a fronte di più significati possibili di una disposizione, impone di privilegiare quello che non collide con i principi costituzionali.

Il testo della norma, così interpretato, non consente di dare rilievo alla circostanza che il recupero dell'idoneità specifica sia avvenuto e sia stato accertato prima o dopo l'inserimento del lavoratore nel piano quinquennale di esodo. In assenza di elementi normativi che inducano ad una soluzione diversa, vale la regola generale, secondo cui le condizioni di legittimità del recesso debbono sussistere al momento in cui esso è disposto: ne consegue che è sufficiente, perchè il lavoratore sia escluso dall'ambito di applicazione della norma impugnata, che il recupero della sua idoneità sia stato accertato prima della risoluzione del rapporto (così come, del resto, è sufficiente, al medesimo fine, che il lavoratore, prima della risoluzione del rapporto, sia stato assegnato alle mansioni proprie della qualifica ovvero a mansioni ad esse equivalenti o superiori). Nè possono venire in considerazione le pretese disfunzioni amministrative che si collegherebbero alla cancellazione dal piano di esodo di un lavoratore che vi sia stato legittimamente inserito, nè le possibili difficoltà derivanti da una eventuale - ma necessariamente temporanea - indisponibilità di posti vacanti nella qualifica per la quale il lavoratore ha recuperato l'attitudine. Si tratta di profili non solo eterogenei, ma certamente di rilievo molto inferiore rispetto alle esigenze di funzionalità alle quali il legislatore ha ispirato la disciplina in esame e quindi tali da non poter comunque prevalere su interessi costituzionalmente rilevanti, quali la garanzia del diritto al lavoro di cui all'articolo 4 della Costituzione, inteso come diritto a non essere estromesso dal lavoro ingiustamente o irragionevolmente (sentenze nn. 60 del 1991 e 331 del 1988).

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'articolo 3 della legge 12 luglio 1988 n.270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985-1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure) sollevata dal Pretore di Modena con l'ordinanza indicata in epigrafe, in riferimento all'articolo 3 della Costituzione.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/07/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 15/07/93.