Ordinanza n. 144 del 1993

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ORDINANZA N. 144

ANNO 1993

 

REPUBBLICA ITALIANA

IN NOME DEL POPOLO ITALIANO

LA CORTE COSTITUZIONALE

composta dai signori:

Presidente

Prof. Francesco Paolo CASAVOLA

Giudici

Dott. Francesco GRECO

Prof. Gabriele PESCATORE

Avv. Ugo SPAGNOLI

Prof. Antonio BALDASSARRE

Avv. Mauro FERRI

Prof. Luigi MENGONI

Prof. Enzo CHELI

Dott. Renato GRANATA

Prof. Giuliano VASSALLI

Prof. Cesare MIRABELLI

Prof. Fernando SANTOSUOSSO

ha pronunciato la seguente

ORDINANZA

nei giudizi di legittimità costituzionale dell'art. 197 del codice di procedura penale promossi con le seguenti ordinanze:

1) ordinanza emessa il 3 febbraio 1992 dal Pretore di Vasto nel procedimento penale a carico di Stellato Giorgetto Mario ed altri, iscritta al n. 291 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1992;

2) ordinanza emessa il 20 gennaio 1992 dal Pretore di Vasto nel procedimento penale a carico di D'Addario Michele ed altri, iscritta al n. 292 del registro ordinanze 1992 e pubblicata nella Gazzetta Ufficiale della Repubblica n. 22, prima serie speciale, dell'anno 1992;

Visti gli atti di intervento del Presidente del Consiglio dei ministri;

udito nella camera di consiglio del 10 febbraio 1993 il Giudice relatore Mauro Ferri.

Ritenuto che con le ordinanze in epigrafe, di identico contenuto, il Pretore di Vasto solleva, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, questione di legittimità dell'art. 197 del codice di procedura penale "nella parte in cui non contempla tra le ipotesi di incompatibilità con l'ufficio di testimone anche la posizione dell'imputato di reati commessi da più persone in danno reciproco le une delle altre";

che, in particolare, il remittente rileva che l'art. 197 del codice di procedura penale ha limitato le ipotesi di incompatibilità con l'ufficio di testimone agli imputati in procedimenti connessi a norma dell'art. 12 del codice di procedura penale, per i quali, allorchè si procede separatamente, l'audizione è regolata dalle forme previste dall'art.210 del codice di procedura penale, trascurando la posizione di chi versi nell'ipotesi contemplata dall'art. 17, lett. c), del codice di procedura penale, irragionevolmente omessa;

che, a suo avviso, detta omissione determina un'ingiustificata discriminazione nei confronti dell'ipotesi sopraindicata, da ritenersi invece del tutto assimilabile a quelle per le quali è sancita l'incompatibilità, nonchè una violazione dei diritti di difesa dell'imputato ("che come testimone non potrebbe presenziare agli atti del dibattimento, anteriori e diversi da quelli concernenti l'acquisizione delle sue dichiarazioni");

che in entrambi i giudizi è intervenuto il Presidente del Consiglio dei ministri, rappresentato dall'Avvocatura generale dello Stato, concludendo per l'infondatezza della questione.

Considerato che i giudizi devono essere riuniti per essere decisi congiuntamente poichè sollevano la medesima questione;

che questa Corte, con la sentenza n. 109 del 1992 e con l'ordinanza n.262 del 1992, ha già dichiarato non fondate questioni identiche rilevando che il criterio posto a base della norma impugnata, in ordine al divieto di essere assunto come testimone, è quello dell'esistenza di un vincolo probatorio tra i procedimenti nei quali il medesimo soggetto si trovi ad assumere rispettivamente la veste di imputato e quella di testimone: vincolo che sussiste sempre nei casi di coimputato dello stesso reato o di imputati di reati connessi a norma dell'art. 12 (art. 197, lett. a) e che, in ogni altro caso in cui si verifichi, sarà rilevato dal giudice a norma dell'art. 197, lett. b);

che, conseguentemente, - come hanno chiarito le citate pronunce - la disciplina denunciata non può essere ritenuta discriminatoria nei confronti delle persone imputate di reati commessi in danno reciproco le une delle altre, in quanto sul piano del vincolo probatorio tale posizione non è certamente assimilabile a quella dei soggetti annoverati nell'art.197, lett. a), per i quali tale vincolo è in re ipsa, mentre nell'ipotesi in esame tale situazione può verificarsi o meno, e, ove in concreto il giudice rilevi l'esistenza di una vera e propria interferenza sul piano probatorio (nell'ipotesi di cui all'art. 371, secondo comma, lett. b), opererà allora, anche per coloro che siano imputati di un reato collegato, il divieto di essere assunti come testi, ai sensi dell'art.197, lett. b);

che dette argomentazioni valgono pienamente ad escludere l'illegittimità della norma impugnata anche in ordine all'ulteriore profilo sollevato, in riferimento all'art. 24 della Costituzione, dal giudice a quo;

che pertanto la questione deve essere dichiarata manifestamente infondata.

Visti gli artt. 26, secondo comma, della legge 11 marzo 1953, n. 87 e 9, secondo comma, della Norme integrative per i giudizi davanti alla Corte costituzionale.

PER QUESTI MOTIVI

LA CORTE COSTITUZIONALE

riuniti i giudizi,

dichiara la manifesta infondatezza della questione di legittimità costituzionale dell'art. 197 del codice di procedura penale, sollevata, in riferimento agli artt. 3 e 24 della Costituzione, dal Pretore di Vasto con le ordinanze in epigrafe.

Così deciso in Roma, nella sede della Corte costituzionale, Palazzo della Consulta, il 01/04/93.

Francesco Paolo CASAVOLA, Presidente

Mauro FERRI, Redattore

Depositata in cancelleria il 06/04/93.