Sentenza n. 212 del 1993

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SENTENZA N. 212

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), promosso con ordinanza emessa l'8 aprile 1992 dal Pretore di Udine, sezione distaccata di Cervignano del Friuli, nel procedimento penale a carico di Apuzzo Salvatore, iscritta al n. 334 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 27, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di costituzione di Apuzzo Salvatore;

udito nell'udienza pubblica del 9 marzo 1993 il Giudice relatore Francesco Paolo Casavola;

udito l'avv. Roberto Nania per Apuzzo Salvatore.

Ritenuto in fatto

l. -- Nel corso di un procedimento penale per violazione delle norme antinfortunistiche e per lesioni personali colpose, promosso a carico del titolare di un pubblico esercizio la cui moglie aveva subito un infortunio durante alcuni lavori di pulizia, il Pretore di Udine (sezione di Cervignano del Friuli) ha sollevato, con ordinanza emessa l'8 aprile 1992, questione di legittimità costituzionale, in relazione all'art. 3 della Costituzione, dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, nella parte in cui non comprende anche i partecipanti all'impresa familiare tra i soggetti -- equiparati ai lavoratori subordinati -- con riguardo ai quali va osservata la normativa di prevenzione degli infortuni sul lavoro.

Gli obblighi relativi, infatti, e la conseguente responsabilità penale sussistono nell'area di applicabilità del citato d.P.R. n. 547 del 1955 -- osserva il Pretore nel motivare la rilevanza -- sì che l'invocata decisione additiva consentirebbe di contestare all'imputato i reati in argomento.

A parere del giudice a quo, la norma impugnata, nell'escludere per i partecipanti all'impresa familiare gli obblighi di prevenzione, irrazionalmente priverebbe questi ultimi di tutela, discriminandoli anche rispetto ad altri soggetti, come i soci-lavoratori.

L'assenza di obblighi e quindi di responsabilità del titolare dell'azienda con riguardo ai familiari sarebbe inoltre in contraddizione con il riconoscimento dell'istituto dell'impresa familiare contenuto nel codice civile, ed accentuerebbe la "soggezione economica e sociale" dei partecipanti nei rapporti con il capofamiglia-imprenditore.

Tale ordine di idee risulterebbe altresì sotteso alla sentenza n. 476 del 1987, con la quale questa Corte ha dichiarato illegittima l'esclusione dell'obbligo assicurativo per infortuni e malattie professionali dei familiari che prestino opera lavorativa o a questa assimilata quali partecipanti all'impresa familiare.

2. -- Nel giudizio dinanzi a questa Corte si è costituita la parte privata contestando preliminarmente la rilevanza della questione in quanto, ex art. 25 della Costituzione, non sarebbe configurabile la perseguibilità per un reato non attualmente previsto.

Nell'imminenza dell'udienza la parte privata ha depositato memorie, ulteriormente insistendo sulle ragioni di inammissibilità connesse alla creazione di una nuova fattispecie penale incriminatrice. Tale conseguenza, in palese contrasto con la giurisprudenza di questa Corte, non si potrebbe poi in alcun modo far derivare dalla sentenza n. 476 del 1987, concernente il ben diverso tema del- l'estensione ai partecipanti all'impresa familiare dell'assicurazione obbligatoria contro gli infortuni sul lavoro.

Sul punto la parte richiama anche gli artt. 5, 6 e 7 della Convenzione europea dei diritti del- l'uomo, interpretata da questa Corte con sentenza n. 202 del 1991 <nel senso che, per la rilevanza delle trasgressioni dei doveri generali sanciti da una disposizione di legge, occorre la conoscibilità di essa al momento del fatto>.

Nel merito la parte ha infine sottolineato, a sostegno dell'infondatezza, la particolarità del- l'impresa familiare in cui sarebbero implicati i valori solidaristici caratteristici della famiglia.

Considerato in diritto

l. -- Il giudice a quo dubita della legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547, nella parte in cui esclude i partecipanti all'impresa familiare dal novero dei soggetti in favore dei quali -- in quanto equiparati ai lavoratori subordinati -- deve essere applicata la normativa per la prevenzione degli infortuni sul lavoro, con la conseguente estensione della relativa tutela penale specifica per le ipotesi di violazioni delle prescrizioni antinfortunistiche e delle comuni sanzioni in caso di danni alle persone.

In particolare il Pretore rimettente ravvisa un'ingiustificata disparità di trattamento rispetto ai soci di società e di enti in genere cooperativi che la norma viceversa contempla tra i beneficiari delle misure imposte dal citato d.P.R. ai datori di lavoro.

2. -- La questione è inammissibile.

A questa Corte è richiesta una decisione di tipo additivo che inserisca nel testo legislativo in argomento una nuova ipotesi, secondo cui i titolari dell'impresa sarebbero tenuti a porre in essere gli strumenti di prevenzione previsti dalla normativa per la sicurezza dei lavoratori, tra i quali dovrebbero rientrare così anche i partecipanti al- l'impresa familiare medesima.

Ma il modulo estensivo suggerito dal Pretore di Cervignano del Friuli che vorrebbe l'inclusione dei familiari tra i soggetti protetti, comporta, inevitabilmente, anche la creazione di una fattispecie penale nuova, consistente nell'applicazione delle sanzioni descritte dal titolo XI del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 anche ai titolari d'impresa familiare.

Inoltre, l'attrazione di quest'ultimo istituto nell'area del rapporto di lavoro anche a fini di tutela antinfortunistica, implicherebbe la configurabilità di reati colposi contro la vita e l'incolumità delle persone, ove l'inosservanza delle misure di prevenzione abbia prodotto tali conseguenze lesive.

É chiaro come l'intero disegno della prevenzione non avrebbe senso ove si volesse scriminare il profilo sanzionatorio, logicamente correlato a garantire l'osservanza del precetto.

Ma l'imputato di cui al giudizio a quo mai potrebbe rispondere per fatti che non costituivano reato al momento in cui furono commessi, onde appare chiara l'assoluta ininfluenza dell'invocata sentenza sul procedimento penale in corso dinanzi al Pretore.

La garanzia posta dall'art. 25, secondo comma, della Costituzione, esclude infatti che la Corte possa far sorgere una nuova fattispecie penale "così determinando conseguenze sfavorevoli per l'imputato" (cfr.sentenze n. 148 del 1983

 e n 108 del 1981).

3. -- Alla suddetta ragione d'inammissibilità per irrilevanza si aggiunge, con analoga conseguenza, quell'ulteriore implicazione del principio di legalità che impone una stretta riserva di legge in favore dello Stato in materia penale.

Tale appartenenza esclusiva della potestà punitiva si appalesa tanto più evidente in rapporto alla peculiarità dell'impresa familiare cui è stata estesa l'assicurazione contro gli infortuni (così appagando una diffusa esigenza di tutela del lavoro: cfr. sentenza n. 476 del 1987), ma che resta comunque permeata di legami affettivi, onde appare quanto meno problematico l'innesto di obblighi e doveri sanzionati attraverso ipotesi di reato procedibili d'ufficio.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara inammissibile la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, secondo comma, del d.P.R. 27 aprile 1955, n. 547 (Norme per la prevenzione degli infortuni sul lavoro), sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Udine, sezione distaccata di Cervignano del Friuli, con ordinanza di cui in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 22/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Francesco Paolo CASAVOLA, Redattore

Depositata in cancelleria il 03/05/93.