Sentenza n. 309 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 309

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Giuseppe BORZELLINO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Lombardia notificato il 7 agosto 1992, depositato in cancelleria il 14 successivo, per conflitto di attribuzione sorto a seguito dell'ordinanza dell'Intendenza di finanza di Milano, prot. n.2/2428/92, con la quale si intima al comune di Milano di lasciare libera da persone e cose l'area demaniale costituente la darsena di Porta Ticinese del Naviglio Grande, ed iscritto al n. 31 del registro conflitti 1992.

 

Visto l'atto di costituzione del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore Gabriele Pescatore;

 

uditi l'avv. Valerio Onida per la Regione Lombardia e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l. La Regione Lombardia, con ricorso 7 agosto 1992, ha impugnato l'ordinanza n. 2/2428/92 dell'Intendenza di finanza di Milano, con la quale è stato intimato a quel comune di lasciare libera da persone e cose l'area costituente la darsena di Porta ticinese del Naviglio Grande.

 

Nel ricorso si espone quanto segue.

 

Il comune di Milano ha in godimento la suddetta darsena in base ad un atto di concessione della Regione Lombardia, trattandosi di un bene del demanio regionale e precisamente un porto per la navigazione interna al servizio del Naviglio Grande, che è linea navigabile di seconda classe. Tale regime giuridico risulta affermato dal decreto del ministro delle finanze 21 dicembre 1984, con il quale sono stati approvati, di concerto con il ministro dei lavori pubblici, gli stati di consistenza relativi al Naviglio di Pavia e Milano ed è stato disposto il formale trasferimento di tutti i beni in essi identificati all'amministrazione regionale.

 

Detto trasferimento trova la sua fonte normativa nell'art.117 della Costituzione e negli artt. 87, 88 e 97 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616. Con le prime due norme del d.P.R. n. 616 sono state disciplinate le competenze regionali e statali in materia di opere pubbliche e, per quanto attiene alle vie navigabili, è stata mantenuta la competenza statale solo per le opere sulle vie navigabili appartenenti alla prima classe (art. 88, primo comma, n. 3),venendo così ad essere attribuita alle regioni quella relativa alle vie navigabili di seconda classe, nella quale rientra il Naviglio Grande di Milano. Con l'art. 97, poi, sono state trasferite alle regioni le funzioni amministrative concernenti la navigazione lacuale, fluviale, lagunare e sui canali navigabili e le idrovie, nonchè - espressamente - "la potestà di rilasciare concessioni per l'occupazione e l'uso di aree e altri beni nelle zone portuali".

 

Ne deriva - secondo la regione - che, appartenendo detta darsena al demanio regionale, è inibito allo Stato (e per esso all'Intendente di finanza di Milano), di compiere qualsiasi attività di tutela amministrativa del bene, per di più nei confronti di un soggetto che ne ha il possesso in base ad un atto di concessione emanato dalla regione.

 

La regione ricorrente ha chiesto, pertanto, che questa Corte dichiari che "non spetta allo Stato, e per esso all'Intendenza di finanza di Milano, di adottare ordinanze di sgombero delle aree della darsena di Porta ticinese in Milano", annullando conseguentemente l'atto impugnato.

 

2. Dinanzi a questa Corte si è costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, chiedendo che il ricorso sia dichiarato inammissibile o infondato.

 

Nell'imminenza dell'udienza l'Avvocatura generale dello Stato ha depositato due memorie.

 

Nella prima (depositata il 17 novembre) si eccepisce che il ricorso è inammissibile, innanzitutto in quanto la controversia verte su una "reivindicatio" e non su una "vindicatio potestatis", come sarebbe confermato dalla circostanza che l'atto, occasione del conflitto, è indirizzato non alla regione ricorrente ma ad un soggetto terzo (il comune di Milano). La controversia, pertanto, sarebbe di competenza del giudice ordinario.

 

Per quanto concerne i fatti, l'Avvocatura dello Stato ha esposto quanto segue, a sostegno di una seconda eccezione d'inammissibilità.

 

L'area in questione, nel 1971 era stata concessa alla società Olona Prima per la costruzione di un autosilo con soprastante stazione di servizio.

 

Cessata quella concessione nel 1983, l'area era stata richiesta all'Intendenza di finanza di Milano dal comune di quella città, in vista di una destinazione a "zona attrezzata" al servizio di un ipotizzato servizio di navigazione da istituirsi sul vicino Naviglio Grande; iniziativa, questa, che incontrò l'opposizione della Regione Lombardia, la quale con note del 26 marzo e 15 maggio 1984, espresse il timore di pregiudizi alla funzionalità irrigua del predetto Naviglio e quindi alla produttività agricola dei terreni irrigati da acque da esso prelevate. In conseguenza di ciò, l'Intendenza di finanza revocava con nota 24 novembre 1984, n. 10090 la concessione che aveva dato al comune con nota 1° marzo 1984 n. 1363 e richiedeva la riconsegna dell'area.

 

Con successiva nota 24 giugno 1985 n. 1938 indirizzata all'intendenza di finanza predetta, la Regione Lombardia asseriva di considerare inefficaci sia la concessione sia la revoca di essa, in quanto l'area "de qua" - a suo dire - avrebbe fatto parte di un porto fluviale e quindi, ai sensi dell'art.97 del d.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, del demanio regionale.

 

Durante i successivi sette anni circa, il comune ometteva di effettuare la riconsegna dell'area, cosicchè l'Intendenza di finanza adottava l'ordinanza ora impugnata, confermativa della nota 24 novembre 1984 sopra citata.

 

Da tale esposizione dei fatti discenderebbe che, ove la controversia de qua possa formare oggetto di un conflitto tra Stato e Regioni, il ricorso avrebbe dovuto essere proposto nel 1984, contro il primo atto lesivo della competenza regionale, mentre non potrebbe essere proposto contro l'atto impugnato, confermativo di esso.

 

Quanto al merito si contesta che il Naviglio Grande di Milano rientri tra le vie navigabili di seconda classe: nel primo comma dell'articolo unico della l. 1 agosto 1978, n. 450 è statuito che "il Naviglio di Pavia, dalla darsena di Porta ticinese sino allo sbocco nel fiume Ticino ... cessa di far parte delle linee navigabili".

 

Nella seconda memoria (depositata il 18 novembre) l'Avvocatura generale dello Stato afferma di aver chiarito che il Naviglio di Pavia - distinto dal Naviglio Grande - ha inizio a Milano all'imboccatura del Ponte del Trofeo (a valle della darsena di Porta ticinese). Le vicende (cancellazione dall'elenco delle linee navigabili e trasferimento alla regione) del Naviglio di Pavia non avrebbero, quindi, nessuna rilevanza rispetto all'area in questione.

 

Nella memoria si deduce che i navigli lombardi (oltre al "Grande" e "di Pavia", vi sono anche quelli "di Bereguardo", "della Martesana" e la Fossa interna di Milano) - con la rete di canali Cavour e con altri canali - sono da decenni denomina ti "canali demaniali" e sono manufatti artificiali, anche di cospicue dimensioni e portata, nei quali sono convogliate acque pubbliche da fiumi ed altri corsi idrici naturali.

 

I canali appartenenti allo Stato e denominati dapprima "patrimoniali" e poi "demaniali" sono stati distinti in canali navigabili o "navigli", dall'art.2 del regolamento approvato con r.d. 9 febbraio 1893, n. 166 e affidati all'amministrazione dei lavori pubblici; canali "le cui acque vengono esclusivamente destinate ad irrigazione o a forza motrice", amministrati dal ministero delle finanze; canali a scopo di bonifica, curati dall'amministrazione dell'agricoltura.

 

Nella memoria si sottolinea che l'attribuzione alle regioni di una determinata materia e il passaggio delle relative funzioni amministrative non comportano, di per sè, l'assegnazione in proprietà alle regioni dei beni che si pongono come strumentali rispetto all'esercizio delle competenze regionali. Pertanto, i beni compresi nel demanio idrico e in quello marittimo continuano a formare oggetto di proprietà pubblica dello Stato.

 

Questo "regime di appartenenza" comporta, a livello di legislazione, che allo Stato è riservata la competenza a disciplinare il regime dominicale e l'utilizzazione di tali beni, con il solo limite dato dai settori di attività (lavori pubblici, navigazione e pesca nelle acque interne, tutela ambientale) trasferiti alle regioni, e, a livello di amministrazione, che allo Stato rimangono, oltre alla legittimazione ad esercitare la tutela dominicale, tutte le funzioni amministrative non assegnate esplicitamente (e tassativamente) alle regioni o agli enti locali.

 

Nella memoria si afferma ancora che il manufatto canale è "res" ontologicamente e giuridicamente distinto dalla eventuale (se esistente) "zona portuale della navigazione interna" (artt. 56 e segg. cod. navigazione). Tra il canale che sia anche classificato tra le "vie navigabili" e l'anzidetta "zona portuale" può aversi un "collegamento" (art. 59 cod. nav.); ma tra le due entità v'è distinzione ed agli atti manca ogni prova di un vincolo pertinenziale tra il canale e l'area in questione. Inoltre la nozione di "porti lacuali e di navigazione interna" rinvenibile nell'art. 97 del d.P.R. n. 616 del 1977 è nozione relativamente nuova. In passato detti porti non avevano avuto, almeno in Italia, autonoma identificazione e disciplina, ed erano considerati parti del demanio idrico ("necessario" se collegati a laghi o fiumi, "accidentale" se collegati a canali artificiali), sicchè, le disposizioni che hanno trasferito alle regioni i porti richiedono una normativa definitiva - che ancora è mancata - per la delimitazione "fisica" di detti beni, tanto più che le sponde e le spiagge sono rimaste nel demanio idrico necessario appartenente allo Stato.

 

In una situazione tanto incerta in fatto e complessa in diritto, secondo l'Avvocatura dello Stato resterebbe indimostrata ed apodittica la affermazione della "demanialità regionale del bene in questione", nel presupposto della quale è stato sollevato il conflitto.

 

3. L'Avvocatura generale dello Stato, in data 9 marzo 1993, ha depositato un'ulteriore memoria ed una planimetria, rilevando che da questa risulta che l'area controversa è sita ormai in una zona centrale di Milano, "esterna rispetto al fiume Olona ed al Naviglio Grande", cosicchè non costituirebbe più "pertinenza del corso d'acqua" e non farebbe parte di una zona portuale.

 

La Regione Lombardia ha depositato, a sua volta, una memoria in data 11 maggio 1993, contestando la fondatezza dell'eccezione d'inammissibilità del conflitto, per avere esso ad oggetto una vindicatio rei. Secondo quanto da essa sostenuto "l'affermazione dell'appartenenza della darsena di Porta ticinese al demanio regionale" - contestata dallo Stato - sarebbe solo la premessa di fatto della rivendicazione di un potere regionale e non l'oggetto del giudizio.

 

Quanto all'eccezione d'inammissibilità basata sulla asserita natura meramente confermativa dell'atto impugnato, rispetto alla revoca della concessione al comune di Milano con nota dell'intendente di finanza in data 24 novembre 1984, la regione contesta tale carattere e sottolinea che l'atto era indirizzato al comune e non vi è prova che essa ne abbia avuto conoscenza.

 

Quanto al merito, la regione deduce che l'attuale collocazione dell'area in contestazione all'interno della zona urbana di Milano, non ha alcuna influenza sul suo regime giuridico e, del resto, non viene addotta l'esistenza di alcun provvedimento di sdemanializzazione.

 

Considerato in diritto

 

l. Va premesso che il conflitto di attribuzione trae origine dall'impugnativa - da parte della Regione Lombardia - dell'ordinanza n.2/2428/92, emanata dall'Intendenza di finanza di Milano, con la quale è stato intimato a quel comune di lasciare libera la darsena di Porta ticinese del Naviglio Grande, in quanto area appartenente al demanio dello Stato.

 

La regione ricorrente ha contestato detta titolarità del bene, rivendicandone l'appartenenza al demanio regionale, sulla base di molteplici considerazioni giuridiche, fondate essenzialmente sull'affermazione di proprie competenze amministrative in ordine al Naviglio in questione, in relazione alle quali la darsena controversa sarebbe stata trasferita al proprio demanio. In particolare, la regione ha dedotto che il Naviglio Grande è un canale navigabile di seconda classe, per cui, a norma dell'art.88, primo comma, n.3 del d.P.R. n. 616 del 1977, le opere pubbliche che lo riguardano sono di competenza regionale; così come, a norma dell'art. 97 del predetto d.P.R. n. 616 sono di competenza regionale le funzioni amministrative concernenti la navigazione lacuale, fluviale, lagunare e sui canali navigabili ed idrovie. In relazione a dette competenze, la darsena di Porta ticinese sarebbe stata trasferita al demanio regionale con d.m. 21 dicembre 1984, pubblicato sulla Gazzetta ufficiale n. 117 del 20 maggio 1985. Appartenendo l'anzidetta darsena a tale demanio, la regione ha dedotto di averla data in uso, con proprio provvedimento concessorio, al comune di Milano.

 

Lo Stato, costituitosi in persona del Presi dente del Consiglio dei ministri, contesta l'appartenenza del bene al demanio regionale, rivendicandolo al proprio e deducendo che l'atto impugnato è esplicazione di un potere di polizia amministrativa, connesso con il carattere demaniale statale del bene controverso.

 

Ad avvalorare l'incidenza di tale carattere ha dedotto di avere già emanato, nel 1983 e nel 1984, provvedimenti di concessione dell'area in discorso, revocando il secondo di essi in data 24 novembre 1984, proprio ad istanza della Regione Lombardia. Inoltre ha contestato che il trasferimento alle regioni di funzioni amministrative in ordine a fiumi e canali implichi l'automatico trasferimento di beni del demanio statale a quello regionale, negando altresì che il trasferimento della darsena controversa sia stato operato dal d.m. 21 dicembre 1984, il quale non si riferirebbe affatto al Naviglio Grande, sul quale la darsena è situata.

 

Sulla base di tali premesse ha chiesto che il ricorso sia dichiarato inammissibile, avendo ad oggetto una vindicatio rei e non una vindicatio potestatis e perchè - ove così non si ritenesse - avrebbe per oggetto un atto confermativo di quello emanato dall'Intendenza di finanza nel 1984, non impugnato dalla regione.

 

2. La prima di tali eccezioni va accolta e il ricorso dichiarato inammissibile.

 

Questa Corte, sin dalla sentenza n. 111 del 1976, ha affermato che esula dalla materia dei conflitti di attribuzione fra Stato e regioni, demandata alla propria cognizione dall'art. 134 della Costituzione e dagli artt. 39- 41 della legge 11 marzo 1953, n. 87, la vindicatio rei da parte di uno di detti enti nei confronti dell'altro. Nella decisione ora ricordata nonchè in altre successive (n. 61 del 1979; n. 39 e n. 223 del 1984) è stato precisato che il conflitto di attribuzione ha per oggetto la tutela di una sfera di competenza assegnata dalla Costituzione allo Stato o ad una regione (art. 39, primo comma, l. n. 87 del 1953 cit.) e presuppone che si deduca la violazione di una norma di rango costituzionale, la quale garantisca al ricorrente la competenza di cui si fa questione.

 

Isolata, in questo sicuro indirizzo, rimane la sentenza 8 ottobre 1991, n.383 la quale, in riferimento specifico alla fattispecie sottoposta ad esame (esercizio di poteri inerenti a bene già dismesso dal demanio dello Stato: casermetta militare), ha identificato in ogni caso il conflitto circa la titolarità del potere con quello relativo all'appartenenza del bene.

 

Nel quadro ora delineato dalla giurisprudenza costituzionale, la Corte di cassazione ha ritenuto, a sua volta, che, quando la controversia tra Stato e regione ha per oggetto la revindica di beni che l'uno e l'altro ente asseriscono appartenenti al proprio demanio, la cognizione della controversia stessa è di competenza del giudice ordinario.

 

Nel caso di specie, l'oggetto e lo svolgimento (dei motivi) del ricorso e delle memorie, con riferimento alle considerazioni svolte nelle premesse dell'atto impugnato, sviluppano una contestazione che ha per oggetto effettivo l'accertamento dell'appartenenza dell'area della darsena di Porta ticinese allo Stato o alla regione: nè la ricorrente Regione Lombardia, nè lo Stato contestano, infatti, che il potere di disporne spetti al titolare del bene, ma ne affermano la propria appartenenza, sulla base di titoli e valutazioni di essi, che attengono all'esistenza di un rapporto di carattere reale su detto bene.

 

Tale rapporto va definito in primo luogo sulla base di elementi di fatto, essendo in discussione la stessa localizzazione del bene; in secondo luogo, con riferimento a norme relative alla costituzione del titolo e agli atti di (asserito) trasferimento del bene stesso dallo Stato alla regione. Tali norme si configurano, quindi, come attributive di beni e non di potestà; esse, poi, non hanno rango costituzionale.

 

Non altera i termini di questa impostazione la circostanza, sulla quale ha insistito la difesa della regione nella discussione orale, della qualificazione di tutto o parte dell'area, di cui si discute, come zona portuale della navigazione interna. Si tratterebbe pur sempre di bene pubblico appartenente al demanio idrico, destinato all'approdo di mezzi nautici, la cui delimitazione è intesa a segnare i confini con aree appartenenti ad altra specie di demanio ed a stabilire la titolarità del bene in capo al soggetto pubblico ad essa preposto. Rimane, quindi, fermo l'oggetto - che caratterizza l'attuale giudizio - concernente la delimitazione del bene e l'individuazione del titolare di esso.

 

Va dichiarata, pertanto, l'inammissibilità del ricorso.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara inammissibile il ricorso per conflitto di attribuzione proposto dalla Regione Lombardia in relazione all'ordinanza n. 2/2428/92 dell'Intendenza di finanza di Milano.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 11/06/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Gabriele PESCATORE, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 09/07/93.