Sentenza n. 274 del 1993

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SENTENZA N. 274

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA,

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nei giudizi di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art.20, terzo e settimo comma, numero 3, della legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e dei rappresentanti di commercio), promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 16 giugno 1992 dal Pretore di Lecce nel procedimento civile vertente tra Liaci Paola ed altro e l'E.N.A.S.A.R.C.O., iscritta al n. 500 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992;

2) ordinanza emessa il 15 luglio 1992 dal Pretore di Pescara, nel procedimento civile vertente tra Sabatini Fabrizio e l'E.N.A.S.A.R.C.O., iscritta al n. 40 del registro ordinanze 1993 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 7, prima serie speciale, dell'anno 1993;

Visti gli atti di costituzione di Liaci Paola ed altro e dell'E.N.A.S.A.R.C.O., nonchè gli atti di intervento del Presi dente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il Giudice relatore Fernando Santosuosso;

uditi gli avvocati Salvatore CABIBBO per Liaci Paola ed altro, Bartolo Spallina per l'E.N.A.S.A.R.C.O. e l'Avvocato dello Stato Plinio Sacchetto per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

1.- Nel corso di un procedimento civile vertente tra Giampiero e Paola Liaci e l'E.N.A.S.A.R.C.O., in cui i ricorrenti, nella loro qualità di studenti universitari figli di dipendente E.N.A.S.A.R.C.O., già a carico del loro dante causa al momento del suo decesso, hanno chiesto che venisse loro riconosciuto il diritto alla pensione di reversibilità E.N.A.S.A.R.C.O. di cui all'art. 20 della legge 2 febbraio 1973, n. 12, il Pretore di Lecce, con ordinanza del 16 giugno 1992, ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dell'art. 20, terzo e settimo comma, numero 3, della legge 2 febbraio 1973 n. 12, nella parte in cui esclude il diritto alla pensione di reversibilità E.N.A.S.A.R.C.O. a favore dei figli maggiorenni infraventiseienni che siano studenti universitari, quando a qualsiasi titolo godano di un reddito proprio, ancorchè insufficiente per le necessità di vita e di mantenimento.

Rileva il giudice a quo che la disposizione appare logicamente incoerente ed irrazionale, in quanto riconosce il diritto alla pensione di reversibilità di cui trattasi in capo al figlio superstite maggiorenne infraventiseienne che frequenti corsi universitari allorchè questi risulti privo di un qualsiasi reddito, e non invece a colui che, a parità delle altre condizioni, risulti titolare di un reddito insufficiente per le sue necessità di vita e di mantenimento.

1.1.- Nel giudizio davanti alla Corte si sono costituiti i ricorrenti, sostenendo la fondatezza della questione.

Al riguardo, le parti rilevano che l'illogicità del sistema di cui alla normativa oggetto di giudizio sarebbe già stata acclarata dalla sentenza n. 145 del 1987 di questa Corte, i cui principi -ivi riferiti ai figli maggiorenni inabili- possono essere richiamati nei confronti dei figli maggiorenni universitari stante l'identità di ratio della norma. Se infatti quest'ultima é da rinvenire, a giudizio delle parti, nella volontà di concedere agli studenti quell'aiuto che loro spettava in ragione della vivenza a carico dell'assicurato, una volta che questi sia venuto a mancare risulterebbe privo di ragione eliminare tale tutela in presenza della formale titolarità di un reddito qualsiasi, ancorchè insufficiente a sostituire l'aiuto concreto derivante dalla precedente vivenza a carico.

Ad ulteriore motivo di illogicità della disposizione impugnata, la parte rileva che la stessa legge n. 12 del 1973 struttura la pensione di cui trattasi come "trattamento integrativo" (art. 2, primo comma, ed enunciazione titolo II). Vi sarebbe infatti contrasto tra il requisito dell'inesistenza di qualsiasi reddito per poter accedere al diritto in questione, e la sussistenza -in ogni caso- di titolarità di pensione corrisposta dall'INPS (rispetto alla quale quella di reversibilità fungerebbe da integrazione).

1.2.- Si é altresì costituito l'E.N.A.S.A.R.C.O., chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile od, in subordine, infondata.

L'inammissibilità é eccepita in quanto la pronuncia richiesta non si collegherebbe alla violazione del principio di eguaglianza, bensì spingerebbe la Corte ad operare una scelta tra più soluzioni astrattamente possibili, ovvero richiederebbe un'integrazione delle disposizioni vigenti, compito di esclusiva pertinenza del legislatore.

Ciò in quanto, aggiunge l'Ente richiamando l'ordinanza di questa Corte n. 356 del 1988, non rientrerebbe nei poteri della Corte l'indicazione di un particolare limite reddituale, la cui determinazione verrebbe invece richiesta nel caso di specie.

Nel merito, rileva che l'illegittimità e la disparità di trattamento invocate dal Pretore non sussistono, in quanto il trattamento in questione é di origine pattizia, e non ha pertanto natura di previdenza od assistenza sociale, mentre la disparità di trattamento invocata (tra figli superstiti titolari di reddito e figli superstiti che ne siano privi) attiene a situazioni giuridiche soggettivamente ed oggettivamente differenti, in relazione alle quali non può essere sindacata la scelta discrezionale del legislatore. Anche il richiamo alla sentenza n. 145 del 1987 appare, a giudizio dell'E.N.A.S.A.R.C.O., inconferente, giacchè la diversità delle situazioni esaminate in quella sentenza con quelle ora in considerazione é di tale evidenza da non consentire alcun raffronto, anche indiretto.

1.3.Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo nel senso dell'inammissibilità o, in subordine, dell'infondatezza della questione.

Sul punto dell'inammissibilità, l'Avvocatura richiama la sentenza n. 106 del 1991, con cui questa Corte aveva dichiarato inammissibile la medesima questione ora riproposta dallo stesso Pretore per mancata individuazione del parametro di costituzionalità. Sebbene -rileva l'Avvocatura- nella presente ordinanza il Pretore indichi la norma parametro (art. 3 della Costituzione), ciò non é tuttavia sufficiente ad escludere la genericità della motivazione sul punto, giacchè il richiamo alla disposizione costituzionale non é operato dal giudice a quo come richiesta di confronto, bensì come sottolineatura di una già acclarata illegittimità di una norma irrazionalmente discriminatoria ed iniqua.

Nel merito, rileva l'impossibilità di un raffronto tra situazioni profondamente dissimili quale é quella di un minore invalido a carico che fruisca di un reddito insufficiente, da integrare con le richieste provvidenze, rispetto a quella di chi, nelle medesime condizioni, attenda agli studi e pretenda di fruire del trattamento pensionistico di reversibilità fino al ventiseiesimo anno. Mentre nel primo caso, infatti, é in gioco il valore della sopravvivenza, nel secondo viene in considerazione invece il fattore del completamento degli studi che, pur costituendo rilevante esigenza, non ha lo stesso valore assorbente ed imprescindibile che ha il primo; e peraltro può consentire la possibilità di integrare in qualche misura le sue possibilità di guadagno.

2.- Con ordinanza emessa il 15 luglio 1992, pervenuta alla Corte costituzionale il 28 gennaio 1993, il Pretore di Pescara, nel corso di un procedimento civile vertente tra Fabrizio Sabatini e l'E.N.A.S.A.R.C.O., ha sollevato questione di legittimità costituzionale del combinato disposto dei commi terzo e settimo, numero 3, dell'art. 20 della legge n. 12 del 1973, nella parte in cui non prevede il diritto alla pensione di reversibilità E.N.A.S.A.R.C.O. a favore dei superstiti maggiorenni, frequentanti una scuola professionale o iscritti a corsi di studi universitari, qualora in possesso di un reddito proprio, in riferimento agli art. 3 e 34 della Costituzione.

A parere del giudice a quo, i principi e le considerazioni svolti da questa Corte nella sentenza n. 145 del 1987 sono estensibili anche alle ipotesi di superstite maggiorenne infraventiseienne che frequenti una scuola professionale o sia iscritto a corsi di studi universitari, in quanto tra le due categorie di soggetti non sarebbe dato ravvisare una marcata diversità con riguardo ai mezzi di soddisfacimento delle esigenze di vita e di sostentamento. Nel primo caso, infatti, i limiti e le difficoltà di procacciamento di detti mezzi sono dati dallo stato di inabilità psico-fisica del soggetto; nel secondo, da una condizione di impegno intellettivo già di per se stessa qualificata ed incompatibile con la necessità di cumulo di essa con una ulteriore attività lavorativa. Da qui un'ingiustificata disparità di trattamento operata dalla normativa impugnata tra il soggetto studente ed altri superstiti fruitori, nella medesima condizione, di analoghi trattamenti previdenziali, con conseguente violazione dell'art. 3 della Costituzione. Per altro verso, la disposizione si porrebbe in contrasto con l'art. 34 della Costituzione, in quanto tendente a concepire la portata del disposto costituzionale in termini riduttivi e limitativi nei confronti del superstite maggiorenne studente.

2.1.- Nel giudizio davanti alla Corte si é costituito l'E.N.A.S.A.R.C.O., chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile od, in subordine, infondata, adducendo motivazioni analoghe a quelle prospettate nel giudizio indicato in precedenza e sopra riportate.

A queste vengono aggiunte le motivazioni che inducono a respingere la questione sollevata in riferimento all'art. 34 della Costituzione, per le quali l'Ente rileva che il cosiddetto "diritto allo studio" non può dilatarsi sino a far ritenere che il legislatore debba in ogni caso assicurare, e per intero, i mezzi occorrenti per la prosecuzione degli studi, senza poter operare alcuna graduazione in relazione ai redditi eventualmente goduti dai soggetti interessati.

2.2.- Si é costituito il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata inammissibile o, in subordine, infondata, sulla base di argomentazioni analoghe a quelle prospettate nel giudizio indicato in precedenza e sopra riportate; ad esse aggiungendo il rilievo che la sentenza n. 106 del 1991 di questa Corte esclude la possibilità di considerare la categoria dei superstiti maggiorenni inabili al lavoro come tertium comparationis rispetto a quella cui appartiene il ricorrente.

3.- In prossimità dell'udienza l'E.N.A.S.A.R.C.O. ha presentato memoria per ribadire e sviluppare le tesi già sostenute nell'atto di intervento.

Considerato in diritto

l. - Dai Pretori di Lecce e di Pescara è stata sollevata questione di legittimità costituzionale del combinato disposto di cui all'art. 20, terzo e settimo comma, numero 3, dell'art. 20 della legge 2 febbraio 1973, n. 12 (Natura e compiti dell'Ente nazionale di assistenza per gli agenti e rappresentanti di commercio e riordinamento del trattamento pensionistico integrativo a favore degli agenti e dei rappresentanti di commercio), nella parte in cui esclude il diritto alla pensione di reversibilità E.N.A.S.A.R.C.O. per i figli maggiorenni infraventiseienni che siano iscritti ad un corso di studi universitari (Pretore di Lecce) ovvero anche di scuole professionali (Pretore di Pescara), quando a qualsiasi titolo abbiano un reddito proprio, ancorchè insufficiente per le necessità di vita e di mantenimento, in riferimento agli artt. 3 e 34 della Costituzione (secondo parametro invocato soltanto dal Pretore di 'escara).

Data l'analogia, le questioni possono, unificati i giudizi, essere decise con unica sentenza.

2.-Va preliminarmente respinta l'eccezione di inammissibilità prospettata dall'E.N.A.S.A.R.C.O., secondo cui l'eventuale accoglimento della questione richiederebbe per la Corte a necessità di operare una scelta tra più soluzioni astrattamente possibili, così invadendo il campo riservato alla discrezionalità del legislatore.

Al riguardo, va rilevato come questa Corte abbia già avuto modo di affermare che <il far dipendere l'insorgenza del rapporto giuridico previdenziale in favore di un figlio maggiorenne (...) dalla condizione della totale mancanza di redditi propri del superstite (...) è, nella tassativa indiscriminatezza di tale condizione, contrario ai più elementari canoni dell'equità e della logica>> (sentenza n. 145 del 1987), affermando nel contempo che l'indicazione di un particolare limite reddituale non rientra nei poteri della Corte ma spetta alla scelta discrezionale del legislatore (ordinanza n. 356 del 1988 e sentenza 145 del 1987).

É soltanto quest'ultimo aspetto, pertanto, che - in quanto relativo alla scelta fra diverse soluzioni non contrastanti con principi costituzionali-segna un limite all'intervento di questa Corte: mentre la discrezionalità del legislatore non può essere invocata, com'è evidente, nella parte della disciplina in cui l'affermazione di un principio si pone fondamentalmente in contrasto con norme costituzionali.

Deve parimenti escludersi il rilievo, prospettato in questo giudizio dall'E.N.A.S.A.R.C.O., secondo cui la questione andrebbe rigettata in quanto il trattamento in questione, essendo di origine storicamente pattizia, non avrebbe natura di previdenza od assistenza sociale. Al riguardo va rilevato come, se da un lato questa Corte ha già ritenuto (sia pure implicitamente) rientrante nel rapporto giuridico previdenziale il trattamento previsto dalla disposizione impugnata (sentenza n. 145 del 1987), l'esatta qualificazione della prestazione di cui si discute, essendo questa comunque stabilita con legge, non è in ogni caso decisiva per la soluzione della questione sottoposta all'esame di questa Corte.

3.-Non può neppure essere accolta l'eccezione di inammissibilità prospettata dal Presidente del Consiglio dei ministri, tendente ad affermare l'impossibilità di un raffronto tra situazioni profondamente dissimili, quale quella di un minore invalido a carico che fruisca di un reddito insufficiente, da integrare con le richieste provvidenze, rispetto a quella di chi, nelle medesime condizioni, attenda agli studi e pretenda di fruire del trattamento pensionistico di reversibilità fino al ventiseiesimo anno di età. A parte il rilievo che la comparazione andrebbe comunque operata con riferimento ai maggiorenni infraventiseienni inabili (cui si riferisce la precedente pronuncia di questa Corte), e non ai minori inabili, la questione sollevata dai giudici a quibus, e relativamente alla quale in questa sede si discute, non individua come tertium comparationis, cui riferire la violazione del principio di eguaglianza, la situazione degli inabili al lavoro, bensì quella di coloro che, sebbene abili al lavoro, non godano di alcun reddito.

In altre parole, il riferimento operato dai giudici a quibus alla sentenza n. 145 del 1987 di questa Corte non è operato per individuare nella situazione ivi considerata il tertium comparationis rispetto al caso ora esaminato, bensì per rinvenire una ratio decidendi che con il caso di specie presenterebbe rilevanti profili di analogia.

4. -La questione di legittimità costituzionale, oltre che ammissibile, appare meritevole di accoglimento.

Come primo approccio, potrebbe rilevarsi che l'espressione della norma impugnata circa la condizione negativa della mancanza di un reddito proprio non può essere intesa in senso assoluto, dal momento che lo stesso carattere <integrativo> della pensione E.N.A.S.A.R.C.O.-rispetto a quella prevista dalla legge n. 613 del 1966 - non esclude, ma anzi contempla la possibilità della coesistenza di detta pensione con altro seppur modesto introito pensionistico. Deve inoltre considerarsi che per altre affini categorie di orfani (di guerra e dei dipendenti pubblici), le corrispondenti norme (art. 70, primo comma, d.P.R. 23 dicembre 1978, n. 915; art. 85, secondo comma, d.P.R. 29 dicembre 1973, n.1092) ritengono nullatenente anche chi risulti titolare di redditi minimi, nella misura in cui questi non sono assoggettabili all'imposta sul reddito delle persone fisiche. E lo stesso legislatore tributario considera viventi a carico anche i familiari con redditi propri inferiori ad una certa misura.

D'altro lato, in una precedente occasione è stata messa in rilievo la valutazione operata dal legislatore della dedizione agli studi da parte degli orfani quale indice presuntivo della sussistenza della situazione di bisogno degli stessi (sentenza n.366 del 1988).

5. - Ma questa Corte ritiene che l'accoglimento della questione di costituzionalità discenda soprattutto dalla ratio sostanzialmente analoga a quella posta alla base della pronuncia di accoglimento contenuta nella sentenza n. 145 del 1987 - pur senza negare le indubbie differenze tra i due casi - secondo cui il contrasto con i principi dell'art. 3 della Costituzione va ravvisato nell'incoerenza intrinseca della disposizione che, mentre riconosce il diritto alla pensione di reversibilità nel presupposto della <vivenza a carico> di figli economicamente non autonomi, esclude poi dalla titolarità di questo diritto quei figli che, non possedendo redditi sufficienti a renderli autonomi, neppure sono in grado di procurarseli a motivo della condizione di inabili ovvero (come nel presente caso) della loro dedizione agli studi.

La rilevata illogicità si riscontra altresì nel fatto che la norma non fa alcuna distinzione fra i figli possessori di redditi propri inferiori alla misura della pensione di reversibilità ed i figli che hanno redditi superiori a detta pensione; mentre sarebbe stato ragionevole conservare il trattamento pensionistico graduandolo nella misura in cui esso vada ad integrare il reddito proprio, in modo da assicurare le stesse risorse economiche sia a coloro che hanno diritto a percepire integralmente la pensione, sia ai figli che percepiscono un reddito ad essa inferiore.

6.-La fondatezza della questione sotto il profilo della ragionevolezza risulta rafforzata dal riferimento operato dal Pretore di Pescara all'art.34 della Costituzione poichè, se questa norma proclama il diritto allo studio e l'impegno della Repubblica a renderlo effettivo fino al raggiungimento dei gradi più alti, ciò può realizzarsi in modo efficiente ove sia dedicato a tale impegno intellettuale tanto tempo da lasciare ben poco (o addirittura nessuno) spazio all'espletamento di altro lavoro redditizio. Con la conseguenza di rendere ancora più logico che, almeno fino al ventiseiesimo anno di età, i figli i quali si impegnano a studiare possano effettivamente farlo solo se il loro eventuale reddito insufficiente venga proporzionalmente integrato fino a raggiungere la stessa soglia della pensione di reversibilità riconosciuta a coloro che sono nella condizione di integrale vivenza a carico.

7. - Se la ratio del riconoscimento della pensione di reversibilità è, come si è osservato, il perdurare della vivenza a carico dei figli maggiorenni infraventiseienni per l'impossibilità di procurarsi un sufficiente reddito proprio attraverso un lavoro retribuito a causa della dedizione del loro tempo disponibile agli studi, sarebbe peraltro logico esigere, da parte del legislatore, non soltanto l'iscrizione alle scuole o all'università, ma anche l'effettività della frequenza ed il profitto nel rendimento.

Va rilevato infatti che la disposizione costituzionale (art. 34, terzo comma, della Costituzione) riconosce il diritto di raggiungere i gradi più alti degli studi ai <capaci e meritevoli>, la cui valutazione, come si ricava anche dai lavori preparatori della Costituzione, implica un riscontro relativamente al <profitto>. Ciò varrebbe ad escludere, fra l'altro, che la tutela finisca per incoraggiare i casi di tante formali iscrizioni seguite da un inadeguato (o nessuno) impegno.

Per la scuola media e professionale, la disposizione impugnata richiede che i figli <frequentino>, mentre per gli universitari essa si limita a richiedere il requisito della mera <iscrizione>>: altre norme, al contrario (ad esempio quella relativa al rinvio del servizio di leva, contenuta nell'art. 19, terzo comma, della legge 31 maggio 1975, n.191) prevedono un agevole sistema di controllo dell'effettiva dedizione, sia pure limitata, agli studi universitari.

Tuttavia, non spetta alla Corte costituzionale, bensì al legislatore, adottare soluzioni analoghe a quelle indicate; e del resto questo aspetto della norma sembra esulare dall'oggetto diretto della questione di costituzionalità qui sollevata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi, dichiara l'illegittimità costituzionale del combinato disposto dei commi 3 e 7, n. 3, dell'art. 20 della legge 2 febbraio 1973, n.12, nella parte in cui prevede la perdita del diritto alla pensione di reversibilità per i figli maggiorenni infraventiseienni che frequentino scuole o università, quando a qualsiasi titolo abbiano un reddito proprio, anzichè prevedere che dalla pensione di reversibilità sia decurtata la misura di tale reddito proprio.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 28/05/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Fernando SANTOSUOSSO, Redattore

Depositata in cancelleria il 10/06/93.