Ordinanza n. 254 del 1993

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ORDINANZA N. 254

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 566, ottavo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 18 settembre 1992 dal Pretore di Gela nel procedimento penale a carico di La Bella Angelo ed altri, iscritta al n. 790 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 1, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 31 marzo 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto che, con l'ordinanza in epigrafe, il Pretore di Gela ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità costituzionale dell'art. 566, ottavo comma, del codice di procedura penale "nella parte in cui dispone che la formulazione della richiesta di applicazione della pena sia fatta subito dopo l'udienza di convalida e non, invece, prima della dichiarazione di apertura del dibattimento";

che il giudice a quo premette che "secondo l'interpretazione dell'art. 566, sesto, settimo ed ottavo comma, del codice di procedura penale generalmente accolta" l'imputato, dopo la convalida dell'arresto, deve subito scegliere tra due facoltà: la formulazione della richiesta di giudizio abbreviato ovvero di applicazione della pena, oppure la richiesta di un termine per preparare la difesa. Mentre l'esercizio della prima facoltà non preclude, in caso di dissenso del pubblico ministero, l'esercizio della seconda, la richiesta del "termine a difesa" precluderebbe, invece, definitivamente, la possibilità di chiedere il giudizio abbreviato o l'applicazione della pena allorchè ha inizio il dibattimento "all'udienza preliminare successiva alla scadenza del termine" concesso;

che sulla base di tale interpretazione il remittente rileva che la norma impugnata, oltre a contrastare con il principio di eguaglianza sancito dall'art. 3 della Costituzione, non consente il pieno esercizio della difesa, posto che, da un lato, attribuisce la facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa tecnica, dall'altro rende parzialmente inutile questa facoltà impedendo al difensore di studiare il caso e le sue conseguenze e di valutare, assieme all'imputato, l'opportunità di chiedere l'applicazione della pena evitando il pubblico dibattimento e l'eventuale sentenza di condanna;

che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Considerato che il presupposto interpretativo sulla base del quale è sollevata la questione di legittimità costituzionale è manifestamente errato in quanto, ai sensi degli artt. 449 e segg. del codice di procedura penale, il Pretore, prima della formale dichiarazione di apertura del dibattimento, deve informare l'imputato della facoltà di chiedere un termine per preparare la difesa, con la conseguenza che, nel caso di esercizio di detta facoltà, il dibattimento, non ancora aperto, è sospeso fino all'udienza immediatamente successiva alla scadenza del termine (art.451, sesto comma);

che, quindi, secondo il chiaro disposto dell'art. 446, primo comma, la richiesta di applicazione della pena è tempestivamente formulata fino alla dichiarazione di apertura del dibattimento di primo grado;

che nessuna eccezione a tale regola reca la disposizione impugnata dal giudice a quo nella quale le richieste di termine a difesa o di applicazione di uno dei riti speciali previsti dagli artt. 444 e 438 del codice di procedura penale vengono semplicemente riconosciute come facoltà che il giudicabile "può" (e non "deve") formulare subito dopo l'udienza di convalida, e cioé a partire da quel momento processuale, sicchè la richiesta di applicazione della pena può ben intervenire fino al normale termine previsto nel citato art.446, primo comma, del codice di procedura penale;

che nello stesso senso si è già espressa la giurisprudenza della Corte di Cassazione;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e n. 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 566, ottavo comma, del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Gela, con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 24/05/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 27/05/93.