Sentenza n. 213 del 1993

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SENTENZA N. 213

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio promosso con ricorso della Regione Veneto notificato il 31 dicembre 1992, depositato in Cancelleria il 14 gennaio 1993, per conflitto di attribuzione sorto a seguito della deliberazione della Commissione statale di controllo sull'amministrazione regionale n. 12419 dell'11 novembre 1992, con la quale è stata annullata la deliberazione del Consiglio regionale del Veneto n. 453 del 1° ottobre 1992, riguardante la posizione del consigliere regionale Giulio Veronese, ed iscritto al n. 2 del registro conflitti 1993.

 

Visto l'atto di costituzione del  Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 30 marzo 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri;

 

uditi gli avvocati Francesco Amato e Mario Bertolissi per la Regione Veneto e l'Avvocato dello Stato Gaetano Zotta per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

l. Con ricorso notificato il 31 dicembre 1992, la Regione Veneto ha sollevato conflitto di attribuzione nei confronti dello Stato in ordine alla decisione della Commissione di controllo sull'amministrazione regionale n. 12419 dell'11 novembre 1992, con la quale è stata annullata la deliberazione del Consiglio regionale del Veneto n. 453 dell'1/10/1992.

 

La ricorrente premette che con l'anzidetta deliberazione il Consiglio regionale aveva "ritenuto che... non deve essere pronunciata la decadenza nei confronti del consigliere Giulio Veronese, ai sensi della legge 18 gennaio 1992, n. 16".

 

Tale deliberazione era stata inviata, secondo una prassi consolidata, alla Commissione di controllo di legittimità sugli atti regionali per una verifica della regolarità formale della stessa. Senonchè, la Commissione di controllo, anzichè limitarsi a una verifica così circoscritta, ha ritenuto di dover sindacare l'atto nel merito, sovrapponendo alla decisione sostanziale del Consiglio regionale una propria decisione fondata su una differente interpretazione della legge 18 gennaio 1992, n. 16.

 

Ciò posto, la ricorrente deduce che la suddetta decisione della Commissione statale di controllo sia invasiva delle proprie attribuzioni in materia di convalida delle elezioni e decadenza dalla carica dei componenti il Consiglio regionale.

 

Rileva al riguardo che, a norma dell'art. 17 della legge 17 febbraio 1968, n. 108, "al Consiglio regionale è riservata la convalida delle elezioni dei propri componenti, secondo le norme del suo regolamento interno". Questa disposizione è da considerarsi attuativa, per un verso, dell'art. 121 e, per altro verso, dell'art. 125, primo comma, della Costituzione.

 

Infatti, da essa si evince chiaramente che l'ordinamento giuridico attribuisce in via esclusiva al Consiglio regionale il potere di controllare e accertare la sussistenza dei requisiti necessari per assumere e conservare la carica di consigliere regionale.

 

Ciò non esclude che questi atti di verifica dell'organo elettivo possano essere soggetti a un controllo amministrativo di legittimità, ma è chiaro che questo controllo non può andare oltre la verifica della regolarità meramente formale dell'atto controllato. In caso contrario, vi sarebbe un insanabile contrasto tra l'attribuzione in via esclusiva all'organo elettivo del potere di verifica delle condizioni suddette e l'attribuzione della potestà di annullamento, in sede di controllo esterno, per insussistenza dei requisiti di legge.

 

Nè - prosegue la ricorrente - può trarsi alcun argomento in contrario dal fatto che la legge prevede, per la sola convalida dei consiglieri comunali e provinciali, un potere sostitutivo dell'autorità tutoria nel caso di omessa delibera di convalida dei rispettivi consigli nella seduta immediatamente successiva alle elezioni.

 

Infatti, il potere sostitutivo dell'autorità tutoria, in quanto limitativo dell'autonomia dell'ente territoriale, non può essere ammesso che nei ristrettissimi limiti della previsione legislativa, e, d'altro canto, la legge, prevedendo questo potere sostitutivo per la sola omissione della deliberazione di convalida degli eletti - e non anche, ad esempio, per l'omessa dichiarazione di de cadenza (v. art. 9 bis del D.P.R. n. 570 del 1960) -, lascia chiaramente intendere che tale potere non sussiste là dove non si tratti di impedire la paralisi dei consigli stessi o l'invalidità di tutta la loro attività. Infine, non va dimenticato che una analoga disposizione non esiste per i consigli regionali, il che dimostra non solo la maggiore latitudine dell'autonomia regionale rispetto a quella comunale e provinciale, ma dimostra anche che l'ingerenza dell'autorità tutoria in materia di controllo della validità dell'elezione dei componenti degli organi elettivi e del loro diritto a permanere in carica non può essere in alcun modo elevata a regola del sistema.

 

Inoltre, osserva ancora la Regione, la legge, dopo aver demandato all'organo elettivo di appartenenza il controllo sulla presenza dei requisiti per assumere e conservare la carica di consigliere regionale, riconosce alla sola autorità giudiziaria, adita dai legittimati, il potere di accertare la sussistenza o meno dei requisiti di legge in ordine alla stessa carica. E la circostanza che tra i legittimati vi è - ai sensi dell'art. 19, secondo comma, della legge 17 febbraio 1968, n, 108 - anche il Commissario del Governo dimostra, inequivocabilmente, che il controllo demandato agli organi governativi è, a tutto concedere, limitato alla verifica della regolarità formale degli adempimenti posti in essere dal Consiglio e preordinati all'eventuale esercizio dell'azione davanti all'autorità giudiziaria: è del tutto evidente, infatti, che l'attribuzione della legittimazione all'esercizio di tale azione al Commissario del Governo (che presiede la Commissione statale di controllo) sarebbe del tutto priva di razionalità se l'organo governativo di controllo potesse egli stesso sostituire la decisione del Consiglio regionale con una propria di accertamento dei requisiti per l'assunzione e la conservazione della carica.

 

Il fatto, poi, prosegue la ricorrente, che in dottrina e nella giurisprudenza di questa Corte si riconosca la non assimilabilità della posizione costituzionale del Consiglio regionale al Parlamento, in quanto quest'ultima è espressione di sovranità, mentre i Consigli godono soltanto di una autonomia politica, non contraddice la tesi sostenuta, in quanto autonomia politica significa esclusione di ingerenze di organi esterni nella relativa sfera (di autonomia), tanto più quando il dettato legislativo prefigura, a chiare lettere, tempi e modi di esercizio di un riscontro che non deve essere lesivo di simili prerogative.

 

2. Si è costituito in giudizio il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, deducendo la inammissibilità e l'infondatezza del conflitto e riservando ad una successiva memoria l'illustrazione delle ragioni di tali conclusioni.

 

3. Con memoria depositata nei termini, l'Avvocatura dello Stato chiede che il ricorso della Regione Veneto sia dichiarato non fondato.

 

Osserva al riguardo che sarebbe vano ricercare nella Costituzione disposizioni o principi attributivi alle Regioni della esclusiva competenza in materia di verifica della sussistenza dei requisiti necessari per assumere - e meno che meno per conservare - le cariche elettive.

 

Delle competenze attribuite al consiglio regionale dall'art. 121, le potestà amministrative, ivi compresa quella regolamentare, non sfuggono al controllo di legittimità dell'art. 125 della Costituzione: non esiste per i consigli regionali quella potestà esclusiva in tema di "verifica dei poteri" che la Costituzione attribuisce al Parlamento (art. 66).

 

Vero è che storicamente la dottrina prima e questa Corte poi hanno riconosciuto una competenza esclusiva in materia di autorganizzazione interna dei consigli regionali - e cioé autonomia contabile, organizzativa e funzionale -, ma nell'ambito di questa competenza esclusiva nessuno mai ha ritenuto potesse ricomprendersi la convalida degli eletti o la verifica del mantenimento della capacità a rivestire la carica elettiva. Il sistema della verifica dei poteri dei consigli regionali, anzi, lungi dal consentire l'assimilazione al Parlamento, avvicina le assemblee regionali ai consigli comunali e provinciali, in quanto la verifica fatta dall'assemblea non esclude il ricorso al giudice e non riguarda la regolarità del procedimento elettorale.

 

Le esposte considerazioni, prosegue l'Avvocatura, trovano, del resto, piena conferma dall'esame della legge n. 16 del 1992. Secondo l'art. 1, invero, per i consiglieri regionali (provinciali, comunali, etc.), il verificarsi dopo la elezione delle ipotesi elencate al primo comma, dà luogo alla "immediata" sospensione dalla carica - comma quarto bis - (la sospensione, cioè, è automatica: cfr. Corte cost. sent. n. 407 del 1992).

 

La pronuncia - ancorchè meramente dichiarativa - di tale effetto però, che ove dovesse essere riservata alla competenza esclusiva dell'assemblea regionale, in sede di verifica di poteri, dovrebbe essere deliberata dall'assemblea medesima, è riservata dalla legge, invece, al Presidente del Consiglio dei ministri (comma quarto ter). E ciò non è una anomalia del sistema, anzi è una ulteriore conferma della completa equiparazione in questa materia dei consigli regionali a quelli degli altri enti locali rispetto ai quali non è nemmeno immaginabile una competenza esclusiva a livello costituzionale. Evidentemente il legislatore ha ritenuto di riservare allo Stato ogni iniziativa relativa alla formalizzazione della sospensione, verificatasi automaticamente, ad evitare che alla situazione di diritto non venisse immediatamente adeguata la situazione di fatto per comportamenti dilatori delle assemblee locali di appartenenza.

 

Quanto alla pronuncia della decadenza, osserva infine l'Avvocatura, pur potendosi addirittura ipotizzare che appartenga anch'essa alla competenza del Presidente del Consiglio dei ministri e non al Consiglio regionale (perchè se la sospensione è di sua competenza, a maggior ragione dovrebbe esserlo la decadenza), in ogni caso appare evidente, sulla scorta di quanto si è detto, che essa non appartiene alla competenza esclusiva dell'assemblea regionale, per cui le relative delibere non possono non essere sottoposte alla verifica di legittimità della Commissione statale di controllo ai sensi dell'art. 125 della Costituzione, così come le de libere dei consigli provinciali e comunali in materia (che in nulla differiscono dalle prime, come espressione dell'esercizio di un potere di analoga estensione e natura) vengono sottoposte ad un controllo di legittimità esterno all'organo collegiale, cioé al controllo del CO.RE.CO.

 

4. Ha depositato memoria anche la Regione Veneto, insistendo per l'accoglimento del ricorso e richiamando, in particolare, l'art. 1 del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40 (attuativo della delega di cui all'art. 2, comma 1, lett. h), della legge 23 ottobre 1992, n.421), il quale, nell'elencare gli atti amministrativi regionali soggetti al controllo statale, non include il giudizio di convalida delle elezioni e di decadenza dalla carica di componenti il Consiglio regionale.

 

Considerato in diritto

 

l. Mediante il ricorso per conflitto d'attribuzione all'esame di questa Corte, la Regione Veneto lamenta un'invasione da parte dello Stato delle attribuzioni proprie del Consiglio regionale in materia di convalida delle elezioni e decadenza dalla carica dei componenti il Consiglio. L'atto impugnato è costituito dalla decisione della Commissione statale di controllo sull'amministrazione regionale n. 12419 dell'11 novembre 1992, con la quale è stata annullata la deliberazione del Consiglio regionale del Veneto n. 453 del 1° ottobre 1992. Con tale deliberazione il Consiglio aveva preso atto che "il consigliere regionale Giulio Veronese non si trova nelle condizioni di ineleggibilità di cui all'art.15 della legge 19 marzo 1990 n. 55, come modificato dall'art. 1 della legge 18 gennaio 1992 n. 16".

 

Secondo la Regione ricorrente la predetta deliberazione consiliare non doveva essere sottoposta al controllo della Commissione statale, essendo ciò escluso dall'art.17 della legge 17 febbraio 1968 n. 108; conseguentemente l'atto statale impugnato avrebbe violato gli artt.121 e 125 della Costituzione, ponendo in essere una lesione di competenze riservate alla Regione dai predetti parametri costituzionali.

 

Poichè l'art. 125 della Costituzione dispone che il controllo di legittimità sugli atti amministrativi della Regione è esercitato nei modi e nei limiti stabiliti da leggi della Repubblica, il thema decidendum si circoscrive alla verifica se sia fondato o meno l'assunto della ricorrente in ordine alla esclusione dal controllo, ai sensi dell'invocata legge n.108 del 1968, della indicata deliberazione del Consiglio regionale.

 

2. Non può essere presa in esame l'eccezione di inammissibilità genericamente sollevata dall'Avvocatura dello Stato nell'atto di costituzione: di essa infatti non vi è più alcun cenno nella successiva memoria e resta pertanto carente di qualsiasi motivazione.

 

3. Nel merito le censure della Regione sono fondate ed il ricorso va accolto.

 

La disciplina dei controlli sugli atti amministrativi della Regione prevista dall'art. 125 della Costituzione è rimasta regolata dalla legge 10 febbraio 1953, n. 62 fino all'emanazione del decreto legislativo 13 febbraio 1993, n. 40, che ha ridefinito le categorie degli atti soggetti a controllo attraverso un elenco tassativo: di conseguenza gli atti non compresi in detto elenco vengono ad essere sottratti al controllo stesso. Fra questi ultimi si trovano le deliberazioni relative alla convalida e alla decadenza di consiglieri regionali; ma l'argomento in tal senso addotto dalla Regione non può essere determinante, dato il carattere chiaramente innovativo del decreto legislativo citato, che, secondo la direttiva contenuta nell'art. 2, comma 1, lett. h), della legge di delega n. 421 del 1992, doveva operare "la revisione dei controlli amministrativi dello Stato sulle regioni concentrandoli sugli atti fondamentali della gestione...".

 

La disciplina dell'art. 45 della richiamata legge n. 62 del 1953, vigente al tempo in cui fu adottata la deliberazione consiliare e l'atto di annullamento della medesima che è oggetto del conflitto, prevedeva il controllo di legittimità (e, per le deliberazioni enumerate nel successivo art. 46, anche di merito) per tutte le deliberazioni degli organi regionali, "eccettuate quelle relative alla mera esecuzione di provvedimenti già adottati e perfezionati ai sensi di legge".

 

Alla stregua di detta disciplina di carattere generale, dovrebbe dunque ritenersi - come sostiene l'Avvocatura dello Stato - la competenza della Commissione di controllo ad annullare, per vizio di legittimità, la deliberazione del Consiglio regionale anche nella materia in esame.

 

In realtà, fino dalla legge elettorale emanata per la prima costituzione delle regioni a statuto ordinario, e cioé la legge 17 febbraio 1968 n. 108, la materia anzidetta è stata regolamentata specificamente dagli artt. 17, 18 e 19 della legge medesima (Titolo IV: Convalida degli eletti e contenzioso). Tali norme riservano al Consiglio regionale la convalida della elezione dei propri componenti nonchè la dichiarazione di decadenza nei casi di ineleggibilità o incompatibilità sopravvenute; esse prevedono che le deliberazioni relative devono essere depositate nella segreteria del Consiglio il giorno successivo, immediatamente pubblicate nel Bollettino ufficiale della Regione e notificate entro cinque giorni agli interessati. Detti termini risultano poi confermati (in tema di decadenza) dall'art. 7 della legge 23 aprile 1981, n. 154, la quale ha, fra l'altro, abrogato l'art.18 sopra citato.

 

Siffatte disposizioni sono chiaramente inconciliabili con la procedura contenuta nell'art. 45 della legge n. 62 del 1953; procedura che prevede l'esecutività delle deliberazioni dopo venti giorni dal loro ricevimento da parte della Commissione di controllo, salvo annullamento; si deve quindi riconoscere - come sostiene la Regione ricorrente - che le deliberazioni sopra ricordate sono sottratte al controllo di legittimità della Commissione.

 

4. Questa interpretazione non soltanto scaturisce dall'applicazione dei normali canoni ermeneutici alle due discipline messe a confronto, ma è altresì confortata da considerazioni di ordine logico e sistematico.

 

Infatti, sebbene l'autonomia del Consiglio regionale, quale massimo organo della Regione, sia di tutt'altra natura rispetto all'autonomia prevista dall'art. 66 della Costituzione per le due Camere, - ed è perciò che le controversie in ordine alle elezioni dei Consiglieri regionali sono di competenza della giurisdizione ordinaria o amministrativa -, è pur vero che nella fase concernente la convalida, annullamento o decadenza di consiglieri per questioni di eleggibilità, riservata dalla legge al Consiglio, mal si inserirebbe un controllo di carattere amministrativo, essendo preminente l'esigenza di garantire, senza ritardi o interventi di altre autorità, l'adito alla tutela giurisdizionale, adito cui per giunta è espressamente legittimato il Commissario del Governo nella regione.

 

Si deve quindi concludere che la decisione di annullamento adottata dalla Commissione di controllo sull'amministrazione regionale in ordine ad un atto del Consiglio regionale ad essa sottratto dalla legge n. 108 del 1968, più volte citata, ha posto in essere una lesione delle competenze costituzionalmente attribuite alla Regione, essendo stato esercitato il controllo al di fuori dei limiti previsti dall'art. 125 della Costituzione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara che non spetta allo Stato, e per esso alla Commissione di controllo sull'amministrazione della Regione Veneto, annullare la deliberazione n. 453 del 1° ottobre 1992 del Consiglio regionale in materia di decadenza dalla carica di consigliere regionale; annulla di conseguenza la decisione n. 12419 dell'11 novembre 1992 della Commissione anzidetta.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Mauro FERRI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 03/05/93.