Ordinanza n. 247 del 1993

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ORDINANZA N. 247

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 54 della legge 24 novembre 1981, n.689 (Modifiche al sistema penale) promosso con ordinanza emessa il 30 settembre 1992 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto dal Procuratore generale della Repubblica presso la Corte di appello di Catania nel procedimento penale a carico di Romano Emanuele, iscritta al n. 801 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 3, prima serie speciale, dell'anno 1993.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 21 aprile 1993 il Giudice relatore Giuliano Vassalli.

Ritenuto che la Corte di cassazione ha sollevato, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 54 della legge 24 novembre 1981, n.689 (Modifiche al sistema penale), nella parte in cui limita la possibilità di applicare le sanzioni sostitutive delle pene detentive ai soli reati di competenza del pretore;

che a tal proposito il giudice a quo rileva come la limitazione stabilita dalla norma impugnata debba essere necessariamente apprezzata, sul piano della relativa conformità al parametro invocato, in rapporto alle profonde modifiche che nel tempo è venuta a subire la competenza del pretore, giacchè, mentre all'epoca della entrata in vigore della legge n. 689 del 1981 il pretore "si occupava di reati che nel loro complesso potevano considerarsi minori", una simile evenienza non è invece più riscontrabile attualmente, essendo stata devoluta alla competenza di quell'organo una sfera di cognizione notevolmente ampliata; sicchè, venuta meno la ratio che sosteneva la disposizione oggetto di denuncia, la stessa finisce per rappresentare, secondo la Corte rimettente, nulla più che un "odioso" residuo idoneo a generare solo una incomprensibile discriminazione;

e che nel giudizio è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata non fondata;

considerato che i rilievi svolti dal giudice a quo colgono indubbiamente nel segno quando pongono in evidenza gli elementi di profonda distonia che la disciplina delle sanzioni sostitutive è venuta a subire a seguito delle modifiche apportate alla competenza del pretore, non potendosi certo revocare in dubbio la circostanza che l'equilibrato assetto di quel sistema, disegnato dal legislatore del 1981 sulla falsariga di un modello di giudice destinato alla trattazione degli affari "minori", risulta ormai profondamente turbato, per non dire irrimediabilmente compromesso, dalla notevole estensione dei criteri quantitativi e qualitativi sulla cui base il legislatore del codice ha definito l'area delle fattispecie devolute alla cognizione pretorile, facendo leva, fra l'altro, sull'intervenuta scomposizione delle funzioni requirenti e giudicanti, prima cumulate nello stesso organo;

che, tuttavia, l'intervento caducatorio che il giudice a quo sollecita, fuoriesce dai poteri di questa Corte, giacchè lo stesso, essendo volto esclusivamente ad espungere uno dei fondamentali criteri sui quali il legislatore ha calibrato l'intero impianto normativo delle sanzioni sostitutive, senza che a quel criterio possa sostituirsene altro che risulti essere costituzionalmente imposto, finisce per risolversi in una complessiva ridefinizione del quadro normativo che non può che riservarsi alla ordinaria sfera della discrezionalità legislativa, dovendosi a tal fine postulare nuove scelte sugli eventuali limiti da imporre alla sostituibilità delle pene detentive brevi ed una diversa individuazione delle fattispecie oggettiva mente escluse a norma dell'art. 60 della legge n. 689 del 1981;

che, pertanto, pur tenuto conto della gravità del problema sollevato e delle condivisibili censure che il giudice a quo muove alla vigente disciplina, non resta a questa Corte altra via che quella di auspicare con la massima fermezza un celere ed adeguato intervento legislativo che valga a riarmonizzare l'intero sistema delle sanzioni sostitutive, pena, altrimenti, il permanere di seri ed inaccettabili squilibri che non poco incidono sull'invocato principio di uguaglianza;

e che, quindi, la questione qui proposta deve essere dichiarata manifestamente inammissibile.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87, e 9, secondo comma, delle norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la manifesta inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 54 della legge 24 novembre 1981, n. 689 (Modifiche al sistema penale) sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dalla Corte di cassazione con l'ordinanza indicata in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 05/05/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Giuliano VASSALLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 19/05/93.