Sentenza n. 151 del 1993

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SENTENZA N. 151

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

SENTENZA

nel giudizio di legittimità costituzionale dell'art. 355, primo e secondo comma, del codice di procedura penale, promosso con ordinanza emessa il 13 marzo 1992 dal Tribunale di Bari nel procedimento di riesame di convalida di sequestro su richiesta di De Benedictis Gaetano, iscritta al n. 314 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 25, prima serie speciale, dell'anno 1992.

Visto l'atto di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Ugo Spagnoli.

Ritenuto in fatto

l.- In sede di riesame di un decreto di convalida di sequestro di cui si eccepiva l'inefficacia per mancato rispetto del termine di cui all'art.355 cod. proc. pen. (quarantotto ore successive alla trasmissione del relativo verbale da parte della polizia giudiziaria), il Tribunale di Bari, pur rilevando che in effetti il termine non era stato rispettato perchè la convalida del pubblico ministero era intervenuta trentun giorni dopo il sequestro, osservava che i termini previsti da detta norma devono considerarsi ordinatori: e ciò sia perchè per la loro inosservanza - a differenza di quanto stabilito per altri provvedimenti coercitivi della polizia giudiziaria, quale il sequestro preventivo (art.321, commi 3 bis e 3 ter) - non è stabilita alcuna sanzione di inefficacia, sia perchè non è ravvisabile alcuna ipotesi di decadenza o nullità, essendo queste dichiarabili solo in caso di espressa previsione di legge (artt. 173 e 177 cod.proc. pen.). Del resto, il termine per la convalida del sequestro era ritenuto ordinatorio anche nel vigore del codice abrogato (art. 224 bis cod.proc. pen. del 1930).

Tanto premesso, il Tribunale ha sollevato, con ordinanza del 13 marzo 1992, una questione di legittimità costituzionale del predetto art. 355, "nella parte in cui non prevede come perentori i termini entro i quali il verbale di sequestro deve essere trasmesso all'autorità giudiziaria ed entro i quali deve intervenire la convalida", assumendone il contrasto con gli artt. 3, 24 e 42 Cost..

Ad avviso del giudice rimettente, la circostanza che il termine per la convalida sia ordinatorio e che perciò resti immune da censura il suo mancato rispetto, consente che i beni oggetto del sequestro (nella specie, titoli di credito) vi restino sottoposti per un tempo non breve o addirittura indeterminato, ed è perciò suscettibile di pregiudicare il diritto di proprietà dei privati garantito dall'art. 42 Cost..

Inoltre, in caso di mancata convalida, potrebbe configurarsi anche una violazione dell'art. 24 Cost. in quanto, in base all'art. 355, comma terzo, cod proc. pen., mancherebbe ogni mezzo di impugnazione contro l'atto di sequestro, essendo la richiesta di riesame prevista solo contro il decreto di convalida, la cui emanazione non è soggetta ad alcun termine perentorio.

In riferimento, infine, alla diversa disciplina sul punto dettata in tema di sequestro preventivo, il giudice a quo ravvisa una disparità di trattamento tra coloro che vedono sottoposti i propri beni a sequestro ad opera della polizia giudiziaria a seconda della finalità probatoria o preventiva perseguita, e perciò una violazione dell'art. 3 Cost..

2.- Il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato e difeso dall'Avvocatura Generale dello Stato, sostiene che quest'ultima censura è infondata perchè le situazioni poste a confronto non sono identiche, essendo diversi gli obiettivi e le finalità perseguite con il sequestro preventivo (eliminazione del pericolo della commissione di altri reati o dell'aggravamento di quello commesso) da quelle proprie del sequestro in esame, che ha una funzione rilevante esclusivamente sul piano probatorio.

La circostanza, poi, che il sequestro di un bene venga ad incidere sulla relativa disponibilità del proprietario rappresenta semplicemente l'effetto di un atto legittimamente posto in essere in vista del conseguimento di obiettivi di giustizia ritenuti meritevoli di tutela: effetto, questo, del tutto compatibile con la funzione assegnata all'istituto della proprietà, attesi i limiti che l'art. 42 Cost. consente di apporre al suo esercizio.

Infine, ad avviso dell'Avvocatura, anche il diritto di difesa è adeguatamente rispettato in virtù della previsione di riesame per il solo provvedimento per il quale può effettivamente sorgere un interesse attuale alla rimozione, e cioé il decreto di convalida.

Considerato in diritto

l.- L'art. 355 del nuovo codice di procedura penale prevede, nei primi due commi, che nel caso in cui la polizia giudiziaria abbia effettuato un sequestro a fini probatori, essa debba trasmettere il relativo verbale non oltre quarantotto ore al pubblico ministero del luogo ove il sequestro è stato eseguito. Il pubblico ministero, nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato convalida il sequestro se ne ricorrono i presupposti, ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate.

Il Tribunale di Bari, chiamato a giudicare, in sede di riesame, della legittimità di un decreto di convalida emesso dal pubblico ministero a distanza di trenta giorni dal ricevimento del verbale di sequestro eseguito dalla polizia giudiziaria, dubita della legittimità costituzionale delle predette disposizioni, assumendo che esse, nella parte in cui non prevedono come perentori i termini entro i quali il verbale di sequestro deve essere trasmesso all'autorità giudiziaria ed entro i quali deve intervenire la convalida, contrasterebbero:

- con l'art. 42 Cost., perchè la natura ordinatoria del termine consente il protrarsi teoricamente indefinito del sequestro e sarebbe perciò suscettibile di porre in pericolo il diritto di proprietà;

- con l'art. 24 Cost., perchè, essendo il riesame previsto solo contro il decreto di convalida, la mancata emanazione di questo precluderebbe ogni mezzo di impugnazione contro l'atto di sequestro;

- con l'art. 3 Cost., per la disparità di trattamento conseguente alla diversa disciplina del sequestro probatorio rispetto al sequestro preventivo, che prevede invece che la mancata osservanza dei termini per richiedere o provvedere alla convalida comporta l'inefficacia del sequestro (art.321, commi 3 bis e 3 ter, cod. proc. pen.).

2.- Va premesso che la questione è rilevante, e va perciò esaminata, solo in riferimento al termine previsto dal secondo comma dell'art. 355, dato che oggetto del riesame era, nella specie, il decreto di convalida e che non risulta che il verbale di sequestro fosse stato trasmesso tardivamente dalla polizia giudiziaria.

Nel merito, la Corte ritiene innanzitutto che la diversità di disciplina, quanto ad espressa previsione di perentorietà dei termini, dettata, rispettivamente, per il sequestro preventivo e per quello probatorio non possa essere apprezzata in riferimento al principio di uguaglianza.

Il sequestro preventivo è, invero, un atto che, per la sua finalizzazione alla prevenzione di un pericolo, ovvero alla confisca, la legge ha inteso riservare al giudice: ed è quindi logico che esso, quando venga, per ragioni di urgenza, disposto dalla polizia giudiziaria o dal pubblico ministero, costituisca una misura intrinsecamente provvisoria, destinata ad estinguersi entro brevissimo termine se non confermata dal giudice.

La convalida del sequestro probatorio operato dalla polizia giudiziaria è, viceversa, atto proprio del pubblico ministero dato che ha la stessa funzione del decreto con cui costui dispone il sequestro, mirando non solo al controllo dell'operato della polizia giudiziaria ma anche al mantenimento della misura: mentre il compito attribuito al giudice in sede di riesame del decreto di convalida è di verificare non la legittimità dell'iniziativa della polizia giudiziaria, ma la necessità delle cose sequestrate per l'accertamento dei fatti (art.253, primo comma, cod. proc. pen.).

3.- Quanto alle censure riferite agli artt. 42 e 24 Cost., la Corte ritiene che esse discendano da una inadeguata percezione del contenuto precettivo della disposizione impugnata.

Questa, in effetti, non può che essere letta in armonia con i disposti costituzionali regolanti la materia, i quali impongono che, qualora la legge conferisca alla polizia giudiziaria il potere di sacrificare la libertà personale e domiciliare - e quindi anche il sequestro di beni appresi nel domicilio della persona - deve anche prevedere un intervento dell'autorità giudiziaria nei ristretti termini che la stessa norma censurata prevede (art. 13, secondo comma e 14, secondo comma, Cost.). Il sequestro operato dalla polizia giudiziaria è quindi, per sua natura, atto provvisorio e l'intervento su di esso dell'autorità giudiziaria atto urgente.

Ma la norma impugnata, stabilendo che "il pubblico ministero, nelle quarantotto ore successive, con decreto motivato convalida il sequestro se ne ricorrono i presupposti ovvero dispone la restituzione delle cose sequestrate", a ben vedere non viola tali garanzie. Essa, in effetti, impone al pubblico ministero un duplice obbligo, in via alternativa, che va adempiuto, in entrambi i casi, "nelle quarantotto ore" successive alla ricezione del verbale di sequestro: e cioè, o di convalidare il sequestro (ricorrendone i presupposti) o di disporre la restituzione delle cose sequestrate. Di conseguenza, la possibilità di optare per la convalida, ove ne ricorrano i presupposti, si consuma ove il termine di quarantotto ore sia inutilmente spirato, ed in tal caso sorge in capo al pubblico ministero l'obbligo, conseguente alla mancata convalida, di provvedere alla restituzione delle cose sequestrate, a seguito della sopravvenuta inefficacia del sequestro.

La norma, cioé, prevede una fattispecie di restituzione - autonoma rispetto a quella di cui all'art. 262 del codice di rito, e regolata nelle modalità applicative dall'art. 263 - che si perfeziona non solo ove non ricorrano i presupposti per la convalida, ma anche quando questa non intervenga nel termine di quarantotto ore.

Ne deriva che, ove la convalida non intervenga nel termine perentorio sopra indicato, l'interessato ha la facoltà di attivare la procedura di restituzione e di reagire contro il diniego di questa da parte del pubblico ministero, ai sensi del quinto comma del citato art. 263: e perciò stesso resta priva di base la censura riferita dall'art. 24, secondo comma, Cost. e, conseguentemente, anche quella di cui all'art. 42.

La norma impugnata, dunque, se intesa nel senso suddetto - che è il solo coerente ai principi costituzionali - sfugge alle censure mossele: onde la questione va dichiarata infondata.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

dichiara non fondata, nei sensi di cui in motivazione, la questione di legittimità costituzionale dell'art. 355 del codice di procedura penale sollevata, in riferimento agli artt. 3, 24 e 42 della Costituzione, dal Tribunale di Bari con ordinanza del 13 marzo 1992.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Ugo SPAGNOLI, Redattore

Depositata in cancelleria il 08/04/93.