Sentenza n. 234 del 1993

CONSULTA ONLINE

SENTENZA N. 234

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), promosso con ordinanza emessa il 6 marzo 1992 dal Tribunale di Civitavecchia nel pro cedimento civile vertente tra Carratù Bianca e la S.p.a. Phenix Soleil, iscritta al n. 225 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 19, prima serie speciale dell'anno 1992.

Visti gli atti di costituzione di Carratù Bianca e della S.p.a. Phenix Soleil nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1993 il Giudice relatore Francesco Greco;

uditi l'avv. Giulio Prosperetti per la S.p.a. Phenix Soleil e l'Avvocato dello Stato Franco Favara per il Presidente del Consiglio dei ministri.

Ritenuto in fatto

l. - Il Tribunale di Civitavecchia, in sede di rinvio nella causa tra Carratù Bianca e la S.p.a. Phenix Soleil, con un numero di dipendenti non superiore a 15, avente ad oggetto la reintegrazione nel posto di lavoro dell'attrice licenziata al compimento del cinquantacinquesimo anno di età, con ordinanza del 6 marzo 1992 (R.O. n. 225 del 1992), ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge n. 903 del 1977, il quale, secondo l'interpretazione della Corte di Cassazione, disporrebbe, per il rapporto di lavoro delle lavoratrici ultracinquantacinquenni, anche ai fini previdenziali, la stabilità prevista dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori quale che sia la dimensione dell'impresa.

Secondo il giudice remittente, risulterebbe violato l'art.3 della Costituzione, in quanto si creerebbe una disparità di trattamento tra le suddette lavoratrici e i lavoratori della stessa azienda che svolgono la loro attività nello stesso periodo (55-60 anni) senza godere di stabilità.

In punto di rilevanza il giudice remittente ha osservato che solo la eventuale declaratoria di illegittimità costituzionale lo esonererebbe dalla applicazione del principio di diritto affermato dalla Cassazione.

2. - Nel giudizio si sono costituite le parti private.

La Carratù ha eccepito la irrilevanza della questione in quanto essa aveva invocato l'applicazione della legge n. 903 del 1977 e non subisce alcuna discriminazione. Nel merito ha dedotto che il contenimento della libertà di recesso del datore di lavoro attiene a valutazioni discrezionali del legislatore così come la previsione di favore delle donne lavoratrici rispetto ai lavoratori. Ha concluso per la inammissibilità o, quanto meno, per la infondatezza della questione.

2.l. - La difesa della Società ha svolto argomenti analoghi a quelli del giudice remittente rilevando la necessità di non creare ulteriori disparità in quanto le donne già godono del privilegio di andare in pensione a cinquantacinque anni e che la ratio della norma impugnata è quella di prolungare la durata del rapporto di lavoro in regime di parità con gli uomini.

2.2. - L'Avvocatura Generale dello Stato, intervenuta in rappresentanza del Presidente del Consiglio dei ministri, ha concluso preliminarmente per l'inammissibilità della questione per difetto di rilevanza in quanto: a) non risulta precisato l'oggetto specifico del giudizio a quo; b) la questione è sollevata in termini astratti, non essendo stata presa in considerazione la dimensione dell'azienda; c) la dedotta discriminazione non ha effetti perchè il giudizio riguarda la prestazione di una lavoratrice.

Nel merito ha concluso per la infondatezza perchè il diverso trattamento della donna in ordine all'età pensionabile trova adeguata giustificazione nelle peculiari sue condizioni e la sottrazione, dopo il raggiungimento dell'età pensionabile, all'area di libera recedibilità del datore di lavoro dal rapporto che a lei fa capo, è necessaria per assicurare l'effettività del diritto a lei riconosciuto di continuare a lavorare oltre il cinquantacinquesimo anno di età.

3. - Nella memoria presentata nell'imminenza dell'udienza la difesa della Società ha osservato che l'interpretazione della Cassazione risente degli effetti di quella dell'art. 6 della legge n. 54 del 1982, che ha previsto, sia per gli uomini che per le donne fino a sessantacinque anni, l'opzione per il proseguimento dell'attività lavorativa in regime di stabilità e che l'art. 4 della legge n. 108 del 1990 ha chiarito, invece, che il prestatore di lavoro, uomo o donna, conserva lo stesso regime di tutela cui era assoggettato prima dell'opzione. Tuttavia, ciò riguarda il rapporto che si svolge successivamente agli anni sessanta.

Considerato in diritto

l. - La Corte è chiamata a verificare se l'art. 4 della legge 9 dicembre 1977, n. 903, nella parte in cui, secondo la interpretazione della Corte di Cassazione (sentenza n. 11311 del 23 novembre 1990), dispone che il rapporto delle lavoratrici ultracinquantacinquenni che prosegue fino al limite di età previsto per i lavoratori, con l'applicabilità anche delle altre disposizioni della legge 604 del 1966 in deroga all'art. 11 della stessa legge, nonchè delle norme modificatrici o integratrici della legge suddetta, sia assistito dalla stabilità prevista dall'art. 18 dello Statuto dei lavoratori, quale che sia la dimensione dell'impresa, violi l'art. 3 della Costituzione per la ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai lavoratori ultracinquantacinquenni, cui non è concessa analoga tutela.

2. - Va esaminata per prima l'eccezione di inammissibilità sollevata dalla parte privata e dall'Avvocatura generale dello Stato. Si è rilevato che la discriminazione lamentata non ha alcuna incidenza nel giudizio a quo che ha per oggetto il rapporto di lavoro di una donna.

2.l. - L'eccezione è fondata.

Si osserva che la discriminazione, concretante la dedotta violazione dell'art. 3 della Costituzione, deriva dalla ritenuta stabilità del rapporto di lavoro di una lavoratrice alla quale è stato riconosciuto il diritto a continuare a lavorare nonostante il raggiungimento del cinquantacinquesimo anno di età.

Della suddetta hanno titolo a dolersi solo i lavoratori che ne risulterebbero danneggiati.

Essi, però, non possono assolutamente ottenere alcun risultato utile dall'esito del presente giudizio di legittimità costituzionale, non essendo parti del giudizio a quo.

Pertanto, la questione sollevata difetta di rilevanza.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara la inammissibilità della questione di legittimità costituzionale dell'art. 4 della legge 9 dicembre 1977, n. 903 (Parità di trattamento tra uomini e donne in materia di lavoro), in riferimento all'art. 3 della Costituzione, sollevata dal Tribunale di Civitavecchia con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 03/05/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco GRECO, Redattore

Depositata in cancelleria il 13/05/93.