Sentenza n. 285 del 1993

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SENTENZA N. 285

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Prof. Giuseppe BORZELLINO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, del d.P.R.27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 2 dicembre 1992 dal Pretore di Frosinone nei procedimenti civili riuniti vertenti tra Bracaglia Paolo ed altra e l'I.N.P.S., iscritta al n. 53 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 8, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visti gli atti di costituzione di Bracaglia Paolo ed altra nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 25 maggio 1993 il Giudice relatore Luigi Mengoni;

uditi gli avvocati Massimo D'Antona per Bracaglia Paolo ed altra, Giuseppe Pansarella per l'I.N.P.S. e l'Avvocato dello Stato Oscar Fiumara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. Nel corso di due giudizi civili riuniti promossi da Paolo Bracaglia e Anna Rita Sabellico davanti al giudice del lavoro contro l'INPS per ottenere - previo accertamento della responsabilità dello Stato italiano per mancata tempestiva attuazione della direttiva CEE n. 80/987 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro - la condanna dell'INPS al pagamento dell'indennità prevista dall'art. 2, comma 7, del d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 80, il Pretore di Frosinone, con ordinanza del 2 dicembre 1992, ha sollevato questione di legittimità costituzionale della norma citata, per contrasto con l'art. 76 Cost.

Il decreto legislativo n. 80 del 1992, che ha attuato la direttiva comunitaria n. 987 del 1980, è stato emanato in base alla delega conferita al Governo dall'art. 48 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990). Essendo intervenuta, nel corso del termine della delega, la sentenza della Corte di giustizia delle Comunità europee 19 novembre 1991 (cause riunite C-6/90 e C- 9/90), la quale - sul presupposto dell'inidoneità della citata direttiva ad essere fatta valere immediatamente dagli interessati dinanzi ai giudici nazionali in mancanza di provvedimenti di attuazione - ha dichiarato la responsabilità dello Stato italiano per i danni derivati ai singoli dalla mancata adozione di tali provvedimenti entro il termine prescritto (scaduto il 23 ottobre 1983), l'art. 2, comma 7, della legge delegata ha previsto una regola speciale per la determinazione del danno, che viene commisurato alla prestazione corrisposta nel sistema a regime dal Fondo di garanzia istituito dalla legge 29 maggio 1982, n. 297, e un'altra regola speciale che assoggetta l'azione per ottenere l'indennità risarcitoria al termine di decadenza di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto.

Il giudice remittente premette che, trattandosi di un'azione di risarcimento danni a carattere speciale, come tale estranea a quelle previste dall'art.442 cod.proc.civ., la controversia non appartiene alla competenza funzionale del pretore in qualità di giudice del lavoro, dalla quale, del resto, esulerebbe anche se la norma denunciata fosse espunta dall'ordinamento. Ciò nondimeno egli ritiene rilevante la formulata questione di costituzionalità in ragione dell'interesse oggettivo della giustizia a evitare l'applicazione di norme incostituzionali.

La norma impugnata sarebbe contrastante con l'art. 76 Cost. sotto un duplice profilo:

a)perchè l'art. 48 della legge-delega n. 428 del 1990, "nell'elencare partitamente i principi e criteri direttivi cui il governo si sarebbe dovuto attenere, non prevede nulla circa il risarcimento del danno per la mancata attuazione della direttiva";

b) perchè, in violazione del criterio generale enunciato nell'art. 2, lett. f) della legge-delega, mancherebbe la piena conformità alle prescrizioni di cui al punto 43 della sentenza della Corte comunitaria, la disciplina della legge delegata essendo "palesemente meno favorevole rispetto a procedure analoghe, cioé rispetto sia alla procedura ordinaria per ottenere l'intervento del Fondo di garanzia nell'ipotesi di insolvenza del datore di lavoro, sia all'ordinario risarcimento del danno", e tale anche da rendere "eccessivamente difficile il concreto risarcimento", sia imponendo una misura mas sima sia assoggettando l'azione a un termine di decadenza.

2. Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituite le parti private concludendo con le seguenti richieste:

a) sollevare in via pregiudiziale davanti alla Corte di giustizia delle Comunità europee, ai sensi dell'art. 177 del trattato istitutivo, la questione se lo Stato membro inadempiente a una direttiva comunitaria, nel momento in cui emana disposizioni in materia, debba rispettare la parità di trattamento tra i cittadini che, dopo l'adeguamento dell'ordinamento interno, possono avvalersi del diritto attribuito dalla direttiva e i cittadini che, non avendo potuto farlo valere nel tempo in cui lo Stato è rimasto inadempiente, hanno titolo soltanto al risarcimento del danno;

b) in ogni caso dichiarare l'illegittimità costituzionale dell'art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 80 del 1992, in riferimento all'art. 76 Cost., nella parte in cui, imponendo al cittadino danneggiato dall'inadempienza dello Stato italiano la promozione di un'azione civile nei confronti del medesimo nel termine decadenziale di un anno dall'emanazione del decreto, e contemporaneamente assoggettando l'ammontare del risarcimento agli stessi limiti che valgono per l'analoga prestazione che oggi può essere ottenuta a domanda dal Fondo di garanzia gestito dall'INPS, stabilisce un regime risarcitorio a carattere speciale meno favorevole per il cittadino, in violazione del criterio di pieno adeguamento al diritto comunitario prescritto dall'art. 2, lett. f), della legge-delega n. 428 del 1990;

c) in subordine, dichiarare infondata la questione con una sentenza interpretativa della norma denunciata nel senso che l'indennità risarcitoria è regolata, quanto ai "termini, alle misure e alle modalità" in modo del tutto identico all'analoga prestazione che può essere ora domandata al Fondo di garanzia, interpretazione che comporterebbe la legittimazione passiva dell'INPS e la competenza funzionale del pretore in veste di giudice del lavoro.

3. Si è pure costituito l'INPS contestando in linea principale la detta interpretazione che attribuisce la legittimazione passiva ad esso INPS, anzichè allo Stato. In ogni caso l'Istituto ritiene non fondate le censure di violazione della delega formulate nell'ordinanza di rimessione.

L'indennità prevista dalla norma impugnata è pari all'entità del pregiudizio subito dal lavoratore per la mancata attuazione della direttiva, e il regime di decadenza previsto per l'azione risarcitoria è giustificato dalla necessità dello Stato di definire entro termini certi situazioni relative a periodi pregressi.

4. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o comunque infondata.

Inammissibile perchè il giudice remittente si dichiara in limine incompetente funzionalmente e rileva che l'incompetenza discenderebbe non solo dall'applicazione della norma, ma anche dalla sua disapplicazione.

Infondata perchè, qualunque opinione si segua circa la natura dell'indennità (forma di risarcimento del danno o forma di previdenza dei lavoratori), in ogni caso il dubbio circa la conformità alla delega legislativa deve essere risolto nel senso che la norma delegata si pone come norma di piena attuazione della direttiva comunitaria, o direttamente estendendo la tutela previdenziale in essa prevista anche alle situazioni già maturate o disponendo un risarcimento commisurato alla prestazione previdenziale, e differenziandosi solo in relazione all'obiettiva diversità, sotto il profilo temporale, delle situazioni.

Considerato in diritto

l. Il Pretore di Frosinone impugna, reputandolo in contrasto con l'art. 76 Cost., l'art. 2, comma 7, del d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 80, emanato in base alla delega legislativa prevista dall'art. 48 della legge 29 dicembre 1990, n. 428 (legge comunitaria per il 1990), ai fini dell'attuazione della direttiva del Consiglio CEE n. 987 del 1980 in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro.

I primi sei commi del citato art. 2 attuano la direttiva comunitaria, con efficacia dalla data di entrata in vigore del decreto (c.d. sistema a regime), addossando al Fondo di garanzia istituito presso l'INPS dall'art. 2 della legge 29 maggio 1982, n.297, l'obbligo di pagare anche i crediti di lavoro, diversi dal trattamento di fine rapporto, inerenti agli ultimi tre mesi del rapporto di lavoro compresi nei dodici mesi anteriori a una certa data (comma 1), col limite massimo (comma 2) dell'importo di tre volte la misura più elevata del trattamento straordinario di integrazione salariale mensile (limite autorizzato dall'art. 4 della direttiva) e con divieto di cumulo con le prestazioni retributive o previdenziali indicate nel comma 4.

L'ultimo comma concerne i lavoratori che non hanno potuto avvalersi del diritto attribuito dalla direttiva, in quanto dipendenti da imprese assoggettate a una procedura concorsuale o di amministrazione straordinaria anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto. In conseguenza della decisione 19 novembre 1991 della Corte di giustizia delle Comunità europee (caso Francovich), che ha dichiarato lo Stato italiano responsabile dei danni derivati ai singoli dalla mancata attuazione della direttiva, la norma impugnata dispone: "per la determinazione dell'indennità eventualmente spettante, in relazione alle procedure di cui all'art. 1, comma 1, per il danno derivante dalla mancata attuazione della direttiva CEE 80/987, trovano applicazione i termini, le misure e le modalità di cui ai commi 1, 2 e 4. L'azione va promossa entro un anno dalla data di entrata in vigore del presente decreto".

La disposizione è denunciata per eccesso di delega e comunque per violazione dei criteri direttivi.

2. L'Avvocatura dello Stato eccepisce in limine l'inammissibilità della questione, "considerato che il giudice remittente si dichiara incompetente funzionalmente e rileva che l'incompetenza discenderebbe non solo dall'applicazione della norma, ma anche dalla sua disapplicazione".

L'eccezione non può essere accolta.

Il pretore remittente non precisa se il "giudice ordinario", da lui ritenuto competente, sia lo stesso pretore, in ragione del valore della causa (nel qual caso non si tratterebbe di una questione di competenza, ma di solo rito: art. 427 cod. civ.), oppure il tribunale. Ma in ogni caso la premessa da cui muove non è sufficiente per fondare il giudizio di estraneità della controversia alla competenza funzionale del giudice del lavoro.

La Corte condivide l'interpretazione dell'art. 2, comma 7, nel senso che soggetto passivo del diritto all'indennizzo ivi previsto è l'INPS. La norma quantifica la responsabilità risarcitoria imposta allo Stato-ordinamento dalla sentenza della Corte di giustizia, ma in pari tempo costituisce la relativa obbligazione non in capo allo Stato- persona, ma a uno degli enti pubblici in cui si articola l'apparato dell'amministrazione in diretta statale. La legittimazione passiva dell'INPS si argomenta dalla lettera dell'art.4 del decreto, che pone "a carico del Fondo di garanzia di cui alla legge n.297 del 1982" gli "oneri derivanti dall'applicazione degli artt. 1, 2 e 3", e dunque - dato il riferimento all'intero art. 2 - anche dall'applicazione dell'art. 2, comma 7.

L'argomento letterale è corroborato da un argomento logico: il rinvio del comma 7 al comma 2, per cui il risarcimento viene ragguagliato forfettariamente all'ammontare della prestazione previdenziale che spetterebbe nel sistema a regime, e quindi assoggettato al medesimo limite massimo, si spiega e si giustifica appunto in correlazione all'accollo dell'onere finanziario al Fondo di garanzia finanziato con contributi a carico dei datori di lavoro.

Il rinvio ai commi 1, 2 e 4 non è un indice di omogeneità di natura dell'indennità attribuita dall'ultimo comma dell'art. 2 con la prestazione del Fondo regolata dalle norme richiamate, ma ha soltanto la funzione di indicare il parametro "per la determinazione dell'indennità", la quale spetta a titolo di risarcimento del danno. La diversità di natura dà ragione del mancato richiamo del comma 5 per la parte attinente agli interessi e alla svalutazione monetaria. Giustamente, pertanto, il giudice a quo nega l'appartenenza delle relative controversie a quelle previste dall'art. 442 cod.proc. civ. Ma ciò non basta per escludere la competenza funzionale del giudice del lavoro. Dato il nesso di derivazione (mediata) del diritto all'indennità da un pregresso rapporto di lavoro, occorre esaminare se tali controversie siano annoverabili nella categoria delle controversie di lavoro, di cui all'art. 409, n. 1, cod.proc.civ., e quindi rientrino a questo titolo nella competenza del giudice del lavoro.

Secondo la giurisprudenza della Corte di cassazione, "per controversie 'relative a rapporti di lavoro subordinatò devono intendersi non soltanto quelle inerenti alle due obbligazioni principali e reciproche che caratterizzano il rapporto di lavoro e ai poteri e doveri di varia natura che gravitano attorno ad esse, ma ogni controversia in cui la pretesa fatta valere in giudizio si ricolleghi direttamente al detto rapporto.

Tale collegamento, a sua volta, deve ravvisarsi ogni qual volta il rapporto di lavoro intercorrente tra le parti, pur non costituendo la causa petendi della pretesa fatta valere in giudizio, si presenti come antecedente e presupposto necessario della situazione di fatto in ordine alla quale viene invocata la tutela in sede giudiziale, con la sola esclusione di un rapporto di mera occasionalità" (Cass. nn. 7304 del 1990, 5171 del 1981, ecc.).

Nella specie il danno sofferto dal lavoratore consiste nello stato di insoddisfazione di crediti derivanti da un rapporto di lavoro, e quindi tale rapporto è l'antecedente necessario della tutela invocata dal lavoratore.

Tanto basta, secondo la giurisprudenza citata, per qualificare la controversia come controversia di lavoro soggetta alla disciplina degli artt. 409 sgg. cod. proc.civ., ancorchè la causa petendi non sia lo stesso rapporto di lavoro con l'imprenditore fallito, ma la mancata attuazione della direttiva comunitaria, con la conseguenza che, nei confronti dell'ente pubblico, il danno derivato al prestatore di lavoro dall'insolvenza del datore è giuridica mente rilevante nei limiti quantitativi fissati dal decreto di attuazione in conformità della direttiva, e in quanto il datore sia stato assoggettato alle procedure indicate nell'art. 1 del decreto posteriormente alla scadenza del termine assegnato agli Stati membri per l'attuazione della direttiva (23 ottobre 1983).

3.l. Nel merito la questione non è fondata in relazione al primo periodo della disposizione impugnata, che prevede l'indennità e ne detta la disciplina sostanziale, mentre è inammissibile in relazione al secondo periodo, che assoggetta l'azione per ottenere l'indennità al termine di decadenza di un anno dalla data di entrata in vigore del decreto.

La violazione dell'art. 76 Cost. è ravvisata dal giudice a quo, in primo luogo, perchè l'art. 48 della legge n. 428 del 1990, nell'elencare i principi e i criteri direttivi della delega legislativa, "non prevede nulla circa il risarcimento del danno per la mancata attuazione della direttiva".

In contrario va osservato che la delega specifica disposta nell'art. 48 deve essere integrata con le disposizioni generali contenute nel titolo I della legge, e in particolare col criterio dell'art. 2, lett. f), secondo cui "i decreti legislativi assicureranno in ogni caso che, nelle materie trattate dalle direttive da attuare, la disciplina disposta sia pienamente conforme alle prescrizioni delle direttive medesime, tenuto anche conto delle eventuali modificazioni intervenute entro il termine della delega". Il vocabolo "modificazioni" comprende anche le integrazioni portate sia da una nuova direttiva del Consiglio, sia da altra fonte di diritto comunitario dotata di pari efficacia negli ordinamenti nazionali, quale una sentenza interpretativa della Corte di giustizia pronunciata ai sensi dell'art.177 del trattato (cfr. sentenze di questa Corte nn. 113 del 1985, 168 del 1991). La sentenza 19 novembre 1991 della Corte di Lussemburgo, intervenuta entro il limite temporale della delega legislativa prevista dalla legge n.428 del 1990, ha integrato la direttiva CEE 80/987 con una norma che, in caso di inosservanza dell'obbligo di attuazione entro il termine fissato dall'art. 11, costituisce lo Stato membro responsabile per i danni derivati ai singoli dall'inadempimento.

La delega legislativa conferita al governo comprende, quindi, anche l'attuazione di questa norma.

3.2. In secondo luogo l'art. 2, comma 7, del d.P.R. n. 80 del 1992 è censurato perchè non avrebbe rispettato il criterio direttivo - impartito dall'art. 2, lett. f), della legge- delega - di piena conformità alla normativa comunitaria, in relazione al capo 43 della sentenza della Corte di giustizia, il quale stabilisce che "le condizioni, formali e sostanziali, prescritte dalle diverse legislazioni nazionali in materia di risarcimento dei danni non possono essere meno favorevoli di quelle che riguardano reclami analoghi di natura interna e non possono essere congegnate in modo da rendere praticamente impossibile o eccessivamente difficile ottenere il risarcimento". La disciplina in esame sarebbe meno favorevole rispetto all'ordinaria azione di risarcimento del danno nel nostro ordinamento sia perchè fissa un limite massimo all'ammontare del risarcimento, sia perchè assoggetta il di ritto a un termine breve di decadenza. Sotto il secondo profilo, il minor favore sarebbe riscontrabile anche rispetto all'azione speciale (che peraltro non ha natura risarcitoria) per ottenere la prestazione del Fondo di garanzia nel sistema a regime, per la quale il termine di un anno previsto dal comma 5 è di prescrizione, non di decadenza.

Sotto il primo profilo la censura è palesemente inconsistente. Il danno risarcibile del lavoratore è misurato, per quanto riguarda la somma capitale, dall'ammontare dei crediti di lavoro garantiti dalla direttiva, nei termini in cui questa viene tardivamente (ma correttamente) attuata dalla legislazione nazionale. La norma in esame è stata congegnata in modo da ottenere praticamente un risultato analogo a quello della retroattività della disciplina dell'intervento del Fondo di garanzia nel sistema a regime, formalmente esclusa dal comma 6 dell'art. 2. In questo senso si può dire, come scrive l'Avvocatura dello Stato, che l'art. 2 del d.P.R. n. 80 del 1992 ha dettato una disciplina unitaria. Una differenza potrebbe eventualmente manifestarsi per quanto riguarda la decorrenza degli interessi e della rivalutazione monetaria, e infatti, come si è già notato, l'art. 2, comma 7, non richiama il comma 5.

Sotto il secondo profilo la censura è inammissibile. Poichè i lavoratori in causa hanno esercitato l'azione per ottenere l'indennità risarcitoria entro il termine decadenziale dell'anno stabilito dalla norma delegata, la questione se tale termine sia conforme alla delega non è pregiudiziale alla definizione del giudizio a quo.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.2, comma 7, primo periodo, del d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 80 (Attuazione della direttiva 80/987/CEE in materia di tutela dei lavoratori subordinati in caso di insolvenza del datore di lavoro), sollevata, in riferimento all'art.76 della Costituzione, dal Pretore di Frosinone con l'ordinanza in epigrafe;

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art.2, comma 7, secondo periodo, del citato d.P.R. 27 gennaio 1992, n. 80, sollevata dal nominato Pretore con la medesima ordinanza.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 10/06/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Luigi MENGONI, Redattore

Depositata in cancelleria il 16/06/93.