Sentenza n. 203 del 1993

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SENTENZA N. 203

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Francesco GUIZZI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 8 della legge 15 dicembre 1990, n. 386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari), promosso con ordinanza emessa il 3 giugno 1992 dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Busto Arsizio nel procedimento penale a carico di Perrone Castrenze, iscritta al n. 693 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.46, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice relatore Renato Granata;

Ritenuto in fatto

l. Premesso che nel corso del giudizio penale nei confronti di Perrone Castrenze, imputato del reato di emissione di assegno bancario senza provvista, il Pubblico Ministero presso la pretura di Busto Arsizio aveva richiesto il provvedimento di archiviazione per essere stati pagati, nel termine di cui all'art. 8 della legge n.386 del 1990, sia l'importo dell'assegno sia le spese di protesto, il giudice per le indagini preliminari rilevava che non era stata corrisposta (anche) la penale e quindi avrebbe dovuto esser respinta la richiesta d'archiviazione per procedersi "all'imputazione coatta". In riferimento a tale ritenuta procedibilità dell'azione penale il g.i.p. ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 8 legge n.386/90 cit., per violazione degli artt. 3, 27 e 41 Cost. , nella parte in cui prevede l'impromovibilità ed improcedibilità dell'azione penale solo per effetto del pagamento, nel termine di cui alla medesima norma, del capitale, interessi, penale e spese di protesto o di dichiarazione equivalente.

Osserva il giudice rimettente che l'aver collegato l'irrogazione della pena al (mancato) pagamento del risarcimento dei danni, peraltro non accertati caso per caso, ma predeterminati per legge, è contrario al senso di umanità del quale deve essere permeata la pena (perchè la penale appare avere la sola funzione di <<spaventare>> il debitore cartolare inadempiente per scoraggiarlo ad emettere assegni privi di copertura) e contrasta con la funzione rieducativa che quest'ultima deve avere ex art. 27 Cost. (perchè appare essere una punizione per il mancato adempimento civile).

Inoltre - ritiene ancora il giudice rimettente - ingiustificatamente tale trattamento è riservato a coloro che emettono assegni bancari privi di copertura e non è anche esteso a tutti i responsabili di reati contro il patrimonio con la conseguente violazione del principio di uguaglianza cui all'art.3 Cost. di talchè il risarcimento del danno per taluni è un'attenuante, per altri è una condizione di procedibilità dell'azione penale.

Altresì ci sarebbe disparità di trattamento anche nei confronti degli emittenti di assegni bancari che per iniziativa del creditore cartolare siano stati richiamati e quindi sottratti dalla presentazione; per questi non c'è - ad avviso del giudice rimettente - in ogni caso la procedibilità dell'azione penale, che invece sussiste nel caso in cui l'importo dell'assegno sia stato interamente pagato con piena soddisfazione del creditore.

Il giudice rimettente, poi, sempre con riferimento all'art. 3 Cost., muove di fatto anche una censura di ragionevolezza della norma impugnata nella parte in cui non prevede l'improcedibilità dell'azione penale ove il prenditore risulti risarcito del danno subito e di ciò sia soddisfatto (senza quindi pretendere anche il pagamento della penale). Rileva inoltre che l'obbligare il creditore di somma di danaro ad accettare una somma predeterminata per legge a titolo di capitale e risarcimento danni è contrario alla libertà dell'iniziativa privata (art. 41 Cost.).

2. É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri rappresentato e difeso dall'Avvocatura generale dello Stato concludendo per la non fondatezza della questione di costituzionalità.

In relazione al parametro dell'art. 3 Cost. l'Avvocatura ritiene che l'ordinanza di rimessione sia contraddittoria perchè indica come termine di comparazione la ridotta rilevanza del completo risarcimento del danno patrimoniale (art. 62 n. 6 c.p.) e nello stesso tempo censura il fatto che in caso di emissione di assegni senza provvista il risarcimento incompleto (perchè privo di penale e spese di protesto) non giochi addirittura come causa di improcedibilità.

Inoltre - osserva ancora l'Avvocatura - l'ordinanza irragionevolmente mira a rendere arbitro il creditore della punibilità del fatto, mentre il rilievo penale del pagamento del titolo non può non esser previsto a condizioni generali, astratte ed eguali per tutti, in considerazione del carattere plurioffensivo del reato di emissione di assegno bancario senza provvista, reato che incide non soltanto sul patrimonio, ma anche sulla fede pubblica e la stessa economia pubblica.

Quanto poi agli altri due parametri invocati dal giudice rimettente, l'Avvocatura ritiene comunque infondata la questione di costituzionalità non essendo violati nè l'art. 27 Cost. (trattandosi di condizione di procedibilità), nè l'art. 41 Cost. (essendo previsto il deposito vincolato della penale, oltre al pagamento nelle mani del prenditore).

Considerato in diritto

l. É stata sollevata questione incidentale di legittimità costituzionale - in riferimento agli art. 3, 27 e 41 Cost. - dell'art.8 della legge 15 dicembre 1990 n.386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) nella parte in cui prevede l'impromovibilità ed improcedibilità dell'azione penale solo per effetto del pagamento, nel termine di cui alla medesima norma, del capitale, interessi, penale e spese di protesto o di dichiarazione equivalente, per sospetta violazione :

a) del necessario carattere umanitario e della funzione reducativa della pena (art. 27 Cost.), oltre che del principio di ragionevolezza (art. 3 Cost.);

b) del principio di eguaglianza (art. 3 Cost.) per l'ingiustificato trattamento differenziato riservato a coloro che emettono assegni bancari privi di copertura rispetto a coloro che si rendono responsabili di reati contro il patrimonio atteso che il risarcimento del danno per questi ultimi costituisce un'attenuante (art. 62, n.6, c.p.), mentre per i primi rappresenta una condizione di procedibilità dell'azione penale; inoltre vi sarebbe un trattamento meno favorevole rispetto all'ipotesi del richiamo dell'assegno da parte del creditore;

c) del principio della libertà dell'iniziativa privata (art. 41 Cost.) perchè obbliga il creditore cartolare ad accettare una somma predeterminata per legge a titolo di capitale e risarcimento danni.

2. La questione non è fondata.

La norma censurata, che rappresenta uno dei punti maggiormente significativi della scelta di politica criminale operata dal legislatore nel porre la nuova disciplina degli assegni bancari, prevede che, in caso di emissione di assegno bancario che, presentato in tempo utile, non sia pagato per difetto di provvista, l'azione penale non può essere iniziata o proseguita se entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione l'emittente abbia pagato l'assegno, gli interessi, le spese di protesto ed una penale pari al dieci per cento della somma dovuta e non pagata. Tale disposizione - che, seppur di natura processuale, incide sull'estensione dell'area di effettiva repressione penale dei comportamenti di abuso dell'assegno bancario - non confligge con alcun dei parametri costituzionali invocati dal giudice rimettente.

3. La regola dell'art. 27, comma 3, Cost. , secondo cui le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato, non è evocabile con riferimento alla norma censurata perchè questa prevede una condizione di procedibilità dell'azione penale e non già la sanzione della condotta costituente reato.

Nè per altro verso la norma, che è censurata di eccessivo rigore, può sospettarsi di irragionevolezza (art. 3 Cost.) perchè l'eventuale previsione (auspicata dal giudice rimettente) dell'improcedibilità dell'azione penale come conseguenza del solo pagamento della somma nominale, oggetto dell'obbligazione cartolare, non sarebbe sufficiente a disincentivare (ma anzi incentiverebbe) l'uso dell'assegno come strumento di credito con lesione della fede pubblica nell'assegno come mezzo di pagamento.

Il fatto che il legislatore, introducendo tale condizione di procedibilità, abbia sotto questo profilo (ma non sotto altri) attenuato il rigore sanzionatorio modificando la soglia della repressione penale, non esclude che l'assegno bancario sia rimasto tutelato come mezzo di pagamento e non già come strumento di credito. In questa prospettiva, che è espressione di discrezionalità legislativa nella configurazione dei reati, la condizione di procedibilità prevista dalla norma censurata, proprio perchè investe un'area di comportamenti penalmente non sanzionati, non sarebbe potuta consistere nel mero pagamento della somma portata dall'assegno, ciò potendo valere a ripristinare gli interessi patrimoniali, ma non anche a tutelare l'affidamento che la collettività fa nell'assegno bancario come mezzo di <<solutio>>. Pertanto l'effetto di remora ad emettere assegni bancari senza copertura, cui è finalizzata la sanzione penale, viene assicurato - per i comportamenti che destano minore allarme sociale (ossia quelli che sono seguiti dal pagamento dell'assegno entro il termine di sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione) - dalla prospettiva di dover corrispondere insieme alla somma capitale - in ogni caso ed indipendentemente da una richiesta di risarcimento da parte del creditore - anche una penale, oltre agli interessi e alle spese di protesto; mentre, ove l'improcedibilità dell'azione penale conseguisse al mero pagamento dell'importo dell'assegno, il bene, oggetto della tutela penale, degraderebbe al mero interesse civilistico del creditore all'esatto adempimento dell'obbligazione cartolare.

4. Neppure è leso il principio di eguaglianza sotto il profilo indicato dal giudice rimettente, non essendo la situazione di chi commette lo specifico reato di emissione di assegno senza copertura comparabile con quella di chi commette reati contro il patrimonio, per i quali il risarcimento del danno costituisce solo un'attenuante (art. 62 n. 6 cod. pen.). Il comportamento preso in considerazione dalla norma censurata è diverso e più ampio del mero risarcimento del danno, soprattutto perchè comprende - a prescindere dall'atteggiamento serbato dal creditore cartolare - anche il pagamento della penale suddetta e deve essere posto in essere tempestivamente (entro sessanta giorni dalla data di scadenza del termine di presentazione dell'assegno e non già soltanto prima del giudizio). Queste connotazioni differenziali assicurano, nella valutazione discrezionale del legislatore, anche che non sia compromesso (se non in misura assai lieve sì da giustificare l'astensione dalla repressione penale) il bene giuridico della fede pubblica nell'assegno bancario come mezzo di pagamento.

Nè vi è disparità di trattamento sotto il profilo che, secondo il giudice rimettente, l'assegno bancario sarebbe richiamabile, nel breve lasso di tempo che precede la levata del protesto, dall'ultimo prenditore che lo abbia presentato per l'incasso, con conseguente non punibilità di chi abbia emesso l'assegno senza provvista; mentre dopo il protesto la non procedibilità dell'azione penale, e quindi la non punibilità, richiede che si verifichino le condizioni previste dall'art.8 della citata legge n.386 del 1990.

Anche sotto tale profilo la censura è destituita di fondamento perchè, come ritiene la giurisprudenza della Corte di cassazione, il reato di emissione di assegno senza provvista si consuma con la sua presentazione (in concomitanza con la mancanza di fondi sufficienti per il pagamento) e non già con la levata del protesto. Quindi in entrambi i casi, oggetto della comparazione operata dal giudice rimettente, trova applicazione la norma censurata.

5. Infine non è violata la sfera di autonomia e di libertà del prenditore (o del giratario) del titolo, evocata dal giudice rimettente in riferimento all'art. 41 Cost., perchè la norma censurata prevede anche, al fine dell'improcedibilità dell'azione penale, il deposito vincolato delle somme indicate dall'art. 8 cit. presso l'istituto trattario ovvero il pagamento al pubblico ufficiale che ha levato il protesto o ha effettuato la constatazione equivalente, in alternativa al pagamento nelle mani dello stesso portatore del titolo. Questi rimane libero di non accettare l'eventuale pagamento offertogli da chi abbia emesso l'assegno privo di provvista senza peraltro che ciò comporti l'automatica procedibilità dell'azione penale; come anche è libero di restituire il titolo a seguito del solo pagamento della somma cartolare (con spese di protesto ed interessi) senza pretendere il pagamento della penale; in tale ipotesi - prospettata dal giudice rimettente - il versamento della penale - a prescindere dalla possibile funzione di offerta e deposito, secondo il regime civilistico della mora credendi, di quanto il portatore può pretendere dall'emittente ex art. 3 legge n.396/90 cit. - ha comunque, secondo i rilievi già svolti, un effetto disincentivante dell'impiego - con lesione della pubblica fede - dell'assegno come strumento di credito anzichè come mezzo di pagamento.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.8 della legge 15 dicembre 1990 n.386 (Nuova disciplina sanzionatoria degli assegni bancari) sollevata - in riferimento agli art. 3, 27 e 41 della Costituzione - dal giudice per le indagini preliminari presso la Pretura di Busto Arsizio con l'ordinanza in epigrafe.

Così deciso in Roma nella sede della Corte Costituzionale, Palazzo della Consulta, il 21/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Renato GRANATA, Redattore

Depositata in cancelleria il 29/04/93.