Sentenza n. 225 del 1993

CONSULTA ONLINE

 

SENTENZA N. 225

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale degli artt. 169, comma 1, 459, 460 e 461 del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 1° giugno 1992 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa nel procedimento penale a carico di Roka Attila, iscritta al n. 760 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 51, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 10 marzo 1993 il Giudice relatore Vincenzo Caianiello;

 

Ritenuto in fatto

 

Richiesto dal pubblico ministero di emettere decreto penale di condanna nei confronti di un imputato straniero residente - in luogo conosciuto - all'estero, il giudice per le indagini preliminari presso la Pretura circondariale di Massa ha sollevato, con ordinanza del 1° giugno 1992, questione di legittimità costituzionale degli articoli 169, n. 1), (recte: comma 1), 459, 460 e 461 del codice di procedura penale, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione.

 

Premesso di ritenere accoglibile la richiesta del p.m., quanto a qualificazione del fatto e commisurazione della pena, il giudice remittente osserva che la disposizione dell'art. 169 c.p.p., che regola la notificazione all'imputato all'estero, appare di "incerta interpretazione", giacchè non chiarisce se il procedimento di interpello per la dichiarazione o elezione di domicilio ivi contemplato debba essere attivato dal p.m., prima di richiedere il decreto penale, ovvero dal giudice richiesto di emettere il decreto medesimo. Optato, peraltro, per la impossibilità di "rinviare gli atti al p.m.

 

per l'integrazione dell'attività di indagine ai fini della notifica", il giudice a quo reputa che la disciplina del procedimento per decreto sia lesiva del diritto inviolabile di difesa allorchè, come nella specie, concerna un imputato straniero residente all'estero, ravvisando in detta disciplina tre profili di illegittimità costituzionale rispetto al parametro invocato:

 

1) il primo profilo attiene alla ritenuta brevità del termine di quindici giorni accordato all'imputato per prendere visione degli atti depositati in cancelleria ed assumere quindi le proprie determinazioni in merito alla proposizione dell'opposizione, una volta effettuata la consegna del decreto alla persona abilitata a riceverlo a seguito della dichiarazione o elezione di domicilio ex art.169 c.p.p.; di qui il sospetto di illegittimità costituzionale dell'art. 459 c.p.p. nella parte in cui non prevede, oltre quelli già indicati nella norma denunziata, un ulteriore e generale requisito di ammissibilità della richiesta di decreto penale, ovvero la residenza o il domicilio effettivi dell'imputato nel territorio dello Stato (italiano);

 

2) il secondo profilo si incentra sul rilievo della mancanza, nell'atto di interpello ex art.169, comma 1, c.p.p., di un invito contestuale all'imputato straniero residente o dimorante all'estero a nominare un difensore nel territorio dello Stato italiano; da tale rilievo discende la notazione per cui all'imputato in argomento non sarebbe consentito l'esercizio dell'opposizione a mezzo di difensore a ciò delegato, e, inoltre - non potendosi a tal fine coordinare l'art. 169 con l'autonoma norma dell'art. 369 c.p.p. che prevede l'invito alla nomina del difensore di fiducia - l'imputato potrebbe non conoscere affatto il luogo di notifica del decreto penale allorchè non vi sia nè nomina fiduciaria da parte dello stesso nè preventiva comunicazione di quale sia il difensore nominato d'ufficio.

 

Per tale profilo, pertanto, viene sottoposto a scrutinio di costituzionalità il combinato disposto degli artt. 169, 459, 460 e 461 c.p.p., nella parte in cui tali norme non prevedono che, ai fini dell'emissione del decreto, l'imputato residente o domiciliato all'estero debba essere invitato, in sede di interpello ex. art. 169 c.p.p., a nominare un difensore nel territorio dello Stato italiano e, ove ciò non avvenga, che sia nominato un difensore d'ufficio il cui nominativo debba essere comunicato all'imputato prima della notifica del decreto penale di condanna;

 

3) il terzo profilo attiene alla pratica impossibilità, per l'imputato in discorso, di proporre personalmente l'opposizione, giacchè, non richiamando l'art. 461 c.p.p. la disciplina delle impugnazioni, non sarebbe consentita la proposizione dell'opposizione nelle forme di cui all'art.583 c.p.p., a mezzo del servizio postale.

 

A conclusivo sostegno delle argomentazioni sulle questioni, proposte "in via gradata e alternativa", il giudice a quo rileva che il procedimento monitorio non è consentito in sede civile allorchè la notificazione all'intimato debba avvenire fuori del territorio della Repubblica (art.633, ultimo comma, c.p.c.); il che rafforza le perplessità formulate riguardo al procedimento per decreto penale.

 

É intervenuto in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, tramite l'Avvocatura Generale dello Stato, che ha concluso per l'infondatezza di tutte e tre le questioni sollevate, osservando:

 

a) in ordine al termine di quindici giorni per proporre opposizione, che tale termine appare congruo anche se l'imputato risiede o dimora all'estero, potendo l'opposizione essere proposta anche dal difensore, a tal fine nominato (art. 461, comma 1, c.p.p.), il quale potrà assicurare adeguata difesa tecnica; e che in ogni caso all'imputato che non abbia proposto opposizione è accordato il rimedio della restituzione in termini ex art. 462 c.p.p.;

 

b) in ordine alla denunciata mancanza di un preventivo interpello ai fini della nomina di difensore di fiducia e - in difetto - di una preventiva comunicazione del nominativo del difensore di ufficio, che le formalità di cui il giudice a quo richiede l'addizione nella dinamica del procedimento monitorio snaturerebbero la speditezza del rito speciale, creando un anomalo procedimento sui generis; in ogni caso, rileva l'Avvocatura, per tale profilo la questione risulta simile a quella già affrontata dalla Corte costituzionale con le sentenze nn. 344 del 1991 e 346 del 1992;

 

c) in ordine al modo di trasmissione dell'atto di impugnazione, infine, che, contrariamente a quanto ritenuto dal giudice a quo, l'opposizione al decreto penale rappresenta una forma di impugnazione - sia pure con peculiarità sue proprie - cosicchè non v'è ragione di non applicare le regole generali dettate negli artt. 568 e seguenti del c.p.p.

 

e, tra esse, appunto la norma che prevede la spedizione dell'atto a mezzo del servizio postale.

 

Considerato in diritto

 

l. - Sono state sollevate, in riferimento all'art. 24, secondo comma, della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli articoli: a) 459 c.p.p. nella parte in cui, tenuto conto della (ritenuta) brevità del termine di quindici giorni per apprestare da parte dell'imputato la propria difesa, non prevede tra i requisiti di ammissibilità dell'adozione del decreto penale di condanna quello della residenza o del domicilio effettivi dell'imputato nel territorio dello Stato italiano; b) 169, comma 1, 459, 460 e 461 c.p.p. (in combinato disposto), nella parte in cui tali norme non prevedono che l'imputato residente o domiciliato all'estero - in luogo conosciuto - debba essere invitato, contestualmente all'interpello di cui all'art.169, comma 1, c.p.p., a nominare un difensore nel territorio dello Stato italiano, nonchè nella parte in cui, in mancanza di detta nomina, non prevedono la nomina di un difensore d'ufficio il cui nominativo debba essere comunicato al residente all'estero, prima della notifica del decreto penale di condanna; c) 461, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consente all'imputato residente o domiciliato all'estero di proporre opposizione con le forme di cui all'art. 583 dello stesso codice (a mezzo del servizio postale).

 

2. - Le questioni non sono fondate.

 

Anche se, dal modo con cui le questioni stesse sono state prospettate, appare evidente che lo scopo principale cui tende il giudice rimettente - pur ponendo in discussione anche gli artt. 169, comma 1, 460 e 461 c.p.p., in quanto ritenuti inidonei ad assicurare la difesa dell'imputato, residente o dimorante all'estero, avverso il decreto penale di condanna - è la dichiarazione di illegittimità costituzionale dell'art. 459 c.p.p., nella parte in cui non prevede tra i requisiti di ammissibilità per l'adozione del decreto quello della residenza o del domicilio effettivi dell'imputato nel territorio dello Stato italiano, tuttavia per un'esigenza d'ordine logico è opportuno muovere dall'esame dell'art. 169, comma 1, c.p.p..

 

Questo articolo, nel disciplinare le modalità per effettuare le notificazioni all'imputato all'estero, stabilisce che, se risulta dagli atti notizia precisa del luogo di residenza o di dimora all'estero della persona nei cui confronti si deve procedere, come nel caso interessato dal giudizio a quo, "il giudice o il pubblico ministero le invia raccomandata con avviso di ricevimento, contenente l'indicazione della autorità che procede, il titolo del reato e la data e il luogo in cui è stato commesso nonchè l'invito a dichiarare o eleggere domicilio nel territorio dello Stato". Lo stesso articolo stabilisce altresì che "se nel termine di trenta giorni dalla ricezione della raccomandata non viene effettuata la dichiarazione o l'elezione di domicilio ovvero se la stessa è insufficiente o risulta inidonea, le notificazioni sono eseguite mediante consegna al difensore".

 

Da quanto precede, tenuto anche conto della collocazione della norma testè richiamata, risulta che essa disciplina in via generale le modalità delle notificazioni all'imputato all'estero, modalità che devono perciò applicarsi indipendentemente dall'adozione del rito attraverso il quale si per viene alla conclusione del procedimento.

 

Questo significa che le notificazioni degli atti processuali all'imputato all'estero, qualunque sia il rito cui si riferiscano, devono essere effettuate con l'osservanza delle modalità previste dall'art. 169 c.p.p. É perciò con l'osservanza di dette modalità, in mancanza di una norma che espressamente deroghi ad esse nel procedimento per decreto, che deve effettuarsi la notifica dello stesso decreto penale, il che implica che le formalità prescritte da detto articolo per l'imputato all'estero, qualunque sia l'organo che deve effettuarle, devono precedere la stessa adozione del decreto penale di condanna - quando si intenda procedere con tale rito - onde consentire la notificazione di esso secondo quanto previsto in via generale.

 

3. - Chiariti nei sensi anzidetti il significato e la portata dell'art. 169 c.p.p., vengono meno i dubbi di costituzionalità espressi relativamente agli articoli dello stesso codice che disciplinano specificamente il procedimento per decreto. Difatti, una volta stabilito che all'adozione del decreto penale nei confronti di un imputato residente o dimorante all'estero non possa pervenirsi se non previo l'esperimento delle formalità indicate dall'art. 169 c.p.p., la notifica del decreto penale dovrà effettuarsi nel domicilio eletto o dichiarato nel territorio dello Stato ovvero, in mancanza di tale elezione o dichiarazione o di loro insufficienza o inidoneità, mediante consegna al difensore di fiducia, se nominato dall'imputato a seguito della raccomandata inviatagli per l'elezione del domicilio, o, in mancanza, al difensore di ufficio. Relativamente a quest'ultima formalità non osta la circostanza che, come anche precisato da questa Corte (sent. n. 344 e ord. n. 346 del 1992), non sia previsto che l'adozione del decreto penale debba essere accompagnata dalla nomina del difensore d'ufficio, ove non risulti già nominato quello di fiducia. Se questo vale in via generale per la disciplina propria del procedimento per decreto, per quel che riguarda l'ipotesi dell'imputato residente o dimorante all'estero il problema, come valutato e risolto dalle richiamate decisioni nn. 344 e 346 del 1992, deve essere affrontato tenendosi conto della specialità della disciplina dettata dall'art.169 c.p.p.ai fini delle notificazioni, indipendentemente dal rito mediante il quale si procede.

 

Orbene, alla stregua dell'art. 169 cit., se, a seguito della raccomandata speditagli alla residenza o alla dimora all'estero, l'imputato dichiari o elegga domicilio in Italia, le notifiche degli atti del processo debbono essergli ivi eseguite, onde il problema non si pone in termini diversi da quello che accade per gli imputati residenti nel territorio italiano e, quindi, perdono rilievo gli inconvenienti addotti dal giudice rimettente. Se invece l'imputato, in luogo della dichiarazione o elezione del domicilio nel territorio italiano, si limita a nominare un difensore di fiducia, il decreto penale deve essere notificato a mani di questo, ai sensi dell'ultima parte del primo comma dell'art. 169 cit.. E poichè, come si è rilevato, le formalità prescritte da questo articolo devono essere comunque osservate, ai fini delle notificazioni all'imputato che risieda o dimori all'estero, allorchè questi abbia lasciato senza (idonea) risposta l'interpello formulato ai sensi di tale articolo (e non abbia neppure nominato un difensore di fiducia), dovrà procedersi alla nomina del difensore di ufficio cui effettuare la notifica degli atti processuali in genere, ivi compreso il decreto penale, perchè questa formalità è richiesta, come si è detto, non dalla disciplina del procedimento per decreto (sent. n. 344 e ord. n. 346 del 1992 cit.), bensì dalla disciplina per le notificazioni da eseguirsi in via generale all'imputato all'estero.

 

La notifica nelle mani del difensore di fiducia o di ufficio, qualora da detto imputato non sia stato dichiarato o eletto domicilio in Italia, appare idonea ad assicurare il diritto di difesa, tenuto conto del fatto che l'imputato ha puntuale notizia del procedimento (attraverso l'interpello ex art. 169 c.p.p.) e che fruisce di adeguato termine - di trenta giorni - per assumere le proprie determinazioni in ordine all'utilità di indicare uno specifico recapito degli atti del procedimento stesso; vengono quindi meno, anche sotto questo profilo, i dubbi di costituzionalità prospettati.

 

4. - Per quel che riguarda, infine, la censura espressamente rivolta all'art. 461, comma 2, c.p.p., nella parte in cui non consentirebbe all'imputato residente o domiciliato all'estero di proporre opposizione al decreto penale a mezzo di servizio postale, il problema è superato dalla giurisprudenza della Cassazione. Questa, muovendo, in conformità di precedente giurisprudenza, dalla assimilazione della opposizione a decreto penale ai mezzi di impugnazione, ha ritenuto che l'art. 461, comma 1, c.p.p., secondo cui l'opposizione al decreto penale si propone "mediante dichiarazione ricevuta nella cancelleria", non è incompatibile con la norma contenuta nel successivo art. 583 il quale prevede, in via generale, che l'impugnazione può essere proposta "mediante telegramma, ovvero con atto da trasmettersi a mezzo di raccomandata".

 

Secondo l'indicata giurisprudenza risulta perciò assicurata all'imputato residente o dimorante all'estero, che riceva notizia del decreto notificatogli con l'osservanza delle formalità previste dall'art. 169, comma 1, c.p.p.,la possibilità di proporre direttamente opposizione a mezzo posta senza bisogno di dover rientrare in Italia per recarsi personalmente presso l'ufficio giudiziario, il che induce a disattendere anche il dubbio di costituzionalità per ultimo preso in esame, essendo assicurato, anche sotto questo profilo, il diritto di difesa invocato dal giudice rimettente.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 169, comma 1, 459, 460 e 461 del codice di procedura penale, solleva te, in riferimento all'art.24, secondo comma, della Costituzione, dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Massa con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 7 maggio 1993

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Vincenzo CAIANIELLO, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 25 maggio 1993.