Sentenza n. 240 del 1993

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SENTENZA N. 240

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), promosso con ordinanza emessa il 25 maggio 1992 dal Pretore di Bologna nel procedimento civile vertente tra Pedrielli Tiziano e MacDue s.r.l., iscritta al n. 510 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 40, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di costituzione di Pedrielli Tiziano;

 

udito nell'udienza pubblica del 20 aprile 1993 il Giudice relatore Francesco Greco.

 

Ritenuto in fatto

 

l. - Il Pretore di Bologna, con ordinanza del 14 aprile 1990, nel corso del procedimento civile promosso da Pedrielli Tiziano nei confronti della società MacDue s.r.l. avente ad oggetto la declaratoria di nullità del licenziamento intimatogli dalla convenuta, siccome illegittimo, ed il risarcimento dei danni, ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n.604, nella parte in cui ne esclude l'applicazione ai datori di lavoro che occupano fino a trentacinque dipendenti.

 

La Corte, con ordinanza n. 575 del 1990, ha restituito gli atti al giudice a quo per un nuovo esame della rilevanza della questione, alla stregua della sopravvenuta disciplina dei licenziamenti individuali dettata dalla legge n.108 del 1990.

 

Il giudice a quo ha ritenuto, invece, tuttora rilevante la questione sollevata sull'assunto della non applicabilità dello jus superveniens a licenziamenti intimati, come nella specie, anteriormente all'entrata in vigore delle nuove norme non avendo esse efficacia retroattiva. E, pertanto, con ordinanza del 25 maggio 1992, ha di nuovo investito la Corte dell'esame della questione.

 

In particolare, il giudice a quo ha ravvisato nella norma impugnata la violazione:

 

a) dell'art. 3, primo comma, della Costituzione, sia sotto il profilo della disparità di trattamento tra i lavoratori tutelati contro eventuali licenziamenti illegittimi e quelli che non lo sono in funzione di un elemento accidentale quale l'entità dimensionale dell'impresa datrice di lavoro, sia sotto il profilo della pari dignità sociale dei cittadini;

 

b) dell'art. 3, secondo comma, della Costituzione, in quanto frapporrebbe ostacoli di ordine economico-sociale che, limitando di fatto la libertà dei lavoratori privati di qualsiasi tutela contro licenziamenti ingiustificati, impedirebbero il pieno sviluppo della loro personalità e la loro partecipazione all'attività politica o, quanto me no, sindacale del Paese;

 

c) l'art. 35, primo comma, della Costituzione, che dispone che la Repubblica tutela il lavoro in tutte le sue forme ed applicazioni.

 

2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata, è stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

 

2.l. - Nel giudizio davanti alla Corte si è costituito il lavoratore che ha concluso per la declaratoria di illegittimità costituzionale della norma impugnata, all'uopo svolgendo argomenti sostanzialmente sovrapponibili a quelli esposti dal giudice a quo con l'ordinanza di remissione.

 

Considerato in diritto

 

l. - La Corte è chiamata a esaminare se l'art. 11 della legge 15 luglio 1966, nella parte in cui esclude l'applicabilità della legge stessa, e, quindi, dell'ivi prevista disciplina limitativa del potere di recesso, nei confronti dei datori di lavoro che occupano fino a trentacinque dipendenti, violi:

 

a) l'art. 3, primo comma, della Costituzione, per la discriminazione che tale esclusione comporta in danno dei lavoratori licenziabili ad nutum rispetto a quanti fruiscono di un regime di stabilità, in relazione ad un elemento del tutto accidentale, quale è la dimensione dell'organizzazione facente capo al datore di lavoro, irrilevante per la stabilità obbligatoria;

 

b) l'art. 3, secondo comma, della Costituzione, poichè la mancanza di una sia pur minima sicurezza di continuità del rapporto di lavoro si risolve in una remora al libero sviluppo della personalità dei lavoratori ed alla loro partecipazione alla vita politica e sindacale del Paese;

 

c) l'art. 35, primo comma, della Costituzione, perchè il difetto di tutela che l'esclusione comporta in danno dei menzionati lavoratori non è compatibile con la necessità, imposta dal precetto sovraordinato, di assicurare la tutela medesima indipendentemente dalle forme e dalle applicazioni in cui la vita lavorativa si svolge.

 

2. - La questione non è fondata.

 

L'esclusione della tutela obbligatoria, non accordata dall'art. 11 della legge 15 luglio 1966, n. 604, ai lavoratori occupati presso datori di lavoro con un numero di dipendenti inferiore a trentacinque, ha già formato oggetto di esame da parte di questa Corte (sent. n. 2 del 1986).

 Nella suddetta sentenza sono state elencate le ragioni che rendono non irragionevole l'esercizio del potere discrezionale che il legislatore ha in materia e si è formulato l'auspicio che potesse essere adottata una disciplina legislativa diversa per effetto di una politica sociale differente ed anche in aderenza alle indicazioni e ai principi vigenti in sede internazionale.

 

Ciò è avvenuto con la legge n. 108 del 1990 che il giudice a quo ha ritenuto di non poter applicare nella fattispecie perchè non innovativa e carente di efficacia retroattiva.

 

Le ragioni addotte nella ordinanza di remissione sono sostanzialmente identiche a quelle a suo tempo poste a sostegno delle ordinanze dei giudici remittenti già esaminate e che sono state considerate non sufficienti a ritenere la fondatezza della questione.

 

In tale situazione, anche in considerazione dell'avvenuto mutamento della disciplina legislativa dei licenziamenti, trattandosi di una fattispecie della stessa epoca delle altre che hanno costituito oggetto delle ordinanze già esaminate e non essendo stati dedotti motivi diversi, validi a fondare una differente decisione, la questione deve essere dichiarata infondata.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.11 della legge 15 luglio 1966, n. 604 (Norme sui licenziamenti individuali), in riferimento agli artt. 3, primo e secondo comma, e 35, primo comma, della Costituzione, sollevata dal Pretore di Bologna con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GRECO Redattore

 

Depositata in cancelleria il 13/05/93.