Sentenza n. 153 del 1993

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SENTENZA N. 153

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Dott. Francesco GRECO

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985- 1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure), promosso con ordinanza emessa il 2 luglio 1992 dal Pretore di Roma nel procedimento civile vertente tra Biancone Davide e l'A.T.A.C., iscritta al n. 563 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n.42, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nella camera di consiglio del 24 febbraio 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

 

Ritenuto in fatto

 

l.- Nel corso di un giudizio civile avente ad oggetto la domanda di annullamento del provvedimento di esonero disposto dall'Azienda Tramvie ed Autobus del Comune di Roma (ATAC), ai sensi dell'art. 3 della legge 12 luglio 1988, n. 270 nei confronti di Davide Biancone, autista di linea fino al 1981 e successivamente adibito ad altre mansioni per sopravvenuta inidoneità determinata da un infortunio sul lavoro, il Pretore di Roma, quale giudice del lavoro, con ordinanza del 2 luglio 1992 (r.o. n. 563 del 1992), ha ritenuto che l'eccezione di illegittimità costituzionale dell'art. 3, commi 1 e 4, della legge 12 luglio 1988, n.270, sollevata dal ricorrente in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38, e 41 della Costituzione, fosse rilevante e non manifestamente infondata e ne ha quindi rimesso l'esame a questa Corte.

 

Il giudice a quo ricorda che la norma in oggetto è stata già denunziata per illegittimità costituzionale e che la Corte, nella sentenza n. 60 del 1991, ha ritenuto che essa rappresentasse una scelta non irrazionale e non arbitraria del legislatore. Ma, in tale occasione, non era stato sottoposto al vaglio di costituzionalità il particolare profilo riguardante i lavoratori che erano divenuti inidonei alle mansioni proprie della loro qualifica a causa di un infortunio sul lavoro.

 

Proprio la mancata considerazione, da parte del legislatore, di tale specifica causa di inidoneità (in contraddizione con le peculiari tutele che l'ordinamento riserva al lavoratore infortunato) legittima - secondo il remittente - il sospetto di violazione della Costituzione ed in particolare degli artt. 2 e 3, con riferimento a quei doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale, di cui la Repubblica ha il compito di garantire l'adempimento, così come ha il compito di rimuovere gli osta coli di ordine economico e sociale che, limitando di fatto la libertà e l'uguaglianza dei cittadini, impediscono il pieno sviluppo della persona umana e l'effettiva partecipazione di tutti i lavoratori all'organizzazione politica, economica e sociale del Paese.

 

Si assume inoltre, nell'ordinanza, la lesione dell'art. 4 Cost. "sia con riferimento alla normativa speciale a protezione del lavoratore infortunato (art. 37 della legge 29 ottobre 1971, n. 889), sia con riferimento al suo diritto alla conservazione del posto (art. 27 - allegato b - regio decreto n. 148 del 1931)". Nella specie - si osserva - l'arbitrarietà e l'irrazionalità della norma non può essere esclusa facendo valere l'antieconomicità dell'utilizzazione del lavoratore inidoneo per infortunio, atteso che la permanenza del trattamento economico in godimento prima dell'infortunio stesso è sancita da una legge diversa, e precisamente dall'art. 37 della legge n. 889 del 1971, al fine di "impedire che l'evento della contratta inidoneità possa incidere sul regolare svolgimento del rapporto". Deve invece ritenersi che sia arbitraria ed irragionevole una disciplina che espelle i lavoratori inidonei indipendentemente dalle cause della loro inidoneità, tenuto conto che l'infortunato, se permanentemente invalido, ha diritto a chiedere il pensionamento privilegiato, senza che sia posto a suo carico il contributo mensile di cui al comma 4 dell'art. 3 in discussione, laddove per effetto di quest'ultima norma egli è assoggettato ad un esonero anticipato e ad un prepensionamento il cui costo in parte ricade su di lui.

 

La violazione degli artt. 35, 36, 38 e 41 Cost. viene infine prospettata sulla base del rilievo che la normativa impugnata dà esclusiva rilevanza agli interessi del datore di lavoro, al soddisfacimento dei quali vengono sacrificati i diritti del lavoratore infortunato. In particolare, sarebbe leso l'art. 38 Cost. da una disciplina - quale quella disposta dal comma 4 dell'art. 3 - che, nel prevedere un prepensionamento coattivo, impone al lavoratore l'obbligo di contribuire al proprio non voluto pensionamento, con una quota che incide sulla pensione, unico mezzo di sostentamento.

 

2.- É intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, chiedendo che la questione sia dichiarata infondata e sostenendo che la stessa non presenta profili particolari e diversi rispetto a quelli già esaminati dalla Corte con la sentenza n. 60 del 1991.

 

Considerato in diritto

 

l.- Il Pretore di Roma ha sollevato questione di legittimità costituzionale dell'art. 3, punti 1 e 4, della legge 12 luglio 1988, n. 270 con riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38 e 41 della Costituzione.

 

La norma predetta consente alle aziende esercenti pubblici servizi di trasporto di predisporre un programma quinquennale di esodo dei lavoratori iscritti al Fondo di previdenza dichiarati, entro il 20 giugno 1986, inidonei rispetto alle mansioni proprie della qualifica di provenienza e che abbiano maturato o maturino nel corso del quinquennio, almeno quindici anni di effettiva contribuzione al Fondo di previdenza del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto.

 

Secondo il giudice remittente la norma impugnata imporrebbe l'esodo obbligatorio in relazione a qualunque condizione di inidoneità, senza alcuna considerazione delle cause che siffatta inidoneità hanno prodotto, e neppure della situazione particolare di chi sia divenuto inidoneo per infortunio sul lavoro, in contraddizione con la particolare tutela che l'ordinamento riconosce al lavoratore infortunato sul lavoro.

 

Di qui - ed in relazione alla specifica situazione di lavoratore infortunato - la questione di costituzionalità sollevata dal Pretore di Roma in relazione ai parametri sopraindicati.

 

2.- Ai fini di definire il quadro legislativo nel quale si colloca la legge n. 270 del 1988 ed in particolare il suo art.3 si deve ricordare che l'art. 27 del Regolamento Allegato A al regio decreto 8 gennaio 1931, n. 148, che regola il rapporto di lavoro del personale addetto ai pubblici servizi di trasporto, prevede, tra i casi in cui l'azienda può far luogo all'esonero definitivo dal servizio degli agenti stabili, anche l'ipotesi della "inabilità al servizio nelle funzioni proprie della qualifica di cui è rivestito l'agente, quando non accetti altre mansioni, compatibili con le sue attitudini o condizioni, in posti disponibili" nonchè quella della "palese insufficienza nell'adempimento delle funzioni del proprio grado non imputabile a colpa dell'agente, quando questi non accetti il grado inferiore che gli può essere assegnato".

 

La norma non prevede che l'agente divenuto inabile al servizio possa mantenere la stessa retribuzione percepita prima del mutamento di mansioni e tanto meno quella collegata alla qualifica prima rivestita ed alle relative variazioni. Una tale previsione è invece espressamente contemplata per il personale divenuto inabile in modo permanente a causa di infortunio sul lavoro, dapprima - con l'art. 28 del citato Regolamento Allegato A al decreto n. 148 del 1931 - come mera possibilità, e poi come vero e proprio diritto per effetto dell'art. 7 della legge 28 marzo 1968, n. 376 e dell'art. 37 della legge 29 ottobre 1971, n. 889.

 

Quest'ultima norma in particolare dispone che "all'agente inabile permanentemente per infortunio sul lavoro occorso successivamente al 30 giugno 1969, che rimanga in servizio, anche se adibito ad altre mansioni, spetta lo stipendio o paga relativo alla qualifica che rivestiva prima dell'infortunio".

 

3.- Come risulta dai lavori preparatori della legge n. 270 del 1988, patti aziendali e prassi applicative dell'art. 27 del Regolamento del 1931 avevano consentito anche al personale dei trasporti pubblici addetti al cosiddetto movimento (autisti, conduttori, ecc.) divenuto inidoneo a tali mansioni in conseguenza di fattori diversi dall'infortunio sul lavoro (ad es., in conseguenza di logoramento nervoso determinato dallo stesso svolgimento dell'attività lavorativa), di poter continuare ad usufruire, nonostante lo spostamento a mansioni inferiori, della stessa retribuzione corrisposta agli appartenenti alla qualifica da essi prima rivestita.

 

Il fenomeno, protrattosi per diversi anni, aveva finito per assumere proporzioni assai rilevanti, tali da incidere in modo sensibilmente negativo nella gestione degli organici aziendali, e da comportare costi elevati.

 

La norma impugnata - recependo gli accordi sindacali stipulati nel 1985-87 - venne approvata dal Parlamento, proprio al fine di affrontare e risolvere l'anomala situazione determinata dalle richiamate prassi, e da regolamentazioni aziendali o pattizie: e ciò sia attraverso l'esodo obbligatorio dei di pendenti dichiarati inidonei all'espletamento delle mansioni di provenienza e che avevano maturato almeno quindici anni di anzianità contributiva (art. 3), sia facendo cessare l'efficacia di tutti i regolamenti aziendali concernenti la disciplina del personale inidoneo e le eventuali contrattazioni aziendali e/o individuali adottati sulla materia.

 

La ratio della norma impugnata appare pertanto con tutta chiarezza diretta ad eliminare gli effetti determinati da iniziative anomale, che avevano creato situazioni vantaggiose non legislativamente previste anche se socialmente comprensibili.

 

Appare del tutto estraneo a tale intento del legislatore e alle finalità dallo stesso perseguite, che l'esodo coattivo previsto dalla legge impugnata possa riferirsi anche a quei lavoratori la cui inidoneità sia stata determinata da infortuni sul lavoro e il cui diritto a continuare a percepire la retribuzione collegata alla qualifica di provenienza discende non già da prassi applicative o da patti individuali o da regolamenti aziendali, ma da specifiche disposizioni legislative che nel tempo hanno definito ed ampliato i diritti attribuiti ai lavoratori divenuti inabili (e inidonei alle mansioni di origine) per infortunio sul lavoro.

 

Il fatto che la legge n. 270 del 1988, non abbia affatto abrogato l'art. 37 della legge n. 889 del 1971 nè a questa norma abbia derogato neppure temporaneamente, sta a significare che il legislatore non ha inteso incidere nella peculiare situazione che la legge ha attribuito al lavoratore che ha subìto un infortunio sul lavoro, e che tanto meno abbia inteso penalizzarlo con la perdita del posto di lavoro, solo per il fatto di essersi necessariamente avvalso, a causa di una diminuzione permanente della capacità lavorativa, di un diritto riconosciuto per legge.

 

Sicchè - ad avviso di questa Corte - una puntuale individuazione della ratio-legis e una corretta applicazione di criteri ermeneutici inducono ad escludere, in sede interpretativa - a differenza di quanto sostiene il giudice a quo - che l'esodo riguardi il personale non idoneo alle mansioni originariamente attribuitegli a causa di inabilità permanente per infortunio sul lavoro.

 

4.- A tali conclusioni occorre comunque pervenire interpretando la norma impugnata alla luce dei principi costituzionali.

 

Va invero a tal proposito ricordato che questa Corte, nella sentenza n.60 del 1991, ha affermato che l'anticipazione obbligatoria del pensionamento attuata dalla legge in esame comportava ripercussioni economicamente e socialmente rilevanti nei confronti dei lavoratori da essa colpiti, i quali si trovavano nella condizione di non poter più svolgere le originarie mansioni a causa dell'impegno particolarmente gravoso che quelle comportavano. La Corte ha quindi ritenuto che tale disciplina rientrasse nell'ambito della discrezionalità legislativa, ma che le scelte operate nell'esercizio di tale discrezionalità dovevano essere attentamente scrutinate onde vagliarne la razionalità e la non arbitrarietà; ed ha infine ritenuto che tali requisiti sussistessero in relazione all'anomalia di una situazione determinata da prassi applicative estranee alla previsione legislativa e dal proliferare delle fonti dei benefici, con conseguente accrescimento abnorme dei costi e delle disfunzioni organizzative.

 

Ma così come con la stessa sentenza la Corte ha ritenuto arbitrario l'esodo obbligatorio nei confronti di lavoratori già ritenuti inidonei alle mansioni originarie, ma successivamente destinati a svolgere mansioni equivalenti o superiori a quelle precedentemente rivestite, altrettanto arbitraria dovrebbe essere considerata una disposizione che prevedesse l'espulsione di lavoratori infortunati sul lavoro, l'antieconomicità della retribuzione dei quali è prevista non da prassi o accordi ma da una legge che attua i principi contenuti nel secondo comma dell'art. 38 della Costituzione.

 

In questo caso l'interesse all'efficienza dell'impresa e all'economicità dei suoi costi, se dovesse imporre al lavoratore la perdita del posto di lavoro (sostanzialmente irrimediabile, stante il deficit permanente che deriva dall'infortunio subìto) e la conseguente forzosa contribuzione del proprio prepensionamento, non potrebbe non entrare in conflitto con valori costituzionalmente protetti.

 

Una corretta interpretazione non può non scegliere, tra i significati possibili della disposizione, quello che non si ponga in contrasto con i principi costituzionali. Alla luce dei rilievi che precedono, deve pertanto essere disattesa l'interpretazione della norma impugnata che il giudice a quo ha presupposto nel formulare la denunzia di incostituzionalità in esame. Deve cioè ritenersi che l'art. 3, comma 1, della legge n. 270 del 1988 non riguarda i lavoratori che siano stati dichiarati inidonei alle mansioni proprie della loro qualifica per effetto di inabilità permanente derivante da infortunio sul lavoro (ovvero di malattie professionali, per legge equiparate agli infortuni).

 

La questione sollevata dal Pretore di Roma deve pertanto ritenersi infondata nei sensi di cui in motivazione.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione la questione di legittimità costituzionale dell'art. 3 della legge 12 luglio 1988, n.270 (Attuazione del contratto collettivo nazionale di lavoro del personale autoferrotranviario ed internavigatore per il triennio 1985- 1987, agevolazioni dell'esodo del personale inidoneo ed altre misure), sollevata, dal Pretore di Roma con l'ordinanza in dicata in epigrafe, in riferimento agli artt. 2, 3, 4, 35, 36, 38 e 41 della Costituzione.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria il 08/04/93.