Sentenza n. 152 del 1993

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SENTENZA N. 152

 

ANNO 1993

 

 

REPUBBLICA ITALIANA

 

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

composta dai signori:

 

Presidente

 

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

 

Giudici

 

Prof. Gabriele PESCATORE

 

Avv. Ugo SPAGNOLI

 

Prof. Antonio BALDASSARRE

 

Prof. Vincenzo CAIANIELLO

 

Avv. Mauro FERRI

 

Prof. Luigi MENGONI

 

Prof. Enzo CHELI

 

Dott. Renato GRANATA

 

Prof. Giuliano VASSALLI

 

Prof. Francesco GUIZZI

 

Prof. Cesare MIRABELLI

 

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

 

ha pronunciato la seguente

 

SENTENZA

 

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 6, comma nono, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, promosso con ordinanza emessa il 2 aprile 1992 dal Pretore di Trento nel procedimento civile vertente tra Prandato Severino e l'I.N.P.S., iscritta al n.685 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 46, prima serie speciale, dell'anno 1992.

 

Visti gli atti di costituzione di Prandato Severino e dell'I.N.P.S. nonchè l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

 

udito nell'udienza pubblica del 23 febbraio 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli;

 

uditi gli avvocati Giovanni Angelozzi per Prandato Severino, Fabrizio Ausenda, Tiziano Treu e Giancarlo Perone per l'I.N.P.S e l'avvocato dello Stato Pier Giorgio Ferri per il Presidente del Consiglio dei ministri.

 

Ritenuto in fatto

 

1. - Nel corso di un giudizio civile promosso da Prandato Severino per ottenere che la pensione a carico della gestione speciale lavoratori autonomi del commercio liquidatagli dall'I.N.P.S. con decorrenza 1° settembre 1987 gli fosse riliquidata senza tener conto del limite di lire 10.000 per ogni anno di anzianità contributiva utile a pensione stabilito dall'art. 6, ottavo comma, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, il Pretore di Trento, aderendo ad un'eccezione prospettata in via subordinata dalla difesa dell'I.N.P.S., sollevava, con ordinanza del 16 febbraio 1990 (r.o. n. 359 del 1990), in riferimento all'art. 3 Cost., una questione di legittimità costituzionale del nono comma del medesimo articolo, nella parte in cui non prevede che detto limite, imposto alle pensioni liquidate dal 1° ottobre al 31 dicembre 1983 ed a quelle anteriori al 1° ottobre 1983, rispettivamente, dai commi ottavo e decimo della medesima disposizione, si applichi anche alle pensioni con decorrenza successiva al 31 dicembre 1983.

Questa Corte, con ordinanza n. 507 del 1990, restituiva gli atti al giudice rimettente perché riesaminasse se la questione fosse ancora rilevante, in ragione dell'entrata in vigore, nel frattempo, della legge 2 agosto 1990, n. 233, recante "Riforma dei trattamenti pensionistici dei lavoratori autonomi", la quale, nel dettare una nuova disciplina della materia, ha espressamente abrogato (art. 5, comma terzo) la norma impugnata, disponendo altresì (art. 5, comma decimo) che "con effetto dal 1° luglio 1990 sono riliquidate secondo le disposizioni della presente legge, se più favorevoli, le pensioni con decorrenza tra il 1° gennaio 1982 e il 30 giugno 1990". Con ordinanza del 2 aprile 1992 (pervenuta alla Corte costituzionale il 14 ottobre 1992), il Pretore di Trento ha riproposto la medesima questione, sostenendone la perdurante rilevanza, dato che, anche ove il sistema di calcolo introdotto dalla nuova norma conducesse ad una liquidazione più favorevole di quella conseguente alla norma impugnata (ed ora abrogata), ciò riguarderebbe solo il periodo successivo al 1° luglio 1990, mentre per il periodo 1° settembre 1987 - 30 giugno 1990 dovrebbe comunque applicarsi - per l'espressa previsione del citato comma decimo dell'art. 5 della legge n. 233 del 1990 - la disposizione ritenuta viziata.

Ad avviso del Pretore rimettente, l'omessa previsione, nel nono comma del predetto art. 6, del citato limite di lire 10.000 violerebbe l'art. 3 Cost. poiché introdurrebbe, senza ragionevole motivo e in presenza di situazioni giuridiche omogenee, un trattamento differenziato e più vantaggioso a favore dei titolari di pensioni con decorrenza successiva al 1983 rispetto ai pensionati con decorrenza anteriore.

2. - Nel giudizio così instaurato si è costituita la parte privata Prandato Severino, rappresentato e difeso dall'avv. G. Angelozzi, che ha chiesto il rigetto della questione, potendo essa risolversi in via interpretativa. A suo avviso, scopo del citato art. 6 è di ricondurre annualmente l'importo della pensione liquidata anteriormente (comma decimo) o successivamente al 1° ottobre 1983 (commi ottavo e nono) ad un valore adeguato al potere d'acquisto, attraverso la moltiplicazione del coefficiente di adeguamento previsto per l'anno 1965 (86,4) con quello di aggiornamento riferito all'anno di decorrenza della prestazione (5,74 per il 1983).

A tale adeguamento sono stati apposti (nel comma ottavo) i due limiti di lire 10.000 per ogni anno di contribuzione effettiva e dell'importo del trattamento minimo vigente nella gestione, ma essi varrebbero solo per le pensioni liquidate anteriormente al 1° gennaio 1984: ciò sia per la dizione del nono comma, sia perché tali limiti (ed in particolare il primo), in quanto dettati per graduare il passaggio dal vecchio al nuovo criterio di liquidazione delle pensioni (applicazione del coefficiente di moltiplicazione del 5,74 per il 1983), andrebbero intesi come norma derogatoria rispetto a quella generale introduttiva di detto criterio. A ritenere altrimenti, lo sbarramento delle lire 10.000 diverrebbe iniquo, per via dell'inflazione, renderebbe impossibile il superamento dell'importo del trattamento minimo garantito per legge e vanificherebbe la portata innovativa del nuovo criterio. Dato, infatti, che la contribuzione dei lavoratori autonomi ha, come supporto, una quota fissa per tutti in funzione della semplice iscrizione negli elenchi ed una quota variabile correlata al reddito d'impresa, sarebbe assolutamente iniquo che l'erogazione pensionistica fosse comunque ristretta nelle lire 10.000 (per ogni anno di contribuzione utile) non indicizzate o nel trattamento minimo garantito, a dispetto della variabilità della contribuzione. In particolare, il limite di lire 10.000, se poteva considerarsi equo fino al 1983 allorché il trattamento minimo era di lire 257.000, non lo sarebbe più nel 1990, quando detto trattamento minimo era di lire 496.000.

Di conseguenza, la mancata estensione di detto limite oltre il 1983 non determina, secondo la parte privata, alcuna disparità di trattamento.

3. - Si è costituito anche l'I.N.P.S., parte nel giudizio a quo, rappresentato e difeso dagli avv.ti E. Zicavo e F. Ausenda, che chiede che la questione sia dichiarata manifestamente infondata, dovendo la norma impugnata interpretarsi - giusta quanto deciso dalla Corte di cassazione (sentenza 28 giugno 1990 - 27 novembre 1991, n. 12714) - nel senso che il trattamento di maggior favore, stabilito dal comma nono per le pensioni che avrebbero avuto decorrenza successiva al 31 dicembre 1983, abbia come parametro di legittimazione il criterio generale dettato dal comma precedente, quale limite insuperabile per la concessione del beneficio. Il comma ottavo, infatti, pur se espressamente riferito alle pensioni con decorrenza 1° ottobre - 31 dicembre 1983, va posto in correlazione al comma decimo, che estende la stessa disciplina alle pensioni aventi decorrenza anteriore, e contiene, ad avviso dell'I.N.P.S., la normativa generale circa le modalità di adeguamento delle pensioni: la quale, pur in mancanza di espresso richiamo nel comma nono, dovrebbe applicarsi anche alle pensioni successive. Ciò, alla luce della ratio della disciplina, rappresentata, per un lato, dall'esigenza di contenimento della spesa pubblica (che ispira l'intera legge n. 638 del 1983), e, dall'altro, dall'esigenza di mantenere un minimo di proporzionalità tra la prestazione contributiva e la controprestazione previdenziale.

4. - Il Presidente del Consiglio dei ministri, intervenuto nel giudizio per il tramite dell'Avvocatura Generale dello Stato, ha chiesto - richiamando le conclusioni rassegnate nella precedente occasione - che la questione sia dichiarata inammissibile e comunque infondata, potendo essa risolversi in via interpretativa: il suddetto limite di lire 10.000 per ogni anno di anzianità contributiva utile a pensione dovrebbe infatti ritenersi applicabile a tutte le pensioni, a prescindere dalla loro decorrenza, la quale inciderebbe solo sul profilo dell'aggiornamento del coefficiente di adeguamento dell'importo base.


Considerato in diritto

1. - L'art. 6 del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463, convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638 introduce, al comma ottavo, un nuovo metodo di calcolo delle pensioni dei lavoratori autonomi, stabilendo che la pensione base venga rivalutata con il coefficiente 5,74, con ciò restando assorbiti gli aumenti previsti da disposizioni precedenti. Prevede, peraltro, che l'ammontare della pensione determinato con il nuovo sistema non possa superare né l'importo di lire 10.000 per ogni anno di anzianità contributiva utile a pensione, né quello del trattamento minimo vigente nelle gestioni (salvo l'eventuale maggior importo derivante dal previgente sistema di calcolo).

Tale normativa si applica, in forza del comma ottavo, alle pensioni liquidate con decorrenza dal 1° ottobre al 31 dicembre 1983, ed in forza del comma decimo, a quelle liquidate anteriormente all'ottobre 1983 (con assorbimento, per queste ultime, degli aumenti per perequazione automatica intervenuti alla data di decorrenza della pensione).

Il comma nono, a sua volta, stabilisce che "in attesa della riforma del sistema pensionistico, per le pensioni di cui al comma precedente aventi decorrenza successiva al 1983 il coefficiente 5,74 sarà annualmente aggiornato, in sostituzione degli aumenti per perequazione automatica intervenuti dal 1° gennaio di ciascun anno, in base ai coefficienti di cui all'art. 3, comma undicesimo, della legge 29 maggio 1982, n. 297 riferiti all'anno 1965". Il Pretore di Trento censura quest'ultima disposizione muovendo dal presupposto che essa introduca, per gli anni successivi al 1983, tale meccanismo di aggiornamento del nuovo sistema di calcolo, senza che l'importo così determinato venga a soffrire del duplice limite imposto dal comma precedente, ed in particolare di quello di lire 10.000 per ogni anno di anzianità contributiva utile a pensione. E poiché tale disposizione sarebbe applicabile alla pensione oggetto del giudizio principale per il periodo 1° settembre 1987 - 1° luglio 1990 (data di entrata in vigore della nuova disciplina della materia introdotta con l'art. 5 della legge 2 agosto 1990, n. 233, in relazione alla quale questa Corte - decidendo sulla medesima questione con ordinanza n. 507 del 1990 - dispose la restituzione degli atti al rimettente perché riesaminasse se essa fosse ancora rilevante), il Pretore assume che essa violerebbe l'art. 3 della Costituzione, perché il trattamento più vantaggioso conseguente all'inapplicabilità del predetto limite alle pensioni successive al 1983 sarebbe privo di giustificazione.

2. - L'Avvocatura Generale dello Stato e la difesa dell'I.N.P.S. chiedono che la questione sia dichiarata infondata perché muove da un presupposto interpretativo erroneo, e cioè che il predetto limite di lire 10.000 per ogni anno di anzianità contributiva utile a pensione non si applichi alle pensioni successive al 1983; ed a conforto di tale tesi adducono l'interpretazione della Corte di cassazione (sentenza 28 giugno 1990 - 27 novembre 1991, n. 12714) - peraltro condivisa da alcuni giudici di merito - secondo la quale il limite si applica anche a tali pensioni.

Questa Corte ritiene di dover prendere atto dell'interpretazione adottata dal giudice di legittimità, in quanto essa, oltre ad essere applicata nella prassi, è fondata su validi argomenti.

Innanzitutto, sul piano letterale, è da considerare che l'impugnato comma nono prevede l'aggiornamento del coefficiente 5,74 "per le pensioni di cui al comma precedente" e che quest'ultimo, dopo aver introdotto tale coefficiente, stabilisce che "in ogni caso" non può essere superato l'anzidetto, duplice limite. La correlazione tra questi due dati testuali induce a ritenere che il limite valga per entrambe le fasce di pensionati considerate nei due commi.

In secondo luogo, appare decisivo considerare che, nelle intenzioni del legislatore, il nuovo sistema di calcolo, con aggiornamento annuale, non era concepito come regolamentazione definitiva della materia, bensì come disciplina destinata a valere solo provvisoriamente, "in attesa della riforma del sistema pensionistico": dato testuale, questo, che trova conferma nei lavori preparatori, ove si dà atto dell'impegno assunto dal Governo, in sede di conversione del decreto-legge n. 463 del 1983, di presentare in tempi ravvicinati un disegno di legge di riforma del sistema previdenziale (cfr. il parere sul disegno di legge di conversione della XIII Commissione permanente della Camera dei deputati - Atto Camera n. 424-A - IX Legislatura). La circostanza che la prevista riforma non si sia realizzata se non in tempi assai più lunghi nulla toglie all'univoco significato della disposizione.

È illogico, infine, ritenere che, nella fase di transizione ad un nuovo sistema pensionistico - che nella legge n. 233 del 1990 è risultato radicalmente diverso dal precedente - il legislatore abbia rinunciato ad apporre un limite che - come osserva la difesa dell'I.N.P.S. - appare inteso a preservare una certa proporzionalità tra la prestazione contributiva e la controprestazione previdenziale. Ciò, soprattutto perché la disposizione in esame si iscrive nell'ambito di un provvedimento governativo complessivamente inteso a soddisfare esigenze di contenimento della spesa pubblica - ed in particolare di quella previdenziale - che furono ben presenti anche all'atto della sua conversione (cfr. il parere sopra citato).

Alla luce delle suesposte considerazioni, la questione deve essere dichiarata infondata perché poggia su un erroneo presupposto interpretativo.

 

PER QUESTI MOTIVI

 

LA CORTE COSTITUZIONALE

 

dichiara non fondata la questione di legittimità costituzionale dell'art.6, comma nono, del decreto-legge 12 settembre 1983, n. 463 (Misure urgenti in materia previdenziale e sanitaria e per il contenimento della spesa pubblica, disposizioni per vari settori della pubblica amministrazione e proroga di taluni termini), convertito, con modificazioni, nella legge 11 novembre 1983, n. 638, sollevata, in riferimento all'art. 3 della Costituzione, dal Pretore di Trento con l'ordinanza indicata in epigrafe.

 

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

 

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

 

Ugo SPAGNOLI, Redattore

 

Depositata in cancelleria l'8 aprile 1993.