Sentenza n. 235 del 1993

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SENTENZA N. 235

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 64, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69 (Ordinamento della professione di giornalista), promosso con ordinanza emessa il 2 giugno 1992 dalla Corte di cassazione sul ricorso proposto da Di Bella Franco contro il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti ed altri, iscritta al n.741 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 50, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di costituzione di Di Bella Franco e del Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti;

 

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1993 il Giudice relatore Francesco Greco;

 

uditi gli avvocati Corso Bovio per Di Bella Franco e Franco G. Scoca per il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.

 

Ritenuto in fatto

 

l. - Di Bella Franco, con ricorso notificato il 18 settembre 1990, impugnava per cassazione la sentenza del 3 aprile 1990, con la quale la Corte di appello di Milano, confermando la decisione del locale Tribunale, aveva ritenuto la legittimità della sanzione disciplinare della censura ad esso ricorrente inflitta dal Consiglio Regionale dell'Ordine dei Giornalisti con deliberazione del 13 dicembre 1982, e confermata dal Consiglio Nazionale con deliberazione del 28 marzo 1985.

 

L'adita Corte, in accoglimento dell'eccezione sollevata dal Di Bella, con ordinanza del 2 giugno 1992 (R.O. n. 741 del 1992), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 64 della legge 3 febbraio 1963, n.69, nella parte in cui, per le impugnazioni davanti al giudice ordinario in Io e IIo grado dei provvedimenti disciplinari emessi a carico di giornalisti, prevede il rito camerale anzichè l'udienza pubblica.

 

La Corte remittente ha rilevato che il procedimento disciplinare de quo si articola in due fasi - una di carattere amministrativo, che si svolge dinanzi al Consiglio regionale dell'ordine, e in sede di impugnazione, dinanzi al Consiglio nazionale; e l'altra, di carattere giudiziario, che riguarda le impugnazioni delle deliberazioni del Consiglio nazionale -, e che si svolge dinanzi al Tribunale e alla Corte di appello con il rito camerale, cioé in camera di consiglio sentiti il pubblico ministero e gli interessati. Ed ha ritenuto che sussisterebbe violazione dell'art. 101 della Costituzione il quale, secondo l'interpretazione datane da questa Corte (specialmente con la sentenza n. 50 del 1989), prevede l'operatività del principio della pubblicità delle udienze quale espressione di civiltà giuridica, affermato anche dall'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali, firmata a Roma il 4 novembre 1950.

 

2. - L'ordinanza, ritualmente comunicata e notificata è stata altresì pubblicata nella Gazzetta Ufficiale.

 

2.l. - Nel giudizio davanti a questa Corte si sono costituiti la parte privata ed il Consiglio Nazionale dell'Ordine dei Giornalisti.

 

La difesa della prima ha insistito per l'accoglimento dell'eccezione di illegittimità costituzionale con argomenti sostanzialmente sovrapponibili a quelli fatti propri dalla Corte remittente.

 

La difesa del secondo insiste, invece, per la declaratoria di infondatezza della questione osservando che, alla stregua della stessa giurisprudenza costituzionale citata nell'ordinanza di rimessione, il principio della pubblicità delle udienze in relazione alle peculiarità del procedimento di cui trattasi, può subire eccezioni, il cui apprezzamento è affidato alla discrezionalità del legislatore; che nella specie la deroga al principio suddetto trova piena e ragionevole giustificazione nella esigenza di riservatezza del giornalista inquisito nonchè nella salvaguardia della sua immagine professionale e dei diritti della persona.

 

3. - Nell'imminenza dell'udienza la difesa della parte privata ha depositato una memoria con la quale ha sottolineato che alcuni giudici di merito, nei procedimenti aventi ad oggetto l'irrogazione di sanzioni disciplinari a carico di giornalisti, hanno ritenuto applicabile la Convenzione europea sui diritti dell'uomo e, di conseguenza, hanno disposto la celebrazione di udienze pubbliche.

 

Considerato in diritto

 

l. - La Corte è chiamata a verificare se l'art. 64, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n. 69, nella parte in cui esclude l'applicabilità dell'art. 128 del codice di procedura civile e l'ivi sancito principio di pubblicità delle udienze ai giudizi, davanti al Tribunale ed alla Corte di appello, in materia di responsabilità disciplinare dei giornalisti, violi l'art. 101 della Costituzione, che sancisce l'operatività del detto principio, secondo l'interpretazione datane dalla giurisprudenza costituzionale ed in conformità a quanto stabilito da vari atti internazionali.

 

2. - La questione è inammissibile.

 

Si è più volte affermato (sent. nn. 373/92, 69/91, 50/89) che la pubblicità del giudizio che si svolge dinanzi ad organi giurisdizionali costituisce un cardine dell'ordinamento democratico fondato sulla sovranità popolare sulla quale si basa l'amministrazione della giustizia.

 

La validità del suddetto principio è sancita anche in vari atti internazionali citati nelle sentenze richiamate, tra essi l'art. 6 della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell'uomo e delle libertà fondamentali del 4 novembre 1950, ratificata dall'Italia con la legge n. 848 del 1955, e il secondo comma dell'art. 19 della Dichiarazione dei diritti e delle libertà fondamentali, adottata dal Parlamento europeo con la risoluzione del 12 aprile 1989, secondo cui chiunque ha diritto a che la sua causa sia trattata equamente, pubblicamente, entro un termine ragionevole, dinanzi ad un tribunale indipendente ed imparziale istituito dalla legge.

 

Il principio suddetto però non trova un'applicazione assoluta. Possono essere posti limiti alla pubblicità delle udienze nell'interesse della morale, dell'ordine pubblico, della sicurezza nazionale, per esigenze della tutela degli interessi dei minori o della vita privata delle stesse parti del processo o degli interessi della stessa giustizia.

 

Nella recente legge 12 aprile 1990, n. 74, per il procedimento disciplinare a carico dei magistrati si è affermato il principio della pubblicità delle udienze ma si sono anche previsti limiti alla sua applicazione.

 

3. - Nella fattispecie la mancanza di pubblicità riguarda le fasi del procedimento che si svolgono dinanzi al Tribunale e alla Corte di Appello per cui potrebbe trovare applicazione il principio di cui trattasi.

 

Tuttavia, anche in questo particolare procedimento possono venire in discussione la stessa dignità umana e alcuni aspetti della vita di relazione del giornalista, per cui la sua applicazione non può essere assoluta ed incondizionata ma può essere necessario il bilanciamento dei vari interessi in gioco; in particolare, di quelli che fanno capo allo stesso giornalista e di quelli relativi alla garanzia del controllo della pubblica opinione sullo svolgimento del procedimento. Il suddetto bilanciamento e la correlativa definizione degli eventuali limiti sono affidati alla discrezionalità del legislatore, al quale non può sostituirsi questa Corte.

 

Pertanto, la questione sollevata deve essere dichiarata inammissibile.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 64, primo comma, della legge 3 febbraio 1963, n.69 (Ordinamento della professione di giornalista), in riferimento all'art.101 della Costituzione, sollevata dalla Corte di Cassazione con l'ordinanza in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Francesco GRECO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 13/05/93.